Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-02-2012, n. 2496 Associazione in partecipazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. In data 14 ottobre 2000 la società Cesar di Barbarossa Enio & F.lli s.r.l. riceveva cartella esattoriale di pagamento per contributi dovuti all’Inps nella misura di lire 503.492.522. La somma era richiesta titolo di contributi per assicurazioni sociali dei lavoratori dipendenti relativamente al periodo da febbraio del 1994 all’aprile 1998.

Con ricorso in data 20 novembre 2000 la società adiva il tribunale di Sulmona al fine di ottenere l’annullamento dell’impugnata cartella esattoriale.

Successivamente la stessa società riceveva in data 7 maggio 2003 altra cartella esattoriale con cui veniva chiesto il pagamento di contributi per un importo complessivo di Euro 63.919,11 per contributi dovuti al Servizio sanitario nazionale.

Con sentenza del 13 marzo 2003 il tribunale di Sulmona ha annullato l’ordinanza ingiunzione suddetta e decidendo nel merito ha statuito che nel rapporto instaurato con gli associati in partecipazione non sussistevano gli elementi della subordinazione. Riteneva quindi che tra le parti associate era intercorso un effettivo rapporto di associazione in partecipazione secondo la fattispecie di cui all’art. 2249 c.c..

Con sentenza n. 36 del 24 gennaio 2007 – 30 gennaio 2008 il tribunale di Sulmona dichiarava inammissibile la domanda proposta dalla Barbarossa in proprio per carenza di interesse e accoglieva i ricorsi proposti dalla società e per l’effetto annullava il verbale ispettivo impugnato del 15 giugno 1998 nonchè le cartelle esattoriali opposte di cui ai nn. (OMISSIS) e (OMISSIS).

2. L’Inps proponeva appello.

Si costituivano in giudizio gli appellati.

La Corte d’appello dell’Aquila con sentenza n. 605 del 15 ottobre 2009 – 29 gennaio 2010 accoglieva l’appello e riformava la sentenza del tribunale di Sulmona n. 36 del 30 gennaio 2008. Rigettava e il ricorso in opposizione avverso le due cartelle esattoriali suddette (di cui ai nn. (OMISSIS) e (OMISSIS)).

In particolare osservava la Corte d’appello che gli elementi distintivi del contratto di associazione in partecipazione rispetto al rapporto di lavoro subordinato andavano individuati del potere di controllo dell’associato sulla gestione economica dell’impresa, comportante l’obbligo del rendiconto periodico da parte della associante e nell’esistenza dell’associato un rischio d’impresa, non imputabile al associante, comportante l’assenza di una garanzia di guadagno per il prestatore di lavoro. In tutti gli altri casi invece, in mancanza dei requisiti suddetti, il rapporto doveva essere ricondotto allo schema del lavoro subordinato. Passando in rassegna le risultanze probatorie la corte d’appello è pervenuta al convincimento che, avuto riguardo alle modalità di concreto svolgimento dell’attività lavorativa, sussistevano i tratti maggiormente tipici della rapporto di lavoro subordinato.

Condannava l’appellante al rimborso delle spese del doppio grado.

3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la società con otto motivi illustrati anche da successiva memoria.

Resiste con controricorso l’INPS. La società SOGET s.p.a. si è costituita con controricorso; nessuna difesa ha svolto la società MONTEPASCHI SERIT s.p.a..

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in otto motivi.

Con il primo motivo la società ricorrente denuncia difetto di motivazione su punti decisivi della controversia. In particolare richiama – e trascrive pedissequamente – la motivazione della sentenza n. 3894 del 2009 per sostenere che nella specie si trattava di associazione in partecipazione e non già di lavoro subordinato.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione del D.L. n. 46 del 1999, art. 24, nonchè vizio di motivazione. Sostiene l’erroneità della sentenza della corte d’appello che ha legittimato l’iscrizione a ruolo e la cartella in assenza di valido accertamento non solo impugnato, ma dichiarato definitivamente nullo. Deduce altresì vizio di motivazione.

Con il terzo motivo la società denuncia insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia. Contesta in particolare la ritenuta subordinazione nel rapporto.

Con il quarto e il quinto motivo la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2549 c.c., nonchè vizio di motivazione. In particolare contesta l’esistenza di un controllo penetrante e costante del datore di lavoro, come ritenuto dalla corte.

Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando che la corte d’appello sarebbe andata al di là della domanda giacchè l’Inps non deduceva nell’atto d’appello l’insussistenza del rapporto di associazione in partecipazione.

Comunque il contenuto dei singoli contratti con gli associati mostrava l’esistenza di un effettivo rapporto associativo.

Con l’ottavo ed ultimo motivo la ricorrente – denunciando vizio di motivazione – deduce che ogni associato apportare la propria prestazione lavorativa in cambio di una partecipazione agli utili derivanti dall’esercizio del negozio (ossia dalla differenza tra i ricavi delle vendite e dei costi di produzione); ma gli utili erano calcolati forfettariamente senza possibilità di conguaglio. Comunque l’introito che derivava dall’associazione all’associato era collegato ad un ricavo dell’azienda, sempre variabile; ricavo che derivava dalla capacità del punto vendita.

2. Il ricorso – i cui otto motivi possono essere esaminati congiuntamente – è infondato.

In tema di distinzione fra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa, questa Corte (Cass., sez. lav., 19 dicembre 2003, n. 19475; Cass., sez. lav., 22 novembre 2006, n. 24781) ha affermato che l’elemento differenziale tra le due fattispecie risiede nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l’apporto della prestazione lavorativa dovendosi verificare l’autenticità del rapporto di associazione, che ha come elemento essenziale, connotante la causa, la partecipazione dell’associato al rischio di impresa, dovendo egli partecipare sia agli utili che alle perdite.

Quanto all’esatta identificazione delle connotazioni del rapporto intercorso tra la società ed il suo asserito associato e la qualificazione giuridica dello stesso (se rapporto di associazione in partecipazione ovvero rapporto di lavoro subordinato), deve considerarsi che le parti hanno qualificato il rapporto, tra loro stesse instaurato, come di associazione in partecipazione caratterizzato nella specie dall’apporto di una prestazione lavorativa da parte degli associati. L’art. 2549 c.c., infatti prevede che con il contratto di associazione in partecipazione l’assodante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto. Il sinallagma è costituito dalla partecipazione agli utili (e quindi al rischio d’impresa, di norma esteso anche alla partecipazione alle perdite) a fronte di un "determinato apporto" dell’associato, che può consistere anche nella prestazione lavorativa del medesimo. Che ciò sia possibile risulta anche indirettamente da C. cost. 15 luglio 1992, n. 332, che ha dichiarato illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., e art. 38 Cost., comma 1, il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 4, nella parte in cui non prevede tra le persone assicurate gli associati in partecipazione i quali prestino opera manuale. In tal caso l’associato che offre la propria prestazione lavorativa si inserisce nell’assetto organizzativo aziendale e quindi – essendo la gestione dell’impresa nella disponibilità dell’assodante (art. 2552 c.c., comma 1) – si sottopone al potere direttivo di quest’ultimo. E ben possibile allora che l’espletamento della prestazione lavorativa assuma caratteri in tutto simili a quelli della prestazione lavorativa svolta nel contesto di un rapporto di lavoro subordinato.

Ed allora l’elemento differenziale tra le due fattispecie risiede essenzialmente nel contesto regolamentare pattizio in cui si inseriscono rispettivamente l’apporto della prestazione lavorativa da parte dell’associato e l’espletamento di analoga prestazione lavorativa da parte di un lavoratore subordinato. Tale accertamento implica necessariamente una valutazione complessiva e comparativa dell’assetto negoziale, quale voluto dalle parti e quale in concreto posto in essere. Ed anzi la possibilità che l’apporto della prestazione lavorativa dell’associato abbia connotazioni in tutto analoghe a quelle dell’espletamento di una prestazione lavorativa in regime di lavoro subordinato comporta che il fulcro dell’indagine si sposta soprattutto sulla verifica dell’autenticità del rapporto di associazione.

Il quale – come già rilevato – ha come indefettibile elemento essenziale, che ne connota la causa, il sinallagma tra partecipazione al rischio dell’impresa gestita dall’associante a fronte del conferimento dell’apporto (in questo caso, lavorativo) dell’associato, intendendosi peraltro in tal caso che l’associato lavoratore deve partecipare sia agli utili che alle perdite (ex art. 2554 c.c., non essendo ammissibile un contratto di mera cointeressenza agli utili di un’impresa senza partecipazione alle perdite, atteso che l’art. 2554, che pur in generale lo prevede, richiama invece l’art. 2102 c.c., quanto alla sola partecipazione agli utili attribuita al prestatore di lavoro, mostrando così di escludere l’ammissibilità di un tale contratto di mera cointeressenza allorchè l’apporto dell’associato consista in una prestazione lavorativa.

Comunque nella specie i giudici di merito hanno escluso la partecipazione degli associati al rischio d’impresa "tout court" e quindi deve intendersi che abbiano escluso la partecipazione sia agli utili che alle perdite. Nè è mancata la verifica di ulteriori elementi caratterizzanti il contratto di associazione, quali il controllo della gestione dell’impresa da parte dell’associato (art. 2552 c.c., comma 2) ovvero il periodico rendiconto dell’assodante (art. 2552 c.c., comma 3).

La partecipazione al rischio d’impresa da parte dell’associato caratterizza la causa tipica dell’associazione in partecipazione.

Quindi, una volta verificato che all’assetto contrattuale voluto dalle parti non corrispondeva la concreta attuazione di un rapporto di associazione in partecipazione, i giudici di merito hanno correttamente valutato, in questa diversa prospettiva del raggiunto convincimento dell’inesistenza di un rapporto di associazione in partecipazione tra le parti, l’espletamento di una prestazione lavorativa da parte di lavoratori (e non già di associati in partecipazione) ed hanno proceduto alla qualificazione giuridica del rapporto di fatto intercorso tra le parti, una volta esclusa l’autenticità della qualificazione formale voluta dalle stesse.

C’è poi anche da considerare che, laddove è resa una prestazione lavorativa inserita stabilmente nel contesto dell’organizzazione aziendale senza partecipazione al rischio d’impresa e senza ingerenza nella gestione dell’impresa stessa, si ricade nel rapporto di lavoro subordinato in ragione di un generale "favor" accordato dall’art. 35 Cost., che tutela il lavoro "in tutte le sue forme ed applicazioni".

In punto di fatto deve poi rimarcarsi che la corte d’appello – che correttamente ha ritenuto non determinante la qualificazione formale che le parti avevano dato alla rapporto contrattuale – ha considerato che nel periodo in questione, va dal 1 febbraio 1994 al 30 aprile 1998, il potere di gestione del contratto di associazione in partecipazione era stato attribuito all’assodante. Agli associati era riconosciuto una partecipazione agli utili dell’impresa a fronte del loro apporto, consistente nella prestazione lavorativa. In tal caso l’espletamento della prestazione lavorativa assumeva caratteri in tutto simili alla prestazione lavorativa svolta nel contesto di un rapporto di lavoro subordinato.

In particolare le mansioni degli associati/lavoratori erano consistite essenzialmente nell’apertura e nella chiusura del negozio, nella pulizia e nella tenuta in perfetto ordine del negozio stesso, nella riscossione delle vendite e nella successiva rimessa a fine giornata dei ricavi a mezzo di cassa continua alla società. Si trattava pertanto di una prestazione lavorativa standardizzata. Dalle risultanze di causa era altresì emersa l’osservanza dell’orario di lavoro ben determinato, non contraddetto da una certa autonomia degli associati dell’organizzazione del lavoro. Era altresì emerso un controllo penetrante costante sull’operato degli associati da parte dell’assodante; di qui una soggezione al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro tanto che era rimesso alla facoltà insindacabile dell’assodante di non rinnovare il contratto alla scadenza dei sei mesi di validità. Era poi mancato un vero e proprio rendiconto periodico.

La corte territoriale ha quindi tenuto conto degli elementi distintivi del contratto di associazione in partecipazione rispetto al rapporto di lavoro subordinato: il potere di controllo dell’associato sulla gestione economica dell’impresa, l’obbligo di rendiconto periodico da parte della società, l’esistenza di un rischio di impresa comportante l’assenza di una garanzia di guadagno per il prestatore di lavoro.

E, sulla base di tale corretto presupposto di diritto, la corte d’appello, in sintesi, avuto riguardo alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, è pervenuta, con motivazione puntuale e non contraddittoria, al convincimento che erano emersi i tratti maggiormente tipici del rapporto di lavoro subordinato.

3. Il ricorso va quindi rigettato.

Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione in favore dell’INPS nella misura liquidata in dispositivo.

Possono compensarsi le spese di questo giudizio quanto alla società SOGET s.p.a.; non occorre provvedere sulle spese quanto alla società MONTEPASCHI SERIT s.p.a..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorario d’avvocato ed oltre IVA, CPA e spese generali; compensa le spese di questo giudizio quanto alla società SOGET s.p.a.; nulla spese quanto alla società MONTEPASCHI SERIT s.p.a..

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2012

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