Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-02-2012, n. 2485 Muro di cinta sul confine e non

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Svolgimento del processo

Con sentenza dell’11.1.2008 il GP di Lecce, adito da M. M. e Ma.Mi. nei confronti di C.F., respinse la domanda proposta dagli attori, diretta ad ottenere la condanna del convenuto al rimborso di una somma pari alla metà delle spese che avevano sostenuto per sopraelevare fino a tre metri un preesistente muretto che divideva le rispettive proprietà.

Impugnata dai soccombenti, la decisione fu confermata dal Tribunale di Lecce, con sentenza del 4.1.2010, di rigetto del gravame, sul presupposto che, ai sensi dell’art. 885 c.c., comma 1, ogni comproprietario può alzare il muro comune ma sono a suo carico tutte le spese di costruzione e conservazione della parte sopraedificata, che può dal vicino essere resa comune a norma dell’art. 874 c.c..

I M. hanno proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, cui ha resistito con controricorso C..

Con relazione del 28.10.2010 si è ritenuto di definire il giudizio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5, seconda ipotesi, ma nella camera di consiglio del 14.1.2011, dopo la presentazione di memoria da parte dei ricorrenti, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza, per la quale è stata presentata altra memoria dai ricorrenti.

Motivi della decisione

Con i primi due motivi si deduce violazione dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. perchè la sentenza deve ricomprendere l’esposizione dei fatti e delle ragioni della decisione, requisiti mancanti nella fattispecie, con conseguente nullità ai sensi, rispettivamente, dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Le censure non meritano accoglimento.

Come dedotto dal relatore nella precedente fase, il Tribunale, anche se sotto l’intitolazione unitaria di motivazione, ha dato adeguatamente conto, oltre che delle ragioni della decisione, anche dei termini essenziali in cui si è articolato il giudizio, compiutamente intellegibili.

Osserva, peraltro, il Collegio che l’asserita sinteticità della sentenza non ha impedito una compiuta difesa nel merito nel presente giudizio di legittimità e che l’assenza della concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti vale ad integrare un motivo di nullità della sentenza allorchè tale omissione impedisca totalmente – non risultando richiamati in alcun modo i tratti essenziali della lite, neppure nella parte formalmente dedicata alla motivazione -, di individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione, nonchè di controllare che siano state osservate le forme indispensabili poste a garanzia del regolare svolgimento della giurisdizione (Cass. 19.3.2009 n. 6683).

L’inadeguata esposizione dello svolgimento del processo di per sè non costituisce motivo di nullità della sentenza, se le omissioni e le carenze espositive non hanno inciso in concreto sul processo decisionale del giudice, determinando una mancata pronunzia sulle domande ed eccezioni proposte dalle parti oppure un difetto di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia (Cass. 27.2.2004 n. 4015).

Col terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 886 c.c. perchè trattasi pacificamente di muro di cinta e legittimamente è stato richiesto il contributo per metà della spesa, mentre la sentenza ha applicato l’art. 885 c.c..

Col quarto motivo si lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento agli artt. 885 e 886 c.c. e col quinto violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. anche in relazione alla mancata ammissione della prova circa l’invito a contribuire alla spesa.

Anche queste ulteriori censure non meritano accoglimento.

Sul punto il relatore aveva osservato che l’opera compiuta non era consistita nella costruzione ex novo di un muro di cinta ma nella sopraelevazione di un muro divisorio comune consentita a ogni proprietario a sue esclusive spese, deduzione contestata con la memoria.

Al riguardo è da osservare che il riportato atto di citazione fa riferimento ad un muro di cinta inferiore a metri tre destinato alla demarcazione della linea di confine, successivamente innalzato ad iniziativa degli odierni ricorrenti. La giurisprudenza di questa Corte Suprema si è espressa nel senso che il limite di altezza per i muri di cinta di proprietà comune posto dall’art. 886 c.c. concerne soltanto l’obbligo di contribuzione del vicino per il muro da costruire (Cass. 17.8.1950 n. 2466, Cass. 8.9.1986 n. 5467), norma ritenuta eccezionale (Cass. 18.12.1986 n. 7675).

Pertanto, salva l’esistenza di un diritto di servitù o di una convenzione escludente il sopralzo, il singolo comproprietario ben può innalzare detto muro oltre il limite pattuito, sopportando per intero le spese di sopraelevazione, ai sensi dell’art. 885 c.c. (Cass. 15.3.1982 n. 1687).

Un muro che separa fondi finitimi non può essere qualificato muro di cinta se di altezza inferiore a metri tre ed il vicino non è obbligato al pagamento della metà delle spese di un muro di altezza inferiore a detto limite (Cass. 12.7.2004 n. 12819). Il singolo comproprietario ben può innalzare il muro comune oltre il detto limite, facendogli perdere la caratteristica di muro di cinta e, perciò, sopportando per intero le spese di sopraelevazione (Cass. 19.10.1978 n. 4714).

Tutte le ipotesi sopra indicate confermano la legittimità della decisione dei giudici di merito circa la facoltà e non l’obbligo di comunione e l’inutilità della prova articolata in appello in ordine al preventivo invito alla contribuzione alle spese, declinato manifestando disinteresse e diniego a tale richiesta. Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 1200, di cui 1000 per onorari, oltre accessori.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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