Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-02-2012, n. 2493 Interpretazione del contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 31.3.1999 G.F. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma P.L. per sentir accertare l’avvenuta conclusione della compravendita dell’appezzamento di terreno di 5000 mq circa in (OMISSIS), della quota del 25% della strada di accesso e del 50% del fabbricato esistente, in virtù della scrittura privata 4.12.1995 ovvero in subordine per sentir pronunciare sentenza di trasferimento ex art. 2932 c.c.. La convenuta confermava l’esistenza di una compravendita definitiva, chiedeva il rigetto della domanda e svolgeva riconvenzionale per il pagamento del residuo prezzo di lire 17.166.738 comprensivo di interessi od in subordine di risoluzione per colpa dell’attore, il cui inadempimento l’aveva obbligata, quale formale proprietaria, a pagare IRPEF ed ICI per lire 14.351.000, oltre i danni per il continuato possesso in lire 96.000.000.

Con sentenza 7.10.2002 il Tribunale, dichiarava la nullità del contratto per l’indeterminatezza del prezzo e la risoluzione per inadempimento dell’attore, decisione riformata dalla Corte di appello di Roma, con sentenza 2787/09, che dichiarava trasferiti i beni di cui alla scrittura, condannando il G. al pagamento di Euro 2799,71 oltre interessi e compensava le spese del grado, ponendo quelle di ctu a carico di entrambe le parti; ciò sul presupposto che la sentenza di primo grado contraddittoriamente aveva dichiarato la nullità e la risoluzione, entrambe le parti concordavano nel ritenere la scrittura un contratto definitivo, come peraltro emergeva dal tenore letterale delle espressioni (" P.L. vende al signor G.F. che accetta") ed il prezzo, sebbene non espressamente indicato, appariva certamente determinabile con riferimento a dati contabili certi ed incontroversi. Ricorre P. con tre motivi, resiste G..

Motivi della decisione

Col primo motivo si deduce violazione degli artt. 1325, 1362 ss. e 1421 c.c. per avere erroneamente la Corte di appello ritenuto che la scrittura avesse attitudine a produrre effetti traslativi ed il primo giudice non potesse ex officio rilevarne la nullità. Col secondo motivo si lamenta violazione per contraddittorietà insita nella sentenza delle norme in materia di contratti per violazione degli artt. 1325 e 1362 c.c. per aver la Corte di appello erroneamente ritenuto determinato o determinabile il prezzo e sconfessato la ctu.

Col terzo motivo si lamenta violazione per contraddittorietà insita nella sentenza degli artt. 1325, 1362 e ss. c.c. per avere la Corte di appello ritenuto interamente pagato il prezzo mediante un atto – SIGREC 30.11.1995 – al più vincolante parti terze alla procedura negoziale.

Le censure non meritano accoglimento.

Poichè tutte le doglianze fanno riferimento, sia pure sotto diversi profili, alla violazione dell’art. 1362 c.c., è da osservare che l’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

Nè può utilmente invocarsi la mancata considerazione del comportamento delle parti.

Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d’ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha, inoltre, attribuito, nell’ambito della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato nell’art. 1362 c.c., comma 1 – eventualmente integrato da quello posto dal successivo art. 1363 c.c. per il caso di concorrenza d’una pluralità di clausole nella determinazione del pattuito – onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicchè non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti – ciò che è stato fatto nella specie dalla corte territoriale, con considerazioni sintetiche ma esaustive – detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario dell’art. 1362 c.c., comma 2, che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione (Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438, 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n. 8590, 23.11.98 n. 11878, 23.2.98 n. 1940, 26.6.97 n. 5715, 16.6.97 n. 5389); non senza considerare, altresì, come detto comportamento, ove trattisi d’interpretare, come nella specie, atti soggetti alla forma scritta ad substantiam, non possa, in ogni caso, evidenziare una formazione del consenso al di fuori dell’atto scritto medesimo (Cass. 20.6.00 n. 7416, 21.6.99 n. 6214, 20.6.95 n. 6201, 11.4.92 n. 4474).

Nella specie la Corte territoriale ha rilevato la contraddittorietà della sentenza di primo grado, il concorde riconoscimento dell’esistenza di un contratto definitivo, l’inequivocità del tenore letterale delle espressioni adoperate, la determinabilità del prezzo mentre in relazione all’avvenuto pagamento, a pagina sei, ha congruamente motivato sul dissenso dalla espletata ctu deducendo non essere esatto quanto affermato dalla P. in comparsa di costituzione, secondo cui la SIGREC, con nota del 30.11.2005, avrebbe quantificato il debito suo e del marito in lire 83.833.262, trattandosi di atto in cui si comunicava l’accettazione della proposta di dilazione; il debito del marito risultava determinato in lire 98.959.457 e l’appellante avrebbe pagato addirittura lire 959.457 in più rispetto alla somma detratta dal prezzo dovuto alla venditrice.

In definitiva il ricorso è in gran parte in contraddizione con la stessa linea difensiva originariamente posta in essere dalla odierna ricorrente e, nel riportare, alle pagine undici e dodici, le condizioni di pagamento, sostanzialmente conferma la determinabilità del prezzo, per cui va rigettato, con la conseguente condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese liquidate in Euro 5200, di cui 5000 per onorari, oltre accessori.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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