Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-02-2012, n. 2500 Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso alla Corte d’appello di Milano la sig.ra C.S. N. si doleva che il Giudice Unico del Tribunale di Como avesse respinto le sue domande, contro la S.p.A. Artsana, di risarcimento per danno da demansionamento, di annullamento del licenziamento intimatole il 24 gennaio 2005 con reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento del danno ed, in via subordinata, di integrazione del trattamento di fine rapporto.

Assumeva che il primo Giudice aveva errato a non tener conto che, dopo i brillanti esiti della direzione del negozio in via (OMISSIS), nonchè del buon esito dell’incarico di coordinamento della catena di negozi Chicco in (OMISSIS), era stata addetta alla gestione del punto vendita di (OMISSIS), quindi trasferita su sua richiesta a quello di (OMISSIS). Aggiungeva che lo stesso Giudice aveva, inoltre, trascurato di considerare che, nel frattempo, a seguito di ripetuti periodi nei quali era stata costretta ad assentarsi, anche usufruendo di aspettative non retribuite per la difficile situazione di salute e familiare, dovuta al susseguirsi di quattro gravidanze, l’atteggiamento della società non aveva consentito una adeguata sistemazione, che tenesse conto delle sue esigenze familiari; anzi la società, dopo averla spinta inutilmente a dare le dimissioni, la licenziava con lettera del 27 gennaio, per soppressione del punto vendita di Monza.

La società resisteva al gravame.

Con sentenza del 28 maggio-6 agosto 2008, l’adita Corte d’appello di Milano rigettava l’impugnazione, osservando che l’appello sul demansionamento ed il licenziamento non poteva essere accolto, in quanto, benchè corrispondesse al vero che la C. avesse prestato una positiva opera nei primi tempi del suo rapporto portando avanti brillantemente l’incarico di coordinamento della catena di vendita in (OMISSIS), di maggiore qualificazione professionale rispetto alla mera direzione di uno specifico punto di vendita in Italia, se pure molto grande, tuttavia tale situazione era venuta meno non per volontà della datrice di lavoro, che aveva proposto la continuazione, ma per esigenze personali familiari della stessa C. non compatibili con l’organizzazione aziendale. Il licenziamento era poi intervenuto quando, a seguito della soppressione del punto vendita di (OMISSIS), la C., nel frattempo costretta ad assentarsi ripetutamente dal lavoro, non aveva accettato, in base a valutazioni personali, proposte di collocazione adeguate.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre C.S.N. con un unico motivo.

Resiste l’Artsana S.p.A con controricorso.

Motivi della decisione

Va preliminarmente osservato che la Corte d’appello, in relazione all’impugnato licenziamento, ha puntualizzato che esso era intervenuto quando, a seguito della soppressione del punto vendita di (OMISSIS), la C., nel frattempo costretta ad assentarsi ripetutamente dal lavoro, in occasione della ripresa, non aveva potuto accettare proposte di collocazione anche a livello superiore della mera direzione di un punto vendita perchè troppo impegnative ed incompatibili con il part-time, che invece avrebbe voluto effettuare.

Sicchè era proprio questo mancato incontro di disponibilità che era alla base del licenziamento, come conseguenza inevitabile dell’impossibilità di trovare alla C. un’adeguata collocazione lavorativa, compatibile con le esigenze familiari della stessa.

Pertanto, nulla poteva rimproverarsi alla società che aveva proposto varie collocazioni confacenti al suo livello professionale.

Orbene, con un unico mezzo d’impugnazione la ricorrente, dopo avere precisato di prestare acquiescenza alla pronuncia della Corte di Milano nella parte in cui aveva respinto la domanda di declaratoria del demansionamento e le conseguenti domande risarcitone, denunciando insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5), lamenta che il Giudice d’appello sarebbe pervenuto alle contestate conclusioni circa la legittimità del licenziamento in oggetto, senza fare alcun riferimento alle fonti processuali poste a base del suo convincimento. Il motivo è infondato.

Va premesso che è giurisprudenza costante di questa Corte che il ricorso per Cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato(o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (cfr. ex plurimis: Cass. 22 maggio 2001 n. 6975, Cass. 15 aprile 2000 n. 4916; Cass. 27 ottobre 1995 n. 11154). E nella stessa direzione è stato anche ribadito che la valutazione dei fatti e delle prove, istituzionalmente rimesso al giudice di merito, non è censurabile in sede di controllo di legittimità salvo che tale valutazione non sia logicamente congruamente motivata sicchè, in forza di tale principio, il controllo di legittimità non può riguardare il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi indiziari ma solo la sua congruenza dal punto di vista della logica e del rispetto dei principi di diritto che regolano tale mezzo di prova (cfr. per tutte: Cass. 15 dicembre 1997 n. 12652). Orbene, nel caso di specie, la Corte d’appello di Milano ha proceduto ad una esposizione dei fatti, muovendo, in maniera implicita ma non per questo poco chiara, dal materiale probatorio acquisito, come, del resto, è confermato dalla difesa di entrambe le parti, che a tale materiale fa riferimento; sicchè la contestazione mossa alle argomentazioni della Corte finisce con rappresentare una mera lettura del materiale probatorio acquisito, difforme da quella del Giudice. Nè rileva – considerato che l’art. 421 c.p.c. consente ampia discrezionalità al Giudice del lavoro circa le modalità di acquisizione delle prove e di interrogatorio dei testi ammessi – che la Corte d’Appello non abbia dato seguito alle richieste della Sig.ra C., inducendo questa a censurare, nel proprio ricorso, il comportamento della Corte, sotto il profilo che un’integrazione dell’istruttoria avrebbe potuto provare la fondatezza delle domande dalla stessa formulate.

Per quanto precede, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 50,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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