Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-02-2012, n. 2498 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 2043 del 2006, rigettava l’impugnazione proposta da Poste Italiane spa, nei confronti di F.R., in ordine alla sentenza n. 54/05 emessa dal Tribunale di Aosta.

2. Il giudice di primo grado aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro nel periodo 14 febbraio 1998 (rectius 16 febbraio 1998, essendo il 14 il giorno di stipula, ma il 16 quello di decorrenza) 30 aprile 1998 e che tra le parti si era costituito un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con la condanna di Poste italiane al pagamento delle retribuzioni maturate dal 12 maggio 2004 (data di esperimento del tentativo obbligatorio dì conciliazione).

3. La Corte torinese affermava che, nel corso di tutto il periodo considerato, il lavoratore aveva prestato attività presso la filiale di Aosta, svolgendo mansioni ordinarie dell’Area operativa (portalettere), e che non emergeva dagli atti alcun dato in ordine alla connessione tra la posizione del lavoratore e le eventuali esigenze eccezionali connesse con la fase di ristrutturazione in corso.

3. Per la cassazione della suddetta sentenza pronunciata in grado di appello, ricorre Poste italiane spa prospettando due motivi di impugnazione.

4. Resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato, assistito da due motivi, F.R..

5. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Motivazione semplificata.

1. In via preliminare, va disposta la riunione dei ricorsi in quanto proposti in ordine alla medesima sentenza.

2. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, degli artt. 1362 e ss, in relazione all’Accordo 25 settembre 1997 e successivi accordi integrativi ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Il motivo è così precisato nel quesito di diritto: se costituisce violazione delle suddette norme, in relazione all’art. 8 del CCNL del 26 novembre 1994, aver subordinato la legittimità del contratto a termine in oggetto alla dimostrazione della sussistenza del nesso eziologico tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze dedotte anche con riferimento allo specifico ufficio di applicazione.

Se in relazione alla cd. delega in bianco rilasciata dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 ed a fronte dell’interpretazione letterale dell’Accordo 25 settembre 1997 e di quelli successivi, nonchè del comportamento complessivo tenuto dalle parti sociali, il termine apposto al contratto per le esigenze eccezionali di cui al citato accordo, sia legittimo anche in assenza della prova del nesso causale tra tali esigenze e la specifica assunzione per cui è causa, non avendo le parti collettive previsto nè voluto tale requisito.

2.1. Il motivo non è fondato, in ragione dei principi più volte affermati da questa Corte in tema di contratti a termine, di cui la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione, con motivazione congrua.

Al riguardo, in primo luogo, non può prescindersi dal dato temporale e dalla causale dello specifico contratto a termine. Il contratto in questione è relativo al periodo 16 febbraio 1998-30 aprile 1998 ed è motivato per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane.

Per i contratti che ricadono temporalmente nella previsione di cui al D.L. n. 510 del 1996, art. 9, convertito in L. n. 608 del 1996, trova applicazione la suddetta disposizione che "prevede che le assunzioni a tempo determinato effettuate dall’ente poste nel periodo compreso dal 26 novembre 1994 al 30 giugno 1997 decadono allo scadere del termine finale di ciascun contratto e non possono quindi dare luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato" (v. Cass., n. 13515 del 2001, Cass., n. 668 del 2002, Cass., n. 2615 del 2002).

Tale norma eccezionale (che, giustificata da esigenze peculiari nella fase di transizione tra il regime pubblicistico e il regime privatistico, ha superato il vaglio di costituzionalità, v. C. cost. n. 419 del 2000), "esprime con chiarezza l’intento di rendere temporaneamente inoperanti, a tutti i contratti conclusi nel determinato arco di tempo, le disposizioni della legge n. 230 del 1962 e successive modifiche" (v. Cass., n. 2615 del 2002 cit.).

Per i contratti successivi al detto periodo ed anteriori al CCNL dell’11 gennaio 2001 (nonchè al nuovo regime previsto dal D.Lgs. n. 348 del 2001) vanno applicati i principi più volte affermati da questa Corte in materia, in base ai quali, sulla scia di Cass. S.U., n. 4588 del 2006, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali e di provare la sussistenza del nesso causale fra le mansioni in concreto affidate e le esigenze aziendali poste a fondamento dell’assunzione a termine" (v. fra le altre Cass., n. 15981 del 2009, Cass., n. 21063 del 2008).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo), la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v., fra le altre, Cass., n. 18383 del 2006, Cass., n. 7745 del 2005, Cass. n. 2866 del 2004), per cui, deve ritenersi che in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che per il periodo anteriore al 30 aprile 1998, per la legittimità del contratto a termine, occorre il nesso con le esigenze eccezionali, mentre deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass. n. 20608 del 2007, Cass. n. 7979 del 2008, Cass., n. 18378 del 2006).

Peraltro, tale limite temporale (del 30 aprile 1998) non riguarda i contratti stipulati ex art. 8 CCNL 1994 per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie" (per i quali v. fra le altre Cass., n. 4933 dei 2007, Cass., n. 8122 del 2008), mentre, per quanto riguarda la proroga di trenta giorni prevista dall’accordo 27 aprile 1998, per i contratti in scadenza al 30 aprile 1998, la giurisprudenza costante di questa Corte ne ha affermato la legittimità, sulla base della sussistenza, riconosciuta in sede collettiva, delle esigenze contingenti ed imprevedibili, connesse con i ritardi che hanno inciso negativamente sul programma di ristrutturazione (v. fra le altre Cass., n. 19696 del 2007).

3. Con il secondo motivo di impugnazione, assistito dal prescritto quesito di diritto, è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, art. 1362 c.c., comma 2, art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 1 e 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio.

La Corte torinese non avrebbe pronunciato in ordine alla eccezione subordinata di intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso tacito, in ragione della mancanza di qualsiasi manifestazione di interesse alla funzionalità di fatto di un contratto con termine in ipotesi illegittimamente apposto.

3.1. Il motivo è inammissibile. Per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo la Corte di Cassazione abilitata all’esame diretto degli atti delle cause di merito, salvo quanto affermato dalla giurisprudenza per l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente avrebbe dovuto trascrivere in ricorso (in modo completo o quantomeno nelle parti salienti) l’atto di appello e dimostrare che nel suddetto atto di impugnazione era stata prospettata la censura rispetto alla quale si deduce il vizio di omessa motivazione.

Di conseguenza questa Corte non è stata messa in grado di valutare la fondatezza e la decisività delle censure.

4. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

5. Al rigetto del ricorso principale consegue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e rigetta il ricorso principale.

Assorbito il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 50,00 per esborsi, Euro tremila per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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