Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-02-2012, n. 2497 Licenziamento per causa di malattia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Ivrea la società Nicma srl ha chiesto che venisse accertata la legittimità del licenziamento intimato a G.M. per superamento del periodo di comporto ed impugnato dal lavoratore con lettera del 4.7.2006.

Il G. si è costituito in giudizio contestando la fondatezza della domanda e proponendo domanda riconvenzionale tendente ad ottenere l’annullamento o la revoca del licenziamento, la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno per "mobbing" e per demansionamento, stante il pregiudizio arrecatogli dalla società, che lo aveva trasferito dallo stabilimento di Massa alla sede principale, che si trovava in provincia di Torino, e nella quale gli erano state assegnate mansioni inferiori a quelle proprie della sua qualifica di quadro; ha chiesto altresì la revoca dei provvedimenti disciplinari del 2005 e del 2006, che gli erano stati irrogati con l’unico intento di nuocere alla sua dignità e professionalità, nonchè la condanna della società al pagamento di compensi arretrati e indennità contrattuali previste in caso di trasferimento.

Il Tribunale ha dichiarato la legittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto ed ha respinto tutte le domande proposte dal lavoratore (tranne quella relativa al pagamento degli arretrati) con sentenza che è stata confermata dalla Corte di Appello di Torino, che ha ritenuto che le censure del ricorrente fossero precluse, per il periodo precedente al 27.5.2005, dalla conciliazione intervenuta tra le parti, nella stessa data, nell’ambito del giudizio avente ad oggetto l’impugnazione del trasferimento e che non vi fossero prove sufficienti dell’esistenza di comportamenti datoriali idonei ad integrare l’ipotesi del "mobbing" per il periodo successivo al maggio 2005. Anche la domanda relativa alla corresponsione delle indennità contrattuali previste in caso di trasferimento è stata respinta, poichè, secondo la Corte territoriale, doveva ritenersi che, con la transazione del maggio 2005, le parti avessero inteso rideterminare nella sua globalità il trattamento economico spettante al G., trattamento che, del resto, risultava di maggior favore di quello derivante dall’applicazione degli istituti contrattuali invocati dal lavoratore.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione G.M. affidandosi a sette motivi di ricorso cui resiste con controricorso la Nicma srl.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo si denuncia, sotto il profilo della violazione di norme di diritto e del vizio di motivazione ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), l’omessa pronuncia della Corte d’appello sull’eccezione di nullità della procura rilasciata per il giudizio di appello dal Presidente del Consiglio di amministrazione della Nicma, rilevando che tale soggetto sarebbe sprovvisto del potere rappresentativo, che dovrebbe ritenersi spettante solo al Consiglio di amministrazione, e non già al suo Presidente, in difetto di preventiva delibera di tale organo.

2.- Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 51 c.c.n.l. imprese di pulizie, nonchè vizio di motivazione, in relazione al calcolo dei giorni di malattia, che sarebbe stato effettuato avendo riguardo anche al periodo del quale, secondo la sentenza impugnata, non si doveva tener conto ai fini dell’accertamento del "mobbing" in quanto antecedente alla conciliazione giudiziale, sostenendo che, se di tale periodo non si poteva tener conto a quest’ultimo fine, lo stesso doveva accadere anche agli effetti del calcolo dei giorni di malattia ai fini del superamento del periodo di comporto.

3.- Con il terzo motivo si contesta l’interpretazione data dalla Corte d’appello all’atto del 27.5.2005 come atto di natura transattiva, nonostante l’assenza, nello stesso, del presupposto delle "reciproche concessioni", sostenendo che non può valere ad integrare l’ipotesi delle "reciproche concessioni" il solo sacrificio di una parte (l’accettazione del trasferimento) a favore dell’altra.

4.- Con il quarto motivo si contesta la valutazione delle risultanze istruttorie relative all’esistenza del "mobbing", assumendo che la stessa sarebbe stata negata dalla Corte d’appello sulla base di un esame superficiale e non obiettivo degli elementi emersi a seguito dell’attività istruttoria.

5.- Con il quinto motivo si lamenta l’omesso esame della domanda risarcitoria per quanto concerne i danni derivati dai singoli comportamenti del datore di lavoro, anche a prescindere dalla loro riconducibilità ad ipotesi di "mobbing". 6.- Con il sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 31 del c.c.n.l. imprese di pulizie, nonchè vizio di motivazione, per quanto riguarda la statuizione con la quale il giudice d’appello ha ritenuto non spettante la diaria di cui alla citata disposizione contrattuale perchè assorbita nel trattamento economico globale concordato tra le parti con la conciliazione del maggio 2005. 7.- Con il settimo motivo si denuncia violazione dell’art. 92 c.p.c. e del principio di imparzialità del giudice, nonchè vizio di motivazione, in relazione alla statuizione con cui il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese di lite.

8.- Il primo motivo è infondato. Questa Corte ha già affermato (cfr. da ultimo Cass. n. 3541/2009) che la parte che contesti che la persona fisica, la quale assume di rivestire la qualità di legale rappresentante di una persona giuridica, manca del potere rappresentativo, deve sollevare siffatta contestazione nella prima difesa, restando così onere dell’altra parte documentare la pretesa qualità.

Nella specie, il ricorrente non ha allegato di aver sollevato tale questione nella prima difesa, limitandosi a dedurre di averla proposta all’udienza di discussione del 14.7.2009, In ogni caso, a prescindere dalla pur assorbente considerazione che il vizio di omessa pronuncia integra una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e non sotto il profilo della violazione di norme di diritto ( art. 360 c.p.c., n. 3) o come vizio della motivazione ( art. 360 c.p.c., n. 5), va rilevato che la società ha prodotto copia della delibera del Consiglio di amministrazione del 5 febbraio 2002, che ha attribuito al Presidente dell’organo tutti i poteri di firma per l’ordinaria e straordinaria amministrazione, tra i quali rientra certamente quello di rappresentare la società quando questa sia convenuta in giudizio.

Il primo motivo deve essere pertanto respinto.

9.- Il secondo motivo deve ritenersi inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sia perchè non viene riportato il testo della norma del contratto collettivo di cui viene denunciata la violazione, sia perchè non viene specificato se e come la questione del calcolo dei giorni di malattia, agli effetti del superamento del periodo di comporto, sia stata proposta nei precedenti gradi di giudizio; e tutto ciò a prescindere dalla considerazione che il contratto collettivo oggetto dell’esame del giudice d’appello non risulta essere stato ritualmente allegato al ricorso per cassazione, con la conseguenza che, per la parte in cui viene denunciata una violazione delle norme del contratto collettivo, il motivo dovrebbe, comunque, ritenersi improcedibile, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2. 10.- Questa Corte ha ripetutamente affermato, infatti, che in tema di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi, è improcedibile quel ricorso al quale non è stato allegato in veste integrale l’accordo collettivo di cui si controverte, atteso che l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 pone a carico del ricorrente un vero e proprio onere di produzione, che ha per oggetto il contratto collettivo nel suo testo integrale e non già solo nella parte su cui si è svolto il contraddittorio o che viene invocata nell’impugnazione di legittimità; ciò perchè la Cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, ben può cercare all’interno del contratto collettivo ciascuna clausola, anche non oggetto dell’esame delle parti o del giudice di merito, che comunque ritenga utile all’interpretazione (sull’onere di produzione del testo integrale dei contratti collettivi sui quali il ricorso si fonda, cfr. ex multis Cass. sez. unite n. 20075/2010, Cass. n. 4373/2010, Cass. n. 219/2010, Cass. n. 27876/2009, Cass. n. 16619/2009, Cass. n. 15495/2009, Cass. n. 2855/2009, Cass. n. 21080/2008, Cass. n. 6432/2008, cui adde Cass. n. 21366/2010 e Cass. n. 21358/2010). Si è precisato, inoltre, che l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi, imposto a pena d’improcedibilità del ricorso per cassazione dall’art. 369, comma 2, n. 4, è soddisfatto solo con il deposito da parte del ricorrente dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato già effettuato il deposito di detti atti (Cass. n. 4373/2010 cit.) e che l’onere di depositare il testo integrale dei contratti collettivi di diritto privato previsto dalla citata norma non è limitato al procedimento di accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all’art. 429 bis c.p.c., ma si estende al ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avuto riguardo alla necessità che la S.C. sia messa in condizione di valutare la portata delle singole clausole contrattuali alla luce della complessiva pattuizione, e dovendosi ritenere pregiudicata la funzione nomofilattica della S.C. ove l’interpretazione delle norme collettive dovesse essere limitata alle sole clausole contrattuali esaminate nei gradi di merito (Cass. sez. unite n. 20075/2010 cit., nonchè Cass. n. 27876/2009 cit.).

11.- Il terzo motivo è infondato. Questa corte ha costantemente affermato che l’interpretazione del contratto è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ovvero per vizi di motivazione (cfr. ex plurimis Cass. n, 10232/2009, Cass. n. 10218/2008). Per quanto riguarda più specificamente il negozio transattivo, si è precisato che l’accertamento della natura transattiva, o meno, di un negozio è rimesso all’apprezzamento di fatto del giudice di merito ed è sottratto al sindacato di legittimità, salvo che la motivazione non consenta la ricostruzione dell'(Ver logico seguito dal giudice per giungere ad attribuire al negozio un determinato significato oppure nel caso di violazione delle norme di ermeneutica ex art. 1362 c.c., ovvero se la relativa decisione non sia sorretta da un motivazione congrua, logica e completa (Cass. n. 17817/2005).

Nella specie, la Corte territoriale ha osservato che l’accordo con cui le parti avevano inteso porre fine al giudizio avente ad oggetto l’impugnativa del trasferimento del lavoratore presso la sede principale della società, aveva certamente natura transattiva, posto che con esso le parti avevano deciso di porre fine alla controversia in atto mediante lo scambio di reciproche concessioni, rinunciando il G. all’impugnazione del trasferimento e confermando, la società, il riconoscimento della qualifica e delle mansioni del lavoratore, così come indicate nel ricorso, con l’inserimento dell’importo corrisposto a titolo di "incentivo" nella voce "stipendio", essendone "mutata l’imputazione" (cfr. pagg. 12-13 della sentenza impugnata).

Si tratta, dunque, di una valutazione di merito, riservata al giudice d’appello e non censurabile in sede di legittimità in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria;

anche perchè il ricorrente non indica specificamente nel ricorso quali sarebbero i singoli canoni ermeneutici violati, nè le ragioni della loro eventuale violazione, sicchè le censure espresse con il motivo in esame rimangono confinate, in definitiva, ad una mera contrapposizione rispetto a tale valutazione di merito operata dalla Corte d’appello, inidonea a radicare un deducibile vizio di legittimità di quest’ultima.

12.- Il quarto motivo, con cui si contesta la valutazione che la Corte d’appello ha dato delle risultanze istruttorie in ordine all’esistenza di una condotta del datore di lavoro idonea ad integrare la nozione di "mobbing", sostenendo la necessità di prendere in considerazione anche il periodo precedente alla conciliazione, è assorbito dal rigetto del terzo motivo.

13.- Anche il quinto motivo, con il quale si sostiene la tesi della illegittimità dei singoli comportamenti datoriali, a prescindere dallo loro riconducibilità all’ipotesi del "mobbing", è assorbito dal rigetto dei motivi che precedono, dato che il ricorrente non distingue, tra tali comportamenti, quelli antecedenti alla data del 27.5.2005 (e cioè quella della conciliazione) da quelli successivi e che, comunque, la Corte territoriale, con una valutazione di fatto insindacabile in questa sede di legittimità, ha ritenuto di escludere l’esistenza dei profili di illegittimità dedotti dal ricorrente (cfr. la disamina condotta in motivazione, da pag. 18 a pag. 21, non contestata in modo specifico dal ricorrente).

14.- Il sesto motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza (non vengono riportati il testo integrale dell’art. 31 c.c.n.l., di cui pure viene lamentata la violazione, nè il contenuto della conciliazione e delle buste paga, alle quali si fa riferimento nello stesso motivo) e dovrebbe comunque ritenersi improcedibile – sulla base delle stesse argomentazioni già esposte sub 9)e 10) -non essendo stato prodotto il testo integrale del contrato collettivo, nè depositati, unitamente al ricorso per cassazione, i documenti (verbale di conciliazione, buste paga) sui quali si fondano le censure svolte nel motivo in esame (non essendo sufficiente, a tal fine, il mero deposito dei fascicoli di parte dei precedenti gradi di giudizio, senza una specifica indicazione della sede in cui il documento è rinvenibile).

15.- Anche il settimo motivo deve, infine, ritenersi inammissibile, trattandosi di censure del tutto generiche, comunque precluse dal principio secondo cui la determinazione delle spese giudiziali costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità, se non quando l’interessato specifichi le singole voci della tariffa che assume essere state violate, indicando anche i conteggi che rivelino l’inadeguatezza delle somme liquidate (cfr. ex plurimis Cass. n. 11583/2004, Cass. n. 7527/2002, Cass. n. 14011/2001), ipotesi, questa, che non si verifica nella fattispecie in esame.

16.- Il ricorso va, dunque, rigettato con la conferma della sentenza impugnata.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre Iva, Cpa e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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