Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 06-07-2011) 30-09-2011, n. 35656 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 2/9/10 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, premessa la pendenza di analogo procedimento cautelare nei confronti dell’indagato davanti alla A.G. di Torino, confermava l’ordinanza 4/8/10 con cui il Gip del Tribunale di Reggio Calabria disponeva nei confronti di D.F. la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. 416-bis c.p. (per associazione mafiosa armata e transnazionale).

L’accusa per il D. è di far parte dell’associazione di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta, articolata in molte decine di "locali" ripartiti in tre mandamenti dotati di un organo di vertice denominato Provincia, e di essere in particolare partecipe, con ruolo attivo, al "locale" di Torino (al vertice di esso C. G., capo locale, appunto, e T.F., capo società), assicurando le comunicazioni tra gli associati, partecipando alle riunioni e seguendo le direttive dei vertici della società e dell’associazione, riconoscendo e rispettando le gerarchie e le regole interne al sodalizio e curandone gli affari.

Quanto all’associazione l’ordinanza cautelare prende le mosse da alcuni passati giudicati che hanno accertato nel tempo la struttura originariamente orizzontale delle articolazioni del sodalizio e poi la sua evoluzione in senso piramidale. Fondamentali nella presente indagine (la Cd. operazione "(OMISSIS)") le conversazioni intercettate tra numerosi personaggi dove è frequente il riferimento alla "Provincia" come organismo di vertice, composto da elementi che abbiano almeno la carica di "Vangelo" (si fa il nome di O. D. da Rosarno come capo crimine, di L.A. da Reggio Calabria come capo società, di G.B. da San Luca come mastro generale, di M.R. da Bova Marina come mastro di giornata, di un soggetto non identificato di Platì come contabile).

Quanto allo specifico "locale" di Torino, l’attività investigativa rivelava i rapporti intercorrenti tra i Commisso di Siderno, storica famiglia della ‘ndrangheta calabrese, ed importanti esponenti della ‘ndrangheta del Piemonte, come C.G., capo locale del capoluogo di quella regione. C.G. risulta intervenire in prima persona, con un proprio viaggio a Torino, a comporre una crisi interna di quel locale per i malumori che intercorrevano tra l’anziano boss C.G. e il più giovane fratello G.. Risulta anche la contesa tra i locali dell’hinterland torinese per acquisire il comando del locale di Rivoli dopo l’arresto dei suoi vertici, i fratelli C., A. e C.: si apprendono in particolare le ambizioni di D.S., capo locale di San Mauro Torinese, e, con lui, del nominato C. G.. I due, però, vengono dissuasi da C.G. ed A. (zio del primo), sia per non venir messi gli stessi Commisso in cattiva luce agli occhi degli altri "sidernesi", sia perchè i Crea contavano ancora sull’aiuto di alcuni "giovanotti", residenti in Piemonte ma originari di Pazzano nella valle dello Stilaro; anche i Pelle di San Luca, pur’essi interessati, ed in particolare P.G. (inteso G.), avrebbero osteggiato l’operazione. Da ciò le considerazioni dei sodali (in particolare di C.G.) sull’opportunità di istituire anche in Piemonte, così come già era in Lombardia ed in Liguria, una "camera di controllo" sui (nove) locali presenti nella regione, anche se per fare ciò era necessario attendere gli esiti del "crimine" provinciale.

Diffusamente riportata nell’ordinanza la conversazione ambientale intercettata, il 27/7/09, nella lavanderia di Siderno di C. G., da cui risultava quanto si è appena detto:

la conversazione intercorre tra il detto C., lo zio C. A. (zio ‘. detto u.Q.) e C.G., che si intende essere appena arrivato, dove i tre (inizialmente presenti anche due mogli) discutono apertamente di aprire un nuovo "locale" di ‘ndrangheta a Chivasso (TO). E si fa anche il nome, nel contesto, di "compare D.F.", di cui il C. chiede notizie al C. (è l’odierno ricorrente D. F., residente a Nichelino e dal C. detto prossimo ad arrivare in Calabria, il 6/8, per il battesimo della figlia di " P.", e che poi in Calabria risulterà venire ancora, con un volo Torino-Lamezia del 19/8, per il matrimonio della figlia di P. G. e che sarà poi presente, a settembre, ad altro matrimonio, quello di F.M.). Si parla poi della vicenda dei Crea e del locale di Rivoli e nel discorso si cita ancora " D. F.", che pare di capire che non fosse favorevole a cambiare le cose durante la detenzione dei Crea e che di questo voleva parlare coi Commisso. Questi, tuttavia, convenivano che la decisione finale spettava alla famiglia dei Pelle: zio ‘. diceva agli altri che, quando sarebbe venuto "compare D.F.", sarebbero andati tutti e tre (il nipote G., il C. e il D.) dal Pelle e ne avrebbero parlato. Il nome del D. compare ancora nelle parole del C. (con cui ha di recente mangiato insieme a compare G. ovvero D.S.) e lo dice presente nel locale di San Mauro, di cui egli può disporre, insieme, appunto, al D.. Poi il discorso sulla camera di controllo.

I contenuti della conversazione sono riscontrati da un servizio di osservazione della Pg, che il 17/10/09 registrava a Torino, presso il bar Italia di C.G., un incontro ad alto livello in occasione del viaggio di C.G., presente tra gli altri D.F. (da commenti intercettati tra i sodali nei mesi seguenti si apprende che nel corso della riunione il C. aveva attaccato il D., il D. e tale C.P. e che, per la posizione assunta dal C., la tensione era alta anche da parte del D.).

Indiziante, inoltre, il contenuto criptico di una conversazione telefonica intercorsa il 20/9/09 tra il D. e tale B. D., residente a Nichelino, relativa ad un oggetto verosimilmente illecito (il D. spiega al B. che quando arriverà a Lamezia sarà contattato, per telefono, da un suo amico, con i capelli un po’ brizzolati, bianchi).

In sede di interrogatorio di garanzia il D. ammetteva di conoscere tutte le persone su citate e di avere partecipato alle varie occasioni di incontro, ma negava ogni coinvolgimento di ‘ndrangheta.

Quindi, per il Tribunale del riesame, la gravita del quadro indiziario (nonostante che l’identificazione del soggetto in altre conversazioni intercettate fosse messa in dubbio dalla difesa) e le conseguenti esigenze cautelari.

Ricorreva per cassazione la difesa, deducendo: 1) vizio di motivazione in ordine alla gravita del quadro indiziario (ricordata la contemporanea pendenza del processo in sede cautelare davanti alle AA.GG. di Torino e di Reggio Calabria, dove la posizione del D. era stata variamente valutata, la difesa lamentava in primo luogo come le indagini fossero inizialmente indirizzate verso un omonimo del D., nato e residente a San Luca e considerato particolarmente vicino alla famiglia dei Pelle, per poi rivolgersi verso l’odierno indagato: di qui l’oggettiva incertezza del soggetto cui i parlanti si riferiscono nelle conversazioni intercettate; priva di valenza illecita quella – l’unica in cui compare il D. – dove questi indirizza l’interlocutore, tale B.D., ad un amico del D. stesso che lo avrebbe accompagnato presso il carcere di Catanzaro a fare visita ad uno zio, tale Scivoli, ivi detenuto; l’indagato è di Mileto, mentre in una conversazione, del 13/12/09, risulta un D. di Serra San Bruno; non si capiva se il D., unitamente al D., peraltro mai indagato, appartenesse al "locale" di Torino o a quello di San Mauro; a carico del D. solo le conoscenze da lui stesso ammesse e la sua partecipazione alle varie cerimonie familiari; da alcune conversazioni sembra soggetto non ben conosciuto dallo stesso C., che comunque si sorprende quando C. lo dice intraneo al locale di San Mauro; nel suo passato solo condanne per reati politici, legati alla giovanile militanza nell’estrema sinistra; segnalati anche refusi materiali – il riferimento ad un tal R. a pag. 57 – nell’ordinanza impugnata); 2) conseguente violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari. Chiedeva l’annullamento.

All’udienza camerale fissata per la discussione il PG chiedeva la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Nessuno compariva per il ricorrente.

Il ricorso, manifestamente infondato, è inammissibile.

E’ giurisprudenza pacifica di legittimità che in tema di misure cautelari personali (Cass., S.U., sent. n. 11 del 22/3/00, rv.

215828, ric. Audino), allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza (ciò che al presente si registra, anche la dedotta violazione di legge identificandosi con il vizio di motivazione), alla Suprema Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento dei risultati probatori.

Nel caso in esame ciò è avvenuto, il giudice di merito avendo rappresentato in modo adeguato, logico e corretto la gravita del quadro indiziario a carico del ricorrente. In particolare la posizione del D., per come risulta dalle intercettazioni (che nel presente procedimento costituiscono solidi indizi dell’associazione criminosa in atto), appare quella di soggetto pienamente intraneo al sodalizio, in rapporti diretti e paritari con elementi di esso del massimo livello (tra tutti, i Commisso di Siderno ed i Pelle di San Luca).

L’elevato spessore indiziario delle conversazioni, captate in un’indagine riguardante un contesto malavitoso di notevole importanza e accertata vitalità, consente perciò di ritenere il D. – per voce dei suoi qualificati sodali – ben addentro alle logiche associative, alle sue dinamiche e alle sue gerarchie. E per l’odierno indagato non si tratta solo di conoscenza, ma di partecipazione attiva.

Non colgono pertanto nel segno le censure difensive, una volta che esse si limitano ad una diversa valutazione dei dati indiziari già compiutamente esaminati dal giudice del riesame con motivazione logica e corretta (come non rilevano le valutazioni in ipotesi difformi compiute in altra sede giudiziaria).

Ciò vale anche per i dubbi avanzati sull’identificazione stessa dell’odierno indagato nella persona di cui si parla nelle conversazioni intercettate: si tratta anche in questo caso di una diversa valutazione dei dati indiziari. La correttezza dell’identificazione risulta peraltro dal complesso dei dati:

l’esistenza di un omonimo di San Luca vicino ai Pelle (cui inizialmente si sarebbe indirizzata l’attenzione degli investigatori) non toglie che il D.F. che interessa (di Mileto, paese assai vicino alle Serre) è soggetto che non solo ha partecipato alle varie cerimonie familiari in Calabria di quell’estate del 2009, ma che per far ciò è venuto dal Piemonte, dove risiede (attivo nel locale di San Mauro, insieme a D.S.). La sua presenza all’incontro di Torino del 17/10/09 al bar Italia di C. G. (presente anche costui, uno dei parlanti nella conversazione intercettata il 27/7/09 nella lavanderia di Siderno dei Commisso) è accertata dai servizi di osservazione della Pg. Nessuna possibilità di equivoco, quindi, dove gli ulteriori rilievi della difesa in punto di identificazione sono o molto soggettivi (vedi la conversazione dove il C., contrariamente a tutte le altre volte, mostrerebbe di non conoscere il D., peraltro solo ipoteticamente identificato nel soggetto cui quello fa riferimento) o ininfluenti (come la biografia e i giovanili trascorsi politici dell’indagato o i refusi materiali segnalati nell’ordinanza impugnata).

Soggettiva anche l’interpretazione, come priva di valenza illecita, della conversazione del 20/9/09 (peraltro non decisiva) intercettata tra il D. e il B. (soggetto residente a Nichelino), che motivatamente il giudice del merito ritiene vertere (per la cripticità dei suoi contenuti) intorno a traffici illeciti.

Conseguente per legge (una volta accertato il quadro indiziario ed apprezzato il suo spessore) la disposta misura cautelare ( art. 275 c.p.p., comma 3).

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue per legge ( art. 616 c.p.p.) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una congrua sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende. Trattandosi di soggetto in custodia cautelare in carcere va disposto ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa della ammende. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

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