Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 07-06-2011) 30-09-2011, n. 35651 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con decreto del 3 novembre 2010 la Corte d’appello di Genova ha rigettato l’appello proposto da M.G. avverso il decreto del Tribunale di Genova del 14 giugno 2010, che aveva applicato allo stesso la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni tre.

La Corte di merito motivava la decisione rilevando che:

– il proposto non aveva contestato i fatti storici posti a fondamento del provvedimento del Tribunale (condanna nel 1983 per violazione della legge sulle armi; condanna nel 2006 per estorsione commessa nel 1999 nell’ambito di attività di gestione di macchinette per il gioco d’azzardo; denuncia e sottoposizione a custodia cautelare in carcere per rapina in concorso commessa in (OMISSIS), con contestuale sequestro di persona; sottoposizione nel 2009 a nuova custodia cautelare in carcere per il reato di corruzione di un agente della Polizia penitenziaria);

– il proposto aveva solo dedotto che la gravità dei fatti non era allarmante e sintomatica di pericolosità sociale;

– non rientrava tra le valutazioni da compiersi in sede di prevenzione la rivisitazione delle sentenze di condanna irrevocabili o la valutazione della responsabilità penale con riferimento a indagini in corso;

– i fatti dovevano essere valutati solo sotto il profilo della pericolosità sociale e, a tal riguardo, era sufficiente l’osservazione della conferma della pericolosità sociale del proposto e del suo collegamento ininterrotto con settori della criminalità, rappresentata dalla oggettiva e incontestata commissione dei fatti di reato, anche in concorso, nel periodo dal 1999 al 2009. 2. Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione personale M.G., che ne chiede l’annullamento sulla base di quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’obbligo di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 9, per l’assoluta carenza di motivazione, sul rilievo che la Corte d’appello si è limitata ad affermare che i reati per i quali esso ricorrente ha riportato condanna (definitiva o meno) forniscono esaustiva conferma della sua pericolosità e del suo ininterrotto collegamento con la criminalità, senza affrontare i temi rilevanti sviluppati con l’atto di appello (ottimo comportamento carcerario, avvenuti risarcimenti alle parti offese, concessione di licenze e di permessi premio sul presupposto dell’attuale non pericolosità).

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullità del decreto per violazione ed erronea applicazione della L. n. 1423 del 1956, artt. 1, 3 e 4 sotto il profilo dell’attualità della pericolosità sociale, rilevando che l’unica condanna passata in giudicato è del 2006 e riguarda un fatto del 1999, e che, dopo le condanne in primo grado per concorso in rapina e corruzione, ha tenuto in carcere condotta irreprensibile fruendo di licenze e di permessi premio, ha svolto attività lavorativa, ha risarcito il danno all’estorto e ha fatto offerta reale per il reato di corruzione.

2.3. Con il terzo motivo si deduce la nullità del decreto per carenza del requisito dell’abitualità dei traffici delittuosi, e quindi per violazione della L. n. 1423 del 1956, art. 1, n. 1, sul rilievo che I tre reati (partecipazione estemporanea a una estorsione nel 1999, a una rapina quale basista nel 2006 e a un modesto episodio di corruzione nel (OMISSIS)), commessi in dieci anni senza alcun profitto, non provano l’abitualità dei traffici illeciti.

2.4. Con il quarto motivo il ricorrente, infine, deduce la nullità del decreto per violazione della L. n. 1423 del 1956, art. 1, n. 1 con riguardo agli elementi di fatto e al merito dei procedimenti penali utilizzati quali sintomatici della pericolosità sociale, e con riferimento ai provvedimenti del Magistrato di sorveglianza e del Tribunale di sorveglianza.

Secondo il ricorrente, in particolare, è giuridicamente errata l’affermazione della Corte che non è suo compito entrare nel merito del procedimenti utilizzati quale parametro della sussistenza della pericolosità sodale, avendo questa Corte evidenziato, nel ribadire l’autonomia dei procedimenti di prevenzione e penale, che il giudice è legittimato a servirsi anche di elementi tratti dai procedimenti penali facendone puntuale esame, senza essere vincolato dall’affermazione o dal diniego della responsabilità penale. E’, del pari, giuridicamente errato anche il mancato peso dato ai provvedimenti di sorveglianza di cui il ricorrente ha beneficiato, e delle cui determinazioni, senza essere vincolati, si doveva tenere conto.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, concludendo per l’annullamento del decreto con rinvio.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Occorre premettere che la L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 11, recante "Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza (e per la pubblica moralità)", limita alla sola violazione di legge il ricorso contro il decreto della corte d’appello in materia di misure di prevenzione ed esclude la ricorribilità in cassazione per vizio d’illogicità manifesta della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, confortato anche da intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 321 del 2004), in tema di misure di prevenzione non è, pertanto, deducibile il vizio di manifesta illogicità della motivazione, ma solo quello di mancanza di motivazione, qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice di appello dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 10. Alla mancanza di motivazione è, peraltro, equiparata l’ipotesi in cui la motivazione risulti dei tutto priva del requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente, o sia assolutamente inidonea a rendere comprensibile l’/ter logico seguito dal giudice (tra le altre, Sez. 5, n. 7891 del 25/01/2002, dep. 27/02/2002, Zagaria, Rv. 221770; Sez. 6, n. 28837 del 26/06/2002, dep. 26/07/2002, Paggiarin, Rv. 222754; Sez. 6, n. 34021 del 23/05/2003, dep. 08/08/2003, Largo, Rv. 226331; Sez. 6, n. 15107 del 17/12/2003, dep. 30/03/2004, Criaco, Rv. 229305; Sez. 6, n. 35044 del 08/03/2007, dep. 18/09/2007, Bruno, Rv. 237277; Sez. 5, n. 19598 del 08/04/2010, dep. 24/05/2010, Palermo, Rv. 247514).

3. Tanto premesso riguardo all’ambito del controllo riservato a questa Corte rispetto ai motivi di ricorso formulati dalla difesa, deve anche rilevarsi che la condizione richiesta per l’applicabilità di una misura di prevenzione è l’esistenza della pericolosità sociale del proposto, che va accertata con esclusivo riferimento al momento in cui è emessa la decisione che l’afferma.

Il sillogismo indiziario articolato In sede di prevenzione personale è funzionale a un giudizio prognostico avente a oggetto la probabilità della futura commissione di reati e la pericolosità sociale del soggetto apprezzata in base a presupposti di fatto oggettivamente verificabili (Corte Cost, sent. n. 177 del 1980; sent. n. 419 del 1994).

Si è in particolare osservato che, esclusa ogni pregiudizialità del procedimento penale rispetto a quello di prevenzione, nel corso del giudizio di prevenzione il giudice di merito è legittimato a servirsi di elementi di prova e/o indiziari tratti da procedimenti penali, anche se non ancora conclusi, e, nel caso di processi definiti con sentenza irrevocabile, anche indipendentemente dalla natura delle statuizioni terminali in ordine all’accertamento della penale responsabilità dell’imputato. Tale potestà incontra due limiti: a) il giudizio deve essere fondato su elementi certi, dai quali possa legittimamente farsi discendere l’affermazione dell’esistenza della pericolosità, sulla base di un ragionamento immune da vizi logici; b) gli indizi dai quali desumere la pericolosità sociale non devono avere i caratteri di gravità, precisione e concordanza, richiesti dall’art. 192 cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 6, n. 332 del 29/01/1998, dep. 05/03/1998, Consolato, Rv. 210819; Sez. 2, n. 1976 del 19/03/1998, dep. 25/11/1998, Bonventre, Rv. 211908; Sez. 1, n. 5786 del 21/10/1999, dep. 04/01/2000, P.G. in proc. Castelluccia, Rv. 215117; Sez. 5, n. 1968 del 31/03/2000, dep. 27/04/2000, Mannone, Rv. 216054; Sez. 1, n. 8914 del 20/11/2000, dep. 05/03/2001, Pugliarelli, Rv. 218359; Sez. 5, n. 23041 del 28/03/2002, dep. 14/06/2002, Ferrara e altri, Rv.

221678).

4. L’ordinanza impugnata è conforme agli indicati principi, poichè, con motivazione sintetica ma esauriente, ha illustrato il discorso giustificativo posto a base della decisione adottata e, in particolare, ha enunciato le specifiche e oggettive circostanze di fatto, rappresentate dalla incontestata commissione da parte del ricorrente di fatti di reato (estorsione, rapina, sequestro di persona, corruzione) nell’arco temporale dal 1999 al 2009, sintomatici dell’attuale pericolosità sociale del medesimo, e, attesa la commissione dei fatti in concorso, del suo collegamento ininterrotto con settori della criminalità, e ha coerentemente ritenuto estranee alle valutazioni demandate in sede di prevenzione quelle attinenti alla accertata o accertanda responsabilità penale.

5. Le censure svolte con il ricorso, a fronte del detto decreto, sono del tutto infondate.

Quanto al primo motivo, è sufficiente rilevare che la motivazione del decreto, che ha esplicitato le linee argomentative seguite indicando e collocando temporalmente le violazioni indicate, contestate solo quanto al grado non allarmante della loro gravità, e ritenendole direttamente incidenti sul giudizio di persistente pericolosità sociale, non può ritenersi assolutamente carente come dedotto.

Il riferimento a circostanze che si assumono non esaminate, neppure accompagnato dalla specifica indicazione dell’atto rappresentativo delle stesse e della sua incompatibilità con la decisione impugnata, tende a prospettare una rilettura in diversa prospettiva logica della consistenza e concludenza degli elementi di fatto, già logicamente valutati.

Analoghe considerazioni devono essere svolte con riguardo al secondo motivo, poichè il giudizio di attualità della pericolosità ha coerentemente tenuto conto del periodo temporale di cadenza dei fatti sintomatici di pericolosità sociale e della prossimità alla decisione dell’ultima manifestazione della stessa, senza che per tali fatti sia richiesto l’accertamento definito della responsabilità penale e sia superabile il giudizio prognostico negativo con riferimento ad affermate, e non provate, manifestazioni positive della condotta tenuta.

Anche il terzo motivo, con il quale si tendono a introdurre censure di fatto con riguardo alle singole condotte criminose contestate per le causali che le avrebbero determinate e per le ragioni del suo coinvolgimento nelle medesime, si risolve nell’ottica infondata del dissenso di merito dalla decisione non condivisa.

Destituito di fondamento è anche il quarto motivo, con il quale non solo si trascura di rilevare che i fatti storici posti a fondamento della decisione impugnata non sono contestati e che la loro valutazione è stata condotta per la loro incidenza sul giudizio di pericolosità sociale, ma si continuano a opporre atti che si assumono non esaminati e che non sono specificatamente allegati nè riportati nel decreto in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso, già elaborato dalle Sezioni civili (da ultimo, Sez. 3, n. 18375 del 07/07/2010, dep. 06/08/2010, Rv. 614390, in motivazione sub 5, non massimata sul punto) e recepito e applicato anche in sede penale con giurisprudenza costante (tra le altre Sez. 1, sent. 6112 del 22/01/2009, dep. 12/02/2009, Rv. 243225).

6. Il ricorso, essendo Infondato in ogni sua deduzione, deve essere, pertanto, rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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