Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-02-2012, n. 2504 Indennità di missione o trasferta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 17 gennaio 2005 il Tribunale di Avellino accoglieva parzialmente il ricorso di M.F., condannando la Grassetto s.p.a. al pagamento di Euro 26.604,97 a titolo di rideterminazione del t.f.r. oltre accessori, respingendo invece la domanda diretta ad ottenere la condanna della società al pagamento di lire 77.359.210 a titolo di indennità di "trasferta Italia". Il giudice di primo grado riteneva infondata quest’ultima domanda avendo le parti consensualmente rideterminato in data 24 giugno 1992 la liquidazione della indennità di trasferta secondo la regola stabilita dall’art. 56, u.c., del c.c.n.l. di categoria che prevede il caso in cui l’impresa provveda all’alloggio ed al vitto dell’impiegato, consentendo la pattuizione, in luogo dell’indennità del 15% lamentata, di un compenso forfetario convenuto con l’impiegato, in aggiunta al pagamento diretto del vitto e dell’alloggio. Ha invece accolto la domanda relativa alla rideterminazione del t.f.r. con l’inclusione dei compensi per lavoro straordinario, ritenendo che l’esame complessivo dell’atto introduttivo consentisse di ritenere proposta anche tale domanda.

La società proponeva appello sostenendo la erroneità della sentenza per avere il primo giudice:

1. violato l’art. 112 c.p.c. avendo accolto una domanda non proposta in quanto non facente parte del petitum. In proposito l’appellante sottolineava che la mancanza di domanda sul ricalcolo del t.f.r. si evinceva dalla stessa motivazione della sentenza, che dovette ricorrere all’esame complessivo dell’atto per argomentare sul punto.

2. violato l’art. 2120 c.c. per avere ritenuto nel ricalcalo del t.f.r. anche il lavoro straordinario non previsto dall’art. 34 del c.c.n.l. applicabile. Secondo l’appellante il Tribunale aveva totalmente omesso l’esame della contrattazione collettiva; riportava l’art. 34 del c.c.n.l. edili ed indicava tutte le voci che la contrattazione ha incluso nella base di computo del t.f.r. evidenziando come in essa non fosse compreso il compenso per il lavoro straordinario.

Concludeva pertanto per il rigetto della domanda.

Il lavoratore, costituitosi, chiedeva il rigetto dell’appello principale, rilevando che nel prospetto di rideterminazione del t.f.r. allegato al ricorso era incluso il compenso per lavoro straordinario sicchè, come correttamente ritenuto dal primo giudice, vi era domanda sul punto.

Sosteneva inoltre l’appellato che l’eccezione relativa alla violazione dell’art. 2120 c.c. doveva ritenersi nuova in quanto non proposta nel primo grado di giudizio e quindi inammissibile a norma dell’art. 437 c.p.c..

Il lavoratore proponeva inoltre appello incidentale, impugnando la sentenza nella parte in cui aveva respinto la domanda diretta ad ottenere le somme dovute per l’indennità di trasferta.

Con sentenza depositata l’11 febbraio 2009, la corte d’appello di Napoli, decidendo sugli appelli proposti, rigettava la domanda proposta dal M., compensando le spese del doppio grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il M., affidato a sette motivi.

Resiste la società Grassetto Costruzioni con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 437 c.p.c. per avere la corte d’appello ritenuto rituale la censura inerente l’esclusione del computo dei compensi di straordinario ai fini del calcolo del t.f.r., per essere stata correttamente formulata nel corso del giudizio di primo grado, "subito dopo la decisione della questione di competenza", ovvero "già nelle note difensive per l’udienza del 13.12.2000 e nel relativo verbale di udienza", argomentando anche dal fatto che il ricorso introduttivo non era esplicito sul punto, avendo necessitato di un’attività interpretativa del primo giudice.

Deduce di contro il ricorrente di aver sin dall’inizio richiesto esplicitamente il ricalcolo del t.f.r., con conseguente decadenza della società dalla relativa eccezione, risultando così erronea la sentenza oggi impugnata.

Il motivo è in parte infondato e per il resto inammissibile. Dalla stessa lettura del ricorso e della sentenza impugnata, risulta che il primo giudice pervenne alla conclusione della presenza, nel ricorso introduttivo della lite, della domanda di ricalcolo del t.f.r. per effetto del computo dello straordinario, solo in via interpretativa, per l’assenza di esplicita domanda in tal senso contenuta nelle conclusioni. Nello stesso odierno ricorso, ove è riportato il brano della motivazione a tal fine rilevante, si legge che "l’individuazione del contenuto sostanziale della pretesa, come desumibile dalla natura della vicenda dedotta dalla parte istante e che prescinde dal tenore letterale delle richieste, induce a ritenere che sin dal ricorso introduttivo il M….". Per il resto deve evidenziarsi che il ricorrente sottopone alla Corte, attraverso un lamentato error in iudicando, una questione di interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda dell’attore che integra un tipico accertamento in fatto, sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione (ex plurimis, Cass. 16 dicembre 2005 n. 27833). Deve inoltre osservarsi che, come affermato dalle sezioni unite (sentenza n. 1354 del 2004): "la mancata contestazione da parte del convenuto può avere le conseguenze ora specificate (rendere incontroversi i fatti costitutivi del diritto esposti dall’attore), in quanto i dati fattuali, interessanti sotto diversi profili la domanda attrice, siano tutti esplicitati in modo esaustivo in ricorso (o perchè fondativi del diritto fatto valere in giudizio o perchè rivolti a introdurre nel giudizio stesso circostanze di mera rilevanza istruttoria), non potendo, il convenuto, contestare ciò che non è stato detto, anche perchè il rito del lavoro si caratterizza per una circolarità tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova, donde l’impossibilità di contestare o richiedere prova – oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito – su fatti non allegati nonchè su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano state esplicitate in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo").

Nello stesso senso, Cass. 14 aprile 2005 n. 7746; Cass. 16 dicembre 2005 n. 27833; Cass. 17 giugno 2008 n. 16395. 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 34 c.c.n.l. per i dipendenti delle imprese edili ed affini siglato il 23 maggio 1991 e la sua inapplicabilità alla fattispecie in esame. Omessa motivazione circa l’inapplicabilità dell’art. 34 c.c.n.l. edili al personale impiegatizio, nonchè sulla mancata allegazione della citata disposizione contrattuale ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Lamenta il ricorrente di aver tempestivamente eccepito in appello l’omessa allegazione, da parte della datrice di lavoro, della disposizione contrattuale (art. 34 c.c.n.l. edili) che prevedrebbe l’esclusione dello straordinario dalla base di calcolo del t.f.r. La censura risulta assorbita dalle considerazioni svolte sub 1), inerente la ritualità dell’eccezione della società resistente in primo grado.

Senza considerare che l’omessa pronuncia su di una eccezione configura il vizio di cui all’art. 112 c.p.c. e non di omessa motivazione.

Lamenta inoltre che tale norma non risultava applicabile al personale impiegatizio, qual era pacificamente il M..

Osserva al riguardo la Corte che dal c.c.n.l. allegato dallo stesso M. risulta che la norma che escludeva i compensi di straordinario dal calcolo del t.f.r. era per gli operai l’art. 34, e, con identica formulazione, per gli impiegati l’art. 74 del medesimo c.c.n.l., sicchè la Corte, ex art. 384 c.p.c., comma 4, può limitarsi a correggere sul punto la motivazione della sentenza impugnata, risultando corretto il dispositivo (Cass. 13 agosto 2004 n. 15764).

3. Con il terzo motivo il M. denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 34 c.c.n.l. per i dipendenti delle imprese edili ed affini siglato il 23 maggio 1991. Decorrenza temporale di applicabilità dei previsti criteri di determinazione del t.f.r.

( art. 360 c.p.c., n. 3)".

Lamenta il ricorrente che la disciplina contrattuale collettiva stabilì, solo a decorrere dal 1 luglio 1983, l’esclusione dei compensi per lavoro straordinario dal calcolo del t.f.r. Che egli lavorò per la resistente dal 1 "luglio 1967 al 31 marzo 1996, sicchè formulava il seguente quesito di diritto: "se i criteri di determinazione del t.f.r., così come stabiliti dall’art. 34 CCNL per i dipendenti delle imprese edili ed affini, siano applicabili anche per la parte di t.f.r. maturato antecedentemente al luglio 1983". Il motivo è inammissibile in primo luogo in quanto il quesito si limita a richiedere alla Corte se i criteri contrattuali di determinazione del t.f.r. possano avere effetti retroattivi, senza compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge o di contratto collettivo, Cass. 17 luglio 2008 n. 19769.

In secondo luogo in quanto il ricorrente neppure deduce di aver ritualmente sottoposto la questione al giudice di appello, nè indica, riproduce o allega, in contrasto col principio dell’autosufficienza, l’atto in cui la stessa sarebbe stata sollevata.

4) Con il quarto motivo il M. denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 56 c.c.n.l. per i dipendenti delle imprese edili ed affini siglato il 23 maggio 1991. Inapplicabilità alla fattispecie. Non alternatività tra le obbligazioni di cui al commi 3 e 4, art. 56 c.c.n.l. edili. Difetto di motivazione sui relativi punti ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)".

Lamentava il ricorrente di aver sempre ed in maniera continuativa lavorato fuori dalla propria sede di residenza ((OMISSIS)), essendo in pratica un cd. trasfertista. Formulava il seguente quesito di diritto: "se l’art. 56 del c.c.n.l. 23 maggio 1991 debba applicarsi anche ai trasferisti, ovvero ai lavoratori la cui prolungata permanenza in varie sedi di cantiere ed i ripetuti spostamenti dall’una all’altra sede, costituisce modalità immanente al lavoro"."Se l’art. 56 prevede o meno un’obbligazione con facoltà alternativa di adempimento rimettendo ogni facoltà di scelta dello stesso secondo i criteri indicati in capo all’azienda tra quanto previsto nei commi 3 e 4". Il quesito, e con esso il motivo (Cass. sez. un. 9 marzo 2009 n. 5624), risulta inammissibile, posto che seppure l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (come modificato dalla L. n. 40 del 2006, art. 27, applicabile nella fattispecie essendo stata la sentenza impugnata depositata l’11 febbraio 2009) consente alla Corte di Cassazione di procedere alla diretta interpretazione del contenuto del contratto collettivo, la natura comunque negoziale di quest’ultimo (cfr. Cass. sez. un. 8 luglio 2008 n. 18621) impone che l’indagine ermeneutica debba essere compiuta secondo i criteri dettati dagli artt. 1362 cod. civ. e seguenti; ne consegue che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, è necessario che in esso siano motivatamente specificati i canoni ermeneutici negoziali in concreto violati, nonchè il punto ed il modo in cui giudice del merito si sia da essi discostato, elementi questi non contenuti nel ricorso, in violazione dell’art. 366 c.p.c. n. 4. 5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost. e degli artt. 1340 e 2103 cod. civ. principio di irriducibilità della retribuzione ( art. 360 c.p.c., n. 3). Lamentava che l’emolumento corrisposto al dipendente tenuto per contratto ad operare abitualmente all’estero o a spostarsi di continuo non è riconducibile nè alla trasferta nè al trasferimento, ma ha natura esclusivamente retribuiva, e come tale irriducibile ex art. 2103 c.c..

Il motivo è infondato, non censurando il ricorrente la ratio decidendi della sentenza impugnata – basata sull’interpretazione, parimenti non censurata, dell’art. 56 del c.c.n.l., secondo cui nel caso in cui l’impresa provveda al rimborso del vitto e dell’alloggio potrà corrispondere all’impiegato, in luogo dell’indennità del 15%, un compenso forfettario concordato con il lavoratore (come pacificamente avvenuto nella specie).

6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in ordine alla ripartizione dell’onere della prova circa la quantificazione dell’alloggio ed del vitto forniti con la nuova trasferta.

Ad illustrazione del motivo formulava il seguente quesito di diritto:

"se ai sensi dell’art. 2697 c.c. e art. 416 c.p.c., l’allegazione di un fatto impeditivo ..onera la parte che l’ha sollevata di provare i fatti su cui l’eccezione stessa si fonda". Il motivo risulta inammissibile, non censurando l’interpretazione fornita dalla corte di merito in ordine alla clausola contrattuale collettiva laddove consentiva alle parti di optare, in luogo della indennità di trasferta "Italia" omnicomprensiva, il pagamento diretto di vitto ed alloggio oltre ad una concordata (e nella specie convenuta in data 24 giugno 1992) indennità aggiuntiva. Tale interpretazione, già fornita dal Tribunale, è stata ritenuta non contestata dal M. dalla corte territoriale e su ciò non risulta alcuna specifica censura in questa sede.

7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c. quanto alla tempestiva impugnazione dell’invalido accordo stipulato il 24 giugno 1992, in ordine all’indennità di trasferta.

Ad illustrazione del motivo formulava il seguente quesito di diritto:

"se la dichiarazione contenuta nella lettera del 24.06.1992 possa essere considerata quale rinunzia da parte del lavoratore a diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge", o "se l’atto stragiudiziale di impugnazione di rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti del lavoratore, ai sensi dell’art. 2113 cod. civ. non richiede alcuna forma specifica, ben potendo risultare anche dall’atto stesso la volontà di invalidare l’atto abdicativì; "se la lettera del 2.05.1996, ricevuta il successivo giorno 6.05.1996 possa intendersi quale valida impugnazione del lavoratore avverso la rinunzia all’indennità di trasferta Italia".

Il motivo risulta inammissibile, richiedendo alla Corte un riesame tout court delle circostanze di fatto, ovvero l’astratta richiesta se nella specie sia stata violata l’indicata disposizioni di legge. Il ricorrente inoltre non censura quanto al riguardo affermato dalla corte territoriale, ed essenzialmente che l’impugnativa dello stesso 24 giugno 1992 non consentiva di comprendere l’oggetto della missiva;

che il ricorrente non aveva in ogni caso provato la riduzione complessiva del trattamento economico lamentato non indicando "in alcun modo in cosa sia consistita la reclamata riduzione perchè nulla ha detto quanto al trattamento percepito sino al 1992" (pag. 7 sentenza impugnata).

8. Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad Euro 50,00, Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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