Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-02-2012, n. 2623 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso con due motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino depositata il 9-1-2007 che ha confermato la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Aosta n. 28 del 2005, con la quale è stata dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato con N. M. per il periodo 10-2-1999/31-5-1999, per "esigenze eccezionali.." ex art. 8 ccnl 1994 come integrato dall’acc. 25-9-97 e succ, con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato, ed essa società è stata condannata a corrispondere le retribuzioni dal 8-4-2004 oltre accessori, nonchè al ripristino del rapporto.

Il N. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato, con due motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Infine il N. ha depositato istanza di trattazione ai sensi della L. n. 183 del 2011, art. 26 e succ. mod..

Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale la società lamenta che la Corte territoriale, violando la L. n. 56 del 1987, art. 23, l’ art. 1362 c.c., e segg., in relazione all’accordo 25-9-97 e ai successivi accordi integrativi, erroneamente ha subordinato la legittimità del termine apposto al contratto de quo alla dimostrazione della sussistenza del nesso eziologico tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze dedotte in contratto, anche con riferimento allo specifico ufficio di applicazione, dovendo, invece, ritenersi legittimo il termine "anche in assenza della prova del nesso causale tra tali esigenze e la specifica assunzione per cui è causa, non avendo le parti collettive previsto nè voluto tale requisito".

Il motivo non può essere accolto, anche se la motivazione della sentenza merita di essere in parte corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., come più volte affermato da questa Corte in casi analoghi di ricorsi avverso sentenze dello stesso tenore (v. fra le altre Cass. 24-3-2009 n. 7042, Cass. 22-1-2009 n. 1626, Cass. 7/1/2009 n. 41, Cass. 12-11-2008 n. 27030, Cass. 19-11-2008 n. 27470).

Peraltro la questione, come emerge dalla lettura del ricorso stesso, risulta già ampiamente trattata nel giudizio di merito, avendo la società con l’appello ribadito chiaramente la natura ricognitiva degli accordi attuativi dell’acc. az. 25-9-97.

In specie la decisione impugnata, nella parte in cui ha affermato la illegittimità del termine apposto al contratto de quo, deve ritenersi conforme a diritto anche se la motivazione della sentenza deve ritenersi parzialmente erronea.

In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001), sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato." (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23/8/2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli asserti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1/10/2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, deve quindi ritenersi illegittimo il termine apposto al contratto in esame per il solo fatto che lo stesso è stato stipulato dopo il 30 aprile 1998 ed è pertanto privo di presupposto normativo.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, art. 1362 c.c., comma 2, art. 2697 c.c, e art. 115 c.p.c., nonchè omessa o insufficiente motivazione, in sostanza censura la impugnata sentenza laddove "ha completamente omesso di pronunciarsi in merito alla eccepita risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito, nonostante i precisi indici in tal senso (il lungo tempo trascorso anche in relazione alla brevità del rapporto, la mancata ripresa del servizio nonostante l’invito della società) e le istanze istruttorie volte ad accertare l’eventuale volontà risolutiva dell’odierno intimato (in particolare con riferimento all’eventuale reperimento di altra attività lavorativa)".

Tale motivo è inammissibile.

Come questa Corte ha più volte affermato "l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3, giacchè siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c." (v. Cass. 12-12-2005 n. 27387, cfr. Cass. 26-1-2006 n. 1701, Cass. 14-2-2006 n. 3190, Cass. 4-6-2007 n. 12952, Cass. 22-11-2006 n. 24856, Cass. 10-12-2009 n. 25825, Cass. 17-12-2009 n. 26598, nonchè, in particolare, sulla contraddittorietà della denuncia in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia v. Cass. 17-7-2007 n. 15882).

Nella fattispecie la ricorrente principale esordisce denunciando violazioni di norme sostanziali (e dell’art. 115 c.p.c., la cui violazione è però apprezzabile soltanto nei limiti del vizio di motivazione e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza – v. fra le altre Cass. 20-6-2006 n. 14267) nonchè insufficiente motivazione, lamentando, poi nella esposizione del motivo in sostanza una omessa pronuncia, e concludendo, infine, con la formulazione di un quesito (ex art. 366 bis c.p.c., che va applicato nella specie ratione temporis) che contraddice in pieno la dedotta omessa pronuncia, in quanto presuppone espressamente che la sentenza impugnata abbia subordinato "la configurabilità della risoluzione per mutuo consenso tacito del rapporto di lavoro alla espressa rinuncia del lavoratore alla riattivazione del rapporto, anche a fronte di comportamenti delle parti incompatibili con la volontà di mantenere in vita il vincolo contrattuale ed in particolare….." (laddove invece la Corte di merito nulla ha affermato al riguardo).

Evidente è quindi la contraddittorietà e inammissibilità del motivo ed altrettanto evidente è la inconferenza del quesito rispetto al decisum nella fattispecie concreta.

In tali sensi va, pertanto, respinto il ricorso principale, in parte correggendosi, come sopra, la motivazione dell’impugnata sentenza, (così risultando assorbito il ricorso incidentale condizionato), non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna ulteriore censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno.

Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 (su cui vedi la recente Corte Cost. n. 303 del 2011).

Orbene, a prescindere da ogni altra considerazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Infine, in ragione della soccombenza, la società va condannata al pagamento delle spese in favore del N..

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato e condanna la s.p.a. Poste Italiane a pagare al N. le spese, liquidate in Euro 50,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA, con attribuzione all’avv. Maurizio Scavone per dichiarata anticipazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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