Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-02-2012, n. 2641 Benefici combattentistici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 7.10.2009, in accoglimento dell’appello di M.V. ed in riforma della sentenza di primo grado, condannava la S.p.a. Ferrovie dello Stato al pagamento, in favore del predetto, dell’importo di Euro 2.551,91, a titolo di benefici combattentistici quale ex profugo dalla Libia, ritenendo che anche tale categoria avesse diritto al riconoscimento del beneficio anzidetto per effetto di una prassi aziendale che aveva accordato tale beneficio ai profughi della Libia pure se non espressamente contemplati dalla normativa che equipara agli ex combattenti i profughi comunque divenuti tali in seguito ad eventi bellici.

La società Ferrovie dello Stato aveva, infatti, emanato una circolare con la quale aveva manifestato l’intenzione di riconoscere i benefici in considerazione anche ai dipendenti profughi dalla Libia e tale comportamento era stato seguito dal 1971 al 1985, fino a quando, nel 1989, era stata adottata una circolare in senso contrario.

Il mutamento di indirizzo, secondo la Corte territoriale, era opponibile soltanto ai nuovi dipendenti, ma non a soggetti che avevano svolto servizio per tanti anni di carriera presso le FF SS nell’aspettativa di godere dei benefici anzidetto.

Per la cassazione di detta decisione propone ricorso la società, con unico articolato motivo.

Si è costituito il M., con controricorso.

Motivi della decisione

La società deduce, con l’unico motivo di ricorso, la violazione e falsa applicazione della L. 24 maggio 1970, n. 336, art. 1, nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto essenziale della controversia, assumendo che la Corte del merito ha violato il contenuto della L. n. 336 del 1970, art. 1, in quanto la norma annovera tra i destinatari beneficiari "i profughi per l’applicazione del trattato di pace e categorie equiparate", onde è evidente che tale categoria sia costituita unicamente da coloro che erano rimasti coinvolti in modo diretto ed immediato negli effetti del trattato predetto o che agli stessi avevano avuto una parificazione con legge.

Rileva che la normativa non riguardi tutti i profughi indistintamente, dovendo ritenersi esclusi coloro che erano rimpatriati non a seguito di eventi provocati direttamente dalla guerra e dal trattato di pace, ma di nuovi assetti politici emersi dalla fine del conflitto, come appunto il M., rimpatriato dalla Libia il 3.9.1970. In relazione alla posizione di quest’ultimo costante giurisprudenza aveva sempre escluso i benefici della L. n. 336 del 1970, negandoli ai profughi rimpatriati dalla Libia dopo l’agosto 1969. Osserva, ancora, che la circolare costituisce un atto unilaterale come tale soggetto a modifica, onde, alla stregua dell’interpretazione logico sistematica della normativa fornita dalla Corte di legittimità, il comportamento della società doveva ritenersi legittimo, e non poteva ritenersi creata una legittima aspettativa da parte del dipendente.

La questione posta all’esame della Corte è se la circolare adottata dalla società che aveva esteso i benefici combattentistici di cui alla L. n. 336 del 1970, che annovera tra i destinatari "i profughi per l’applicazione del trattato di pace e categorie equiparate", anche ai profughi dalla Libia in seguito a nuovi assetti politici, abbia creato una prassi aziendale, immodificabile da successiva circolare aziendale che disponeva in senso contrario.

In materia di ex combattenti la L. 24 maggio 1970, n. 336, art. 1 (Norme a favore dei dipendenti civili dello Stato ed enti pubblici ex combattenti e assimilati), il primo comma, dispone che "i dipendenti civili di ruolo e non di ruolo dello Stato, compresi quelli delle amministrazioni ed aziende con ordinamento autonomo, il personale direttivo e docente della scuola di ogni ordine e grado ed i magistrati dell’ordine giudiziario e amministrativo, ex combattenti, partigiani, mutilati ed invalidi di guerra, vittime civili di guerra, orfani, vedove di guerra o per causa di guerra, profughi per l’applicazione del trattato di pace e categorie equiparate, possono chiedere una sola volta nella carriera di appartenenza la valutazione di due anni o, se più favorevole, il computo delle campagne di guerra e del periodo trascorso in prigionia, in internamento, per ricovero in luoghi di cura e in licenza di convalescenza per ferite o infermità contratte presso reparti combattenti o in prigionia di guerra o in internamento, ai fini dell’attribuzione degli aumenti periodici e del conferimento della successiva classe di stipendio, paga o retribuzione".

Questa Corte ha già più volte affermato che l’espressione "profughi per l’applicazione del trattato di pace e categorie equiparate" contenuta nella L. n. 1970 n. 336, comprende non tutti i profughi, ma soltanto coloro che sono stati coinvolti in maniera immediata e diretta negli effetti del trattato di pace; che, di conseguenza, "le categorie equiparate" della norma in esame sono formate soltanto dalle persone che, con apposite leggi, hanno ottenuto la parificazione non già a tutti i profughi indistintamente, ma a quei profughi in particolare; che coloro che, come il ricorrente, sono tornati dalla Libia dopo l’agosto 1969 per eventi provocati non direttamente dalla guerra o dal trattato di pace, sono legittimati a chiedere i benefici della legislazione vigente per i profughi e i rimpatriati in generale, ma non quelli della normativa speciale relativa agli ex combattenti e assimilati contenuta nella L. n. 336 del 1970 (cfr., in tali termini, Cass. 22.12.2010 e Cass. 11.4.1998 n. 3749, che richiama Cass. 21 marzo 1980 n. 1921 e Cass. 15 febbraio1985 n. 1321). E’ stato, altresì, chiarito che non ha alcuna rilevanza, ai fini considerati, il D.P.C.M. 6 maggio 1970, che ha dichiarato l’esistenza della stato di necessità nei riguardi dei connazionali residenti in Libia anteriormente al 1^ settembre 1969 e che siano rimpatriati o che rimpatrieranno dopo tale data. Il decreto, infatti, deve essere inteso nel senso che estende ai connazionali rimpatriati dalla Libia le provvidenze a favore dei profughi in generale, ma non quelle particolari provvidenze previste per gli ex combattenti e per le categorie equiparate.

Tanto premesso, la circolare che ha esteso il beneficio anche ai profughi dalla Libia ha trovato applicazione, secondo quanto precisato nella sentenza impugnata, attraverso un comportamento dell’azienda inteso all’estensione del beneficio anche ai dipendenti profughi dalla Libia dal 1971 sino al 1985, laddove nel 1989 è stata adottata una circolare di contenuto contrario alla precedente.

E’ pacifico che per la formazione degli usi aziendali, riconducibili alla categoria degli usi negoziali, è necessaria unicamente la sussistenza di una prassi generalizzata – che si realizza attraverso la mera reiterazione di comportamenti posti in essere spontaneamente e non già in esecuzione di un obbligo – che riguardi i dipendenti anche di una sola azienda e che comporti per essi un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva; che le condizioni di miglior favore derivanti dai suddetti usi aziendali non possono essere derogate in peius per i lavoratori dalla contrattazione collettiva, atteso che gli usi si inseriscono nei singoli contratti individuali e non già nei contratti collettivi nazionali o aziendali, e che l’esclusione di tale inserzione può avvenire soltanto in base alla concorde volontà delle parti.

La formazione di una prassi aziendale, invocata dal resistente e riconosciuta dal giudice del gravame, è, tuttavia, a giudizio del Collegio, da escludersi con carattere di vincolatività per periodi anteriori alla stipulazione del contratto collettivo del giugno 1988, ostandovi il rilievo che fino a tale data il rapporto dei dipendenti delle FF.SS. è rimasto soggetto alla disciplina legislativa, con conseguente ammissibilità, a fronte della medesima ed ai sensi dell’art. 8 preleggi, del solo uso normativo (caratterizzato dalla "opinio iuris ac necessitatis"). L’uso negoziale ai sensi dell’art. 1340 cod. civ., invocato per l’estensibilità del beneficio a categorie quali quella di appartenenza del M. non contemplate dalla legge anche per periodi successivi alla circolare del 1989 non è, per quanto detto, utilmente richiamato, essendo rimasto soggetto il rapporto di lavoro in questione alla disciplina pubblicistica sino al giugno 1988, mentre tale uso presuppone un ambito di autonomia privata, laddove un uso normativo (art. 8 preleggi) opera solo nei casi in cui è la stessa legge a rinviare ad esso (cfr. Cass. 7 marzo 2005 n. 4813).

Nelle materie regolate dalla legge può valere soltanto, quale fonte integrativa sussidiaria, l’uso normativo, con efficacia limitata, come detto, ai casi in cui la legge stessa esplicitamente rinvia (art. 8 preleggi). Peraltro, nella specie non risulta neppure dedotto che le disposizioni di cui alla prima circolare richiamassero un uso normativo, e che il comportamento del direttore generale ne realizzasse i relativi elementi ("opinio iuris ac necessitatis, onde l’assunto della formazione di una prassi deve essere disatteso in questa sede.

Il ricorso deve, pertanto, essere accolto e di conseguenza la sentenza impugnata va cassata senza rinvio (ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ultimo periodo), in relazione al detto accoglimento, in quanto la causa può essere decisa nel merito, sulla base del principio di diritto enunciato – senza che siano necessari all’uopo accertamenti di fatto – e, per l’effetto, va rigettata la domanda del controricorrente.

La peculiarità della questione trattata integra i giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa tra le parti le spese di lite dell’intero processo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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