Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-05-2011) 30-09-2011, n. 35593

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Tratto a giudizio immediato, il cittadino marocchino N. B. è stato riconosciuto colpevole con sentenza in data 29.10.2009 del Tribunale di Milano, resa all’esito di giudizio ordinario, dei seguenti tre reati: a) illecita detenzione per fini di vendita di dieci ovuli di sostanza stupefacente del tipo crack e di gr. 0,40 di hashish, accertata in Milano il 31.1.2009; b) sequestro di persona della connazionale R.A., indotta con la forza a salire in macchina con lui e condotta in una casa abbandonata, dove – legatele le caviglie – la picchiava con calci e pugni su tutto il corpo e dove la costringeva rimanere da sola fino al giorno seguente, reato commesso in Milano il 28.12.2008; c) lesioni personali volontarie aggravate e continuate prodotte a R.A. nel quadro della precedente condotta criminosa di sequestro di persona.

Proscioltolo da altri reati per cui pure era stato tratto a giudizio, il Tribunale ha condannato l’imputato per i tre anzidetti reati, unificati dalla continuazione e concessa l’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, L. Stup. per il reato sub a), stimata prevalente sulla contestata recidiva, alla pena di due anni e sei mesi di reclusione.

I fatti per cui l’imputato è stato condannato traggono origine dalle dichiarazioni rese da F.A. il 23.1.2009 ad ufficiali di p.g. della polizia stradale che – soccorsala mentre fuggiva per strada – l’avevano accompagnata presso l’ospedale San Carlo di Milano per le lesioni riportate nel sottrarsi (buttandosi dall’auto in moto) all’ennesima violenta aggressione del B., da lei conosciuto come K., che l’aveva indotta da anni ad intrecciare una relazione sentimentale con lui, caratterizzata da ripetuti gesti aggressivi e da una continuativa induzione all’uso di droga (cocaina), di cui l’uomo era abituale spacciatore. La donna, che forniva indicazioni sull’abitazione del B., riferiva di tutta una serie di episodi di costrizione subiti ad opera dello stesso, ivi compreso quello della sua segregazione nel precedente dicembre 2008 e delle relative lesioni, integrante le imputazioni elevate sub b) e sub c) nei confronti dell’imputato, cui non era riuscita a sottrarsi neppure trasferendosi alcuni mesi in Tunisia presso alcuni familiari.

Nei giorni successivi la A. ribadiva i fatti denunciati sia alla polizia giudiziaria che al procedente pubblico ministero, che promuoveva indagini e verifiche culminate nell’arresto dell’imputato il 31.1.2009.

Con ordinanza del 16.10.2009 il Tribunale ha acquisito le dichiarazioni rese prima del giudizio dalla A. ai sensi dell’art. 512 c.p.p. a causa della sopravvenuta impossibilità di procedere al suo esame in dibattimento, trovandosi la giovane a Tunisi ed essendo affetta da patologia psichica (già diagnosticata presso l’ospedale Niguarda di Milano, come verificato dal Tribunale) riacutizzatasi con il suo trasferimento in Tunisia ed a causa del grave turbamento innescato dai denunciati burrascosi rapporti con il B. nonchè dal timore di poter subire nuove analoghe violenze dallo stesso o da suoi emissari. Patologia tale da non consentire l’interruzione del trattamento terapeutico e il ritorno in Italia della A. per testimoniare, come attestato dal suo psichiatra.

Alla luce delle complessive risultanze processuali il Tribunale ha considerato raggiunti convergenti e persuasivi elementi di prova in ordine ai tre reati ascritti al B.. Elementi desunti, quanto alla contestata attività di spaccio di stupefacenti, dalle lineari e coerenti indicazioni accusatorie (più volte ripetute) della A. sull’attività di narcotraffico svolta dall’imputato, dagli oggettivi esiti (di per sè autosufficienti) del rinvenimento di sostanza stupefacente presso l’abitazione del B. (nella perquisizione eseguitavi il 31.1.2009), dalla suddivisione della sostanza in più dosi separate e dall’assenza di qualsiasi lecita attività lavorativa del prevenuto. Elementi desunti, quanto ai due reati di sequestro di persona e di lesioni personali verificatisi nel dicembre 2008, dalle ulteriori circostanziate, ripetute e credibili dichiarazione della A. e dal riscontro che le stesse rinvengono: nella certificazione sanitaria dell’ospedale Niguarda del 29.12.2008, attestante plurime lesioni della A. compatibili (ivi incluse ecchimosi alle caviglie) con l’episodio di segregazione e violenza attribuito al B.; nella certificazione sanitaria del 23.1.2009 attestante (in uno alle oggettive constatazioni degli agenti di polizia operanti) le lesioni riportate dalla Aloui nel sottrarsi al B.; nelle dichiarazioni testimoniali della madre della A., C.T., che ha descritto l’inquietante quadro di violenze e minacce riferitole dalla figlia nell’ambito del suo burrascoso rapporto con l’imputato nonchè di aver rilevato palesi segni di lesioni sulla persona della figlia alla fine del 2008. 2.- Avverso la sentenza del Tribunale hanno proposto appello sia il Procuratore Generale di Milano, censurando il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, L. Stup. e il giudizio di sua prevalenza sulla recidiva, sia l’imputato B., che ha impugnato anche la citata ordinanza del 16.10.2009 sulla utilizzabilità delle dichiarazioni di R.A.. L’imputato ha imperniato il proprio gravame – da un lato – sulla inutilizzabilità delle chiamate in reità della A. per difetto delle condizioni applicative dell’art. 512 c.p.p., segnatamente sotto il profilo della prevedibilità del non possibile esame della testimone-persona offesa nel contraddittorio dibattimentale (sì da rendere necessaria la sua assunzione nelle forme dell’incidente probatorio), e – d’altro lato – sulla complessiva carente verifica di credibilità, soggettiva ed oggettiva, delle dichiarazioni accusatorie della donna.

Con la sentenza pronunciata il 23.6.2010, intervenuta implicita rinuncia del P.G. al proprio appello (il concludente P.G. di udienza avendo sollecitato la conferma della sentenza di primo grado), la Corte di Appello di Milano ha respinto i rilievi critici dell’imputato ed ha confermato le statuizioni del Tribunale sulla sua colpevolezza per i tre reati contestatigli.

In particolare i giudici di appello hanno ritenuto corretta l’impossibilità non prevedibile della ripetizione dibattimentale dell’esame di R.A., delibata dal Tribunale e legittimante l’utilizzabilità probatoria delle sue anteatte dichiarazioni, atteso che nessun dato o circostanza avrebbe permesso di ipotizzare tale sopravvenuta impossibilità, dal momento che la giovane ha reso più dichiarazioni confermative delle originarie accuse nel corso delle indagini (oltre ai fatti riferiti il 23.1.2009 alla polizia stradale, la A. si è presentata spontaneamente alla p.g. il 27.1.2009 per formalizzare la propria denuncia, che ha integrato con ulteriori particolari il successivo 28.1.2009 sia alla stessa p.g. che innanzi al procedente p.m.; analoghe dichiarazioni confermative ha reso ancora il 19.3.2009 alla p.g., cui ha segnalato di aver ricevuto una minaccia telefonica ad opera di un complice del B.).

Analogamente positiva deve considerarsi, ad avviso della Corte di Appello, l’analisi di credibilità della persona offesa A., suffragata da plurimi riscontri di natura soggettiva (la lineare e coerente condotta pienamente "collaborativa" della donna nel corso delle indagini) e di natura oggettiva, integrati – questi ultimi – da più elementi che, al di là delle significative dichiarazioni di conferma della madre della giovane e dei certificati sanitari comprovanti i riferiti episodi di eterolesioni, investono anche le specifiche frequentazioni personali del B., prima fra tutte quella con il connazionale M.Z. (indicato dalla A. con il soprannome di Z.) identificato insieme all’odierno imputato.

3.- Contro l’illustrata sentenza di appello N.B. ha proposto personalmente ricorso per cassazione, denunciandone i vizi di violazione di legge e di insufficienza e illogicità della motivazione di seguito sintetizzati.

1. Erronea applicazione dell’art. 512 c.p.p. con violazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova e difetto di motivazione.

L’incongrua decisione dei giudici di merito di reputare utilizzabili le dichiarazioni di R.A. al di fuori del suo esame dibattimentale, per asserita impossibilità sopravvenuta, ha vulnerato il diritto di difesa dell’imputato ( art. 111 Cost.), che non ha avuto la possibilità di far emergere le diverse e rilevanti contraddizioni narrative della donna. La personalità di costei, sofferente psichica da tempo e verosimilmente affetta da sindrome persecutoria, avrebbe reso indispensabile il suo esame con l’istituto dell’incidente probatorio ex art. 392 c.p.p.. Tanto più che la stessa risulta essersi allontanata dall’Italia proprio nell’imminente inizio del giudizio di primo grado (nel giugno 2009). Di tal che non sussistono i presupposti di imprevedibilità della impedita assunzione testimoniale in dibattimento che, soli, consentono di applicare il disposto dell’art. 512 c.p.p..

In ogni caso la Corte di Appello non ha offerto congrua e logica motivazione della verifica di attendibilità delle accuse provenienti dalla A., non comparandole con le altre emergenze processuali e con la labilità dei dati di asserito riscontro acquisiti a loro conferma.

2. Violazione dell’art. 133 c.p..

La pena inflitta dai giudici di merito è eccessiva in relazione alla reale gravità dei fatti ascritti all’imputato e contraddice le finalità rieducative della sanzione penale, poichè la sentenza di appello non ha reso espliciti, se non in apparenza, i criteri logici e giuridici posti a base della irrogata pena detentiva, determinata in misura superiore al minimo edittale.

4.- Il ricorso deve essere rigettato.

1. Il secondo subordinato motivo di censura attinente all’entità e gravosità della pena è indeducibile e manifestamente infondato, poichè involge un profilo della regiudicanda – quello del trattamento sanzionatorio – che è riservato all’esclusivo apprezzamento del giudice di merito. Apprezzamento sottratto a scrutinio di legittimità, allorchè si mostri sorretto da sufficiente e non illogica motivazione. Nel caso di specie la sentenza impugnata offre ampia giustificazione della confermata misura della pena comminata al B. dal giudice di primo grado ("pena assolutamente equa in relazione alla gravità oggettiva dei fatti contestati e alla personalità dell’imputato emergente dal grave precedente specifico: condanna per lesioni ad oltre quattro anni di reclusione").

2. Le doglianze articolate con il primo motivo di ricorso sono infondate.

Per un verso, contrariamente a quanto in termini generici si sostiene in ricorso, la Corte di Appello ha proceduto ad una scrupolosa indagine sugli elementi probatori che sorreggono – sul piano soggettivo ed oggettivo – la piena credibilità delle indicazioni accusatorie offerte da R.A.. Alla individuazione di dati di riscontro estrinseci dei fatti narrati dalla donna, plurimi e concordanti, ha fatto da contrattare un meditato controllo della uniformità ed omogeneità delle accuse espresse dalla testimone- persona offesa, che ha intuibilmente riverberato i suoi effetti anche in relazione alla problematica della operatività del dettato dell’art. 512 c.p.p. in punto di oggettiva imprevedibilità della sopraggiunta impossibilità di esaminare la donna nel contraddittorio processuale.

Correttamente i giudici di appello hanno rimarcato che i referenti modali e comportamentali della imprevedibilità di fatti o circostanze che rendono impossibile la ripetizione di specifici atti delle indagini, quale appunto una testimonianza, deve essere vagliata non già in rapporto al momento in cui l’atto deve essere compiuto (nel caso di specie nel dibattimento), ma a quello delle indagini preliminari, "in cui sarebbe stato alternativamente possibile, laddove fosse emersa la concreta prevedibilità dell’assenza del testimone in dibattimento, procedere con incidente probatorio".

Prevedibilità che, con congrui argomenti fattuali e logici, la Corte di Appello giudica in concreto inesistente, avendo riguardo alla pluralità delle dichiarazioni collaborative rilasciate dalla A. in corso di indagini, in termini sempre esaurienti, lineari e scevri da discrasie, e all’oggettivo dato per cui la donna – sebbene sia cittadina tunisina – è nata in Italia ed è qui regolarmente residente e radicata (la madre vi svolge regolare lavoro, gestendo una lavanderia).

Parimenti logico è l’ulteriore assunto della sentenza impugnata, per cui neppure le condizioni di salute della A. erano all’epoca delle indagini preliminari idonee a giustificare il ricorso all’incidente probatorio, non richiesto – del resto – nè dall’imputato, nè dal suo difensore ("la teste regolarmente curata presso l’ospedale Niguarda di Milano, altro elemento che ne rendeva imprevedibile l’allontanamento, risulta affetta da disturbo della personalità border-line non accompagnato da alcuna problematica cognitiva o percettiva").

Giova rimarcare che le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Appello ambrosiana sono conformi, per quanto specificamente attiene alle problematiche connesse alla operatività dell’art. 512 c.p.p., agli indirizzi interpretativi della giurisprudenza di legittimità.

Questa Corte regolatrice ha statuito che non vi sono ragioni ostative alla piena utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali di un soggetto del processo, valutata la sopravvenuta impossibilità di ripetizione dell’atto con criterio di prognosi prossima correlata alla fase precedente il giudizio, allorchè difetti la prova che l’assenza del soggetto sia attribuibile alla deliberata volontà di sottrarsi al dibattimento e al compimento dell’atto (Cass. Sez. 3, 17.11.2009 n. 6636/10, Dzbari, rv. 356181; Cass. Sez. 3, 11.5.2010 n. 23913, rv. 247800). Nel caso di specie, alla luce della meticolosa analisi sviluppata dall’impugnata sentenza di appello, vi è la prova positiva che la A. non abbia in alcun modo inteso sottrarsi ad un suo esame dibattimentale. Ancora va aggiunto, con riguardo alla asserita violazione dell’art. 111 Cost. lamentata dal ricorrente, che questa Corte ha altresì chiarito che la sopravvenuta e imprevedibile irreperibilità delle persone le cui dichiarazioni siano già state ritualmente acquisite in sede predibattimentale e delle quali non risulti provata la volontà di sottrarsi all’esame dibattimentale ricade nella casistica della "accertata impossibilità oggettiva" che, a norma dell’art. 111 Cost., comma 5, deroga alla regola della formazione della prova nel contraddittorio delle parti. Con la conseguenza che, in tali casi, non è neppure configurabile una eventuale violazione dell’art. 6 – comma 3, lett. d) – C.E.D.U. (come interpretato dalle decisioni della Corte di Strasburgo). Ciò perchè – come precisato dalla Corte Costituzionale (sentenze nn. 348 e 349 del 2007) – le norme della predetta convenzione europea, benchè direttamente vincolanti (nell’interpretazione fornitane dalla Corte di Strasburgo) per il giudice nazionale, non possono tuttavia comportare la disapplicazione delle norme interne con esse ipoteticamente contrastanti, se e in quanto queste ultime siano attuative di principi affermati dalla Costituzione, cui anche le norme convenzionali devono ritenersi subordinate, condizione soddisfatta, appunto, dalla applicabilità del disposto dell’art. 111 Cost., comma 5 (Cass. Sez. 5,16.3.2010 n. 16269, Benea, rv. 247258).

Al rigetto dell’impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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