Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-07-2011) 30-09-2011, n. 35600

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Lecce, confermava la sentenza del Tribunale di Lecce, sez. dist. di Nardò, in data 11 luglio 2008, appellata da D.G. e M.L. E., condannati, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di mesi nove di reclusione, in quanto responsabile del reato di cui agli artt. 110 e 337 cod. pen., perchè in concorso tra loro usavano violenza e minaccia nei confronti di agenti del Commissariato di Nardò, sfuggendo con una autovettura al controllo di polizia, facendo manovre spericolate, seminando scompiglio tra la folla, e successivamente, una volta fermati, minacciando i pubblici ufficiali e procurando loro a seguito di colluttazione lesioni personali (in Nardò, l’8 agosto 2002).

2. Osservava la Corte di appello che la responsabilità penale doveva ritenersi provata dalle concordi dichiarazioni dei pubblici ufficiali riscontrate dalla certificazione medica, essendo da escludere, contrariamente a quanto dedotto dagli imputati, qualsiasi profilo di arbitrarietà nella condotta dei pubblici ufficiali.

3. Ricorrono per cassazione gli imputati, con due distinti atti.

4. Il difensore di D.G., avv. Francesco Fasano, denuncia la violazione dell’art. 337 cod. pen. e il vizio di motivazione in punto di affermazione di responsabilità penale, osservando che nessun elemento era idoneo a dimostrare che gli imputati avessero percepito il comando di fermarsi loro rivolto dalla pattuglia, e, in secondo luogo, che, essendo pacifico che il D. venne subito riconosciuto dagli operanti, nessuna ragione esisteva di provvedere a un suo formale riconoscimento e all’invito di recarsi con gli operanti in ufficio, che dunque integrava un atto arbitrario avente efficacia discriminante.

5. Il difensore di M.L.E., avv. Ezio Maria Tarantino, espone i seguenti motivi.

5.1. Illogica valutazione degli elementi di prova, non essendovi elementi per ritenere, dato il traffico intenso e l’ora serale, che gli imputati si fossero accorti della intimazione di fermarsi loro rivolta e comunque che non vi era ragione plausibile per gli operanti di raggiungere gli imputati presso il circolo ove questi si erano recati e chiedere loro i documenti, dato che, bene conoscendoli, sarebbe stato sufficiente elevare a loro carico un verbale di contravvenzione al codice stradale. Era pertanto ravvisabile la scriminante dell’atto arbitrario del pubblico ufficiale, anche sotto il profilo psicologico.

5.2. Vizio di motivazione circa la sussistenza del fatto contestato, non essendo stato acquisiti elementi univoci di prova in ordine al reato contestato e al contributo specifico dato dall’imputato.

5.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio, palesemente eccessivo, e di diniego delle attenuanti generiche.

Motivi della decisione

1. I ricorsi appaiono manifestamente infondati.

2. La sentenza impugnata mette appropriatamente in evidenza che agli imputati, a bordo di un’autovettura Peugeot, condotta a forte velocità e con manovre pericolose per il traffico, fu intimato l’"Alt" da parte degli operanti, e che nonostante tale ordine, essi non si arrestarono, mantenendo una elevata velocità e facendo perdere le loro tracce.

Anche volendo ammettere che i due non si fossero accorti dell’invito loro rivolto, è stato assodato che, raggiunti in un circolo privato, essi esultarono e minacciarono gli agenti ("sbirri di merda, vi spezziamo le ossa"), e che, dopo l’invito a recarsi in commissariato, opposero violenta resistenza colluttando con i poliziotti, tanto da procurare loro le lesioni poi refertate presso l’ospedale di Nardò.

Tanto basta a ritenere integrati i reati contestati. Nè ricorre alcun profilo di arbitrarietà nel comportamento dei pubblici ufficiali, i quali, pur se in ipotesi a conoscenza della identità dei due, dovevano compiere le necessarie formalità di verbalizzazione dei fatti presso gli uffici di polizia.

3. Il trattamento sanzionatorio, considerati i precedenti penali degli imputati, appare ineccepibilmente determinato; e lo stesso è da dirsi per il diniego delle circostanze attenuanti generiche.

4. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in relazione alle questioni dedotte, si stima equo determinare per ciascuno in Euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille ciascuno in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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