Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 20-04-2011) 30-09-2011, n. 35633

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con sentenza in data 15 giugno 2010 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della decisione con la quale, il 18 novembre 2009, il Tribunale di Roma aveva condannato P.I.M., alla pena di anni otto di reclusione perche ritenuto responsabile del delitto di concorso in tentato omicidio, riconosciuta la diminuente di cui all’art. 116 c.p. rideterminava la pena inflitta all’imputato in anni quattro e mesi otto di reclusione.

I fatti oggetto del giudizio si verificarono il (OMISSIS) e furono accertati a seguito delle indagini svolte dopo che era giunto al pronto soccorso dell’Ospedale di Frascati B. G., il quale presentava un cacciavite conficcato nella schiena e ed era stato sottoposto urgentemente ad intervento chirurgico.

Il B. mentre era alla guida della sua Opel Corsa in compagnia di C.A.I., giunto all’incrocio tra la via (OMISSIS), vedendo lampeggiare i fari di una autovettura Alfa Romeo 147 di colore bianco, che lo seguiva,si era fermato, dalla macchina erano scesi il guidatore ed un altro giovane mentre da un’altra macchina erano uscite altre persone che avevano circondato l’autovettura del B..

Il B. veniva quindi aggredito dal conduttore dell’autovettura Alfa Romeo che lo colpiva mentre ancora era sulla macchina e, una volta sceso per fronteggiare l’aggressore veniva colpito alle spalle; il C. era scappato per cercare aiuto ma non avendolo trovato era tornato indietro e, resosi conto che il B. aveva un cacciavite conficcato nella schiena, lo aveva accompagnato all’ospedale di (OMISSIS).

Il guidatore della autovettura Alfa Romeo, indicato dall’aggredito e dalla di lui moglie con l’appellativo di "(OMISSIS)", veniva identificato nell’imputato P.I.M.. La corte d’appello ritiene confermato che l’imputato ha agito in concorso con più persone nell’aggressione del B., nel corso della quale fu colpito anche C.A.I., persone che dopo il fatto si allontanarono assieme. Escludono i giudici di appello che il P. abbia reagito ad una aggressione ad opera del B., perchè la circostanza è smentita dalle dichiarazioni della parte offesa e dello C.; riguardo alla ricostruzione dell’antefatto ritengono corretta quella operata dal primo giudice, secondo cui P.I. aveva infastidito circa una settimana prima la moglie del B., anche lei romena, e dopo l’intervento di quest’ultimo, che lo aveva invitato a smettere il suo comportamento, il P. aveva organizzato un agguato, o, comunque, una spedizione per punire il B.. Ciò è dimostrato dal lampeggiamento dei fari con cui il B. era stato invitato a fermarsi, dall’appostamento di tante persone, dal metodo violento consistito nell’apertura dello sportello seguita dal calcio sferrato dal P. al fianco della vittima, aggravato dal successivo posizionarsi di due aggressori uno di fronte, il P., e l’altro, quello che lo accoltellava, di spalle al B. mentre gli altri lo accerchiavano. Il fatto poi che il B. si fosse mosso per andare a cercare il "(OMISSIS)", secondo la corte territoriale, non è rilevante posto che è pacifico che fu il P. ad invitare il B. a fermarsi e che, una volta arrestata la marcia della macchina, egli fu subito aggredito;

al riguardo lo stesso imputato ha ammesso di averlo colpito, pur avendo precisato che ad accoltellarlo era stato un altro, ed inoltre vi erano sul posto, come riferito dal C., sei sette uomini che avevano accerchiato la macchina dalla quale egli riuscì a stento ad uscire venendo anche lui colpito da uno di loro.

Riguardo alla qualificazione giuridica del fatto la corte alla stregua delle dichiarazioni del perito circa la natura delle lesioni, le modalità con le quali sono state inflitte, la zona del corpo attinta e l’idoneità del mezzo adoperato, ritiene che sussistesse in capo all’accoltellatore il dolo omicidiario, avendo egli posto in essere una condotta diretta, indifferentemente;a finalità lesive o omicide.

Tuttavia, ritiene la corte che non vi sia prova di un accordo per commettere l’omicidio, con specifica ripartizione dei ruoli, e quindi non possano ricondursi le modalità dell’accoltellamento all’imputato al quale deve essere applicata l’attenuante di cui all’art. 116 c.p., riconoscendone il concorso anomalo nel delitto di tentato omicidio realizzato dal complice con il quale aveva affrontato il B. per punirlo.

Sul trattamento sanzionatorie la corte, ritiene che non possano essere concesse le attenuanti generiche all’imputato in considerazione della personalità, desumibile dalla sua condotta con la moglie della persona offesa e dall’essersi vantato dell’aggressione.

2.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello propone ricorso per Cassazione l’imputato personalmente adducendo a motivi: inosservanza o erronea applicazione della legge penale sostanziale e processuale e vizio di motivazione, in particolare contraddittorietà e illogicità della prova, omessa considerazione di circostanze decisive e travisamento del fatto. Lamenta il ricorrente che in punto di sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di tentato omicidio, del quale l’imputato è ritenuto colpevole a titolo di concorso anomalo, la corte non abbia correttamente e logicamente valutato, in mancanza di specifiche ammissioni, se sulla base delle circostanze esteriori significative, quali minacce anticipate, manifestazioni dell’intento e soprattutto le caratteristiche della condotta: mezzo impiegato, forza, reiterazione e direzione dei colpi, zona attinta, esso potesse essere realmente configurabile. Quanto ai profili di responsabilità dell’imputato osserva che l’originario piano, secondo la prospettazione accusatoria fatta propria dalla corte di appello, sarebbe stato quello di una spedizione punitiva per l’affronto subito. Rispetto a tale intento, presentatasi l’occasione, il solo imputato scende dall’autovettura e affronta il B. mentre l’accoltellatore interviene in un secondo momento, quando nota che i due si stanno affrontando. Stanti tali fatti la corte avrebbe dovuto adeguatamente motivare e fornire elementi ed indizi dai quali desumere, in maniera inequivocabile, che i due correi avessero programmato l’aggressione e che vi fosse stata da parte del P., rispetto al reato di tentato omicidio, la partecipazione psicologica a titolo di dolo, sia pure eventuale. Invero l’istruttoria dibattimentale non ha permesso di accertare alcun elemento rilevante in ordine all’effettiva partecipazione del P. all’evento, nè sotto il profilo del contributo causale, materiale o morale, nè sotto quello della adesione psicologica.

La corte territoriale si limita a ritenere sussistente il dolo del tentato omicidio con motivazione illogica e contraddittoria: dopo averlo riconosciuto in capo all’autore dell’accoltellamento, che non è il P.; dopo aver affermato che non vi è prova di un accordo per commettere l’omicidio – aggiungendo che non vi è specifica ripartizione dei ruoli – e che non possono ricondursi all’imputato le modalità dell’accoltellamento, da qui l’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 116 c.p., ritiene, comunque che "era prevedibile che nell’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani una spedizione punitiva con un soggetto armato di cacciavite, per di più prelevato dall’autovettura dell’imputato, potesse logicamente evolversi in un evento infausto, tuttavia dall’altro, lato, non si può affermare che l’imputato si sia rappresentato l’evento morte". 3.- Il Procuratore Generale Dott. Francesco Maria Jacoviello ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Motivi della decisione

1.- Il Ricorso è manifestamente infondato.

Con esso, infatti, il ricorrente oltre a riprospettare questioni già ampiamente e congruamente affrontate e decise nella sentenza impugnata, tende ad accreditare una ricostruzione dei fatti diversa da quella fatta propria dal giudicante in aderenza ai dati di prova correttamente valutati, conciò sollecitando un nuovo giudizio nel merito delle diverse emergenze fattuali non consentito in sede di legittimità.

Riguardo alla sussistenza del reato di tentato omicidio in capo all’autore materiale dell’accoltellamento osserva il Collegio che è pacifico, per consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che ha natura di dolo diretto, ed è compatibile con il tentativo di omicidio, quella particolare manifestazione di volontà definita dolo alternativo che sussiste quando il soggetto attivo prevede e vuole, con scelta di sostanziale equivalenza, l’uno o l’altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria (S.U. n. 748 del 12 ottobre 1993, Cassata;

S.U. n. 3428 del 6 dicembre 1991, S.U. n. 3571 del 14 febbraio 1996, Suraci e S.U. n. 3286 del 27 novembre 2008, Chiodi). Il dolo diretto, nella peculiare forma del dolo cosiddetto alternativo, sussiste (Cass., sez. 1, sent. 9949, ud. 20/10/97, dep. 5/11/97, Trovato, e recenti: Cass. Sez. 1, sent. 22.9.2010, n. 37516, imp. Bisotti; Cass. Sez. 1, sent. 23.9.2010, n. 36723, imp. Solovuchuk e altri; Cass. Sez. 6, sent. 14.10.2010, n. 40808, imp. Cazzaniga), sicchè già al momento della realizzazione dell’elemento oggettivo del reato egli deve prevederli entrambi.

La corte d’appello, conformandosi alla decisione del Tribunale, ha ritenuto che fosse ravvisabile la volontà dell’agente di ferire gravemente o di uccidere, fondando il suo giudizio sulla base dei parametri che questa Corte ha più volte indicato quali elementi sintomatici del dolo – tipo di arma usata, zona del corpo attinta, forza e reiterazione dei colpi, adeguatezza della azione, conseguenze prodotte – emergenti dalla relazione e dalle dichiarazioni del consulente medico-legale il quale rilevò due soluzioni di continuo penetranti a livello della regione posteriore centrale del torace, una a carico dell’emitorace desto e l’altra, ove era ritenuta una porzione di cacciavite, all’emitorace sinistro, oltre ad una terza costituita da una escoriazione lineare.

Il cacciavite adoperato, dotato di punta e con lunghezza utile di sette centimetri, è stato usato reiteratamente con meccanismo di penetrazione per attingere la regione toracica, notoriamente sede di organi vitali quali il cuore ed i polmoni,dei quali quello sinistro fu leso; la presenza, poi, di due lesioni e di una escoriazione testimoniano che se se la lama del cacciavite non si fosse staccata dall’impugnatura, restando ritenuta nel corpo della persona offesa, altre penetrazioni avrebbero potuto verificarsi. La ferita all’emitorace destro provocò, secondo, gli accertamenti medico legali, uno pneumotorace che non si veri fico nel polmone sinistro solo per la fortuita ritenzione della lama.

Quanto all’affermato concorso anomalo, ex art. 116 c.p., del ricorrente nel tentato omicidio, privo di rilevanza e pregio è quanto difensivamente dedotto con doglianze che, in sostanza, si limitano ad evidenziare, in fatto, come l’imputato si trovasse di fronte alla persona offesa e, quindi non potesse sapere che l’accoltellatore, posizionato alle spalle della vittima aveva con sè il cacciavite e che lo avrebbe usato.

I presupposti del cosiddetto concorso anomalo, ossia del concorso del concorrente nel reato diverso da quello voluto, sono la volontà di partecipare con altri alla realizzazione di un fatto criminoso, la commissione da parte di altro concorrente di un reato diverso e più grave, l’esistenza di un nesso causale e psicologico tra l’azione del compartecipe al reato inizialmente voluto ed il diverso reato poi commesso dal concorrente, che deve essere prevedibile, in quanto logico sviluppo di quello concordato, senza peraltro che l’agente lo abbia effettivamente voluto o ne abbia accettato il rischio, perchè in tal caso vi sarebbe concorso ordinario ex art. 110 c.p. a titolo di dolo diretto od eventuale (ex plurimis da ultimo Cass. Sez. 6, sent. 29.4.2010 n. 32209, Rv. 248033).

Il nesso causale e psicologico tra il reato voluto e quello, diverso ed ulteriore, commesso dal concorrente -che si realizza quando quest’ultimo doveva essere oggetto di possibile rappresentazione in quanto logico sviluppo, secondo l’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani – va poi accertato con giudizio prognostico postumo da effettuarsi in concreto, valutando la personalità dell’imputato e le circostanze ambientali nelle quali si è svolta l’azione (Cass. Sez. 5, sent. 8.7.2009, n.39339, Rv. 245152).

Correttamente, in applicazioni di detti principi, la corte territoriale, dopo aver individuato il P. quale ideatore dell’aggressione a scopo punitivo nei confronti del B., rileva che fu lui a organizzare la stessa facendosi accompagnare da diverse persone tra cui l’accoltellatore, con il quale si diede poi alla fuga, e che, se pure la degenerazione dell’aggressione stessa, nei termini violenti in cui si realizzò, non era stata voluta dall’imputato essa non poteva essere considerata conseguenza di circostanze eccezionali e del tutto avulse dal contesto del delitto meno grave originariamente programmato. Per le ragioni sopraesposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro mille, ai sensi dello art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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