Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-04-2011) 30-09-2011, n. 35592

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte d’Appello di Perugia, con sentenza 6/7/2010, confermava la decisione 13/6/2002 del locale Tribunale, che aveva condannato N.E. alla pena di anni tre di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile in relazione al reato di calunnia aggravata continuata, perchè, con dichiarazioni rese al P.M. in data 4/5/2006, aveva incolpato, pur sapendoli innocenti, il Presidente di sezione del Tribunale di Roma, C.M., e il sostituto Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale, D.N.E., rispettivamente dei reati di concussione e di abuso d’ufficio.

Il Giudice distrettuale, nel ripercorrere la genesi e la dinamica della vicenda processuale, evidenziava che l’imputato, nel rendere le citate dichiarazioni nella qualità di imputato di reato connesso, aveva riferito, a chiarimento anche del contenuto di una missiva sequestratagli e indirizzata al Presidente del Tribunale di Roma, che i predetti magistrati erano legati da rapporti di amicizia con l’avv. D.M.A., del quale anch’egli era stato amico per lungo tempo, finchè, a causa di una controversia immobiliare, i rapporti si erano insanabilmente deteriorati e il legale lo aveva denunciato per truffa e appropriazione indebita, facendo valere, in più occasioni, la sua amicizia con i detti magistrati, i quali avevano effettivamente assunto un atteggiamento persecutorio ai suoi danni.

Quest’ultima affermazione era stata cosi esplicitata dall’imputato:

a) informato preventivamente dal D.M. di essere destinatario di un mandato di cattura, in realtà emesso, era stato indotto dal predetto a transigere la controversia immobiliare in corso, quale condizione per ottenere, attraverso un opportuno intervento sul dr. D.N., la revoca del provvedimento restrittivo, evento quest’ultimo effettivamente verificatosi, una volta concluso il sollecitato accordo; b) altro procedimento a suo carico per usura ed estorsione si era concluso con una pesante sentenza di condanna emessa dal Tribunale, presieduto dal dr. C., e preannunciatagli dal D.M.; c) nel periodo in cui egli era sottoposto alla misura di prevenzione di p.s. con obbligo di soggiorno nel comune di Core Brugnatella, il D.M. gli aveva chiesto la somma di lire 300 milioni per "sistemare" la situazione ed egli, aderendo alla proposta, aveva fatto consegnare al D.M., tramite S. D., un primo acconto di lire 100 milioni in piazza Nicosia e, nella circostanza, era presente sul luogo anche una vettura "Alfetta" gialla, targata Roma (OMISSIS)…, al cui interno si trovava il dr. C..

La Corte territoriale riteneva il racconto dell’imputato, nella parte in cui aveva formulato precise accuse nei confronti dei due magistrati, sicuramente calunnioso e la prova delle false accuse e della piena consapevolezza da parte dell’agente dell’innocenza degli incolpati era offerta dai seguenti dati oggettivi: a) quanto al procedimento penale per truffa in danno del D.M., il sostituto Procuratore della Repubblica D.N., dopo avere disposto le prime indagini di polizia giudiziaria, aveva investito, per la formale istruttoria, il Giudice Istruttore il quale aveva emesso il mandato di cattura, aveva rigettato l’istanza di revoca dello stesso avanzata dal N., aveva successivamente concesso a costui, nonostante il parere contrario del D.N., la libertà provvisoria, motivandola con riferimento a ragioni di salute; b) la gestione del procedimento da parte del Giudice Istruttore costituiva la più clamorosa smentita all’asserita interferenza nello stesso da parte del D.N., che avrebbe perseguito lo scopo di favorire la posizione del denunciante D.M., costringendo il N. all’accordo transattivo sulla connessa questione civile; c) la presenza del dr. C. in piazza Nicosia, in occasione della consegna al D.M. della somma di lire 100 milioni, era risultata frutto di pura invenzione, essendo stato acclarato che il detto magistrato non disponeva di una vettura analoga a quella descritta dall’imputato; d) il dr. C., peraltro, non aveva alcuna competenza per intervenire sulla misura di prevenzione a cui il N. era sottoposto e quest’ultimo non poteva fondatamente ritenere il contrario; e) quanto alla condanna emessa, nell’anno 19S3, dal Tribunale di Roma, presieduto dal dr. C., per i reati di usura e di estorsione, l’imputato non poteva ignorare che la decisione era frutto di una deliberazione collegiale e non era, quindi, ascrivibile al singolo componente del Collegio.

2. Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, l’imputato lamentando: 1) violazione della legge penale, con riferimento all’art. 368 cod. pen., per non essersi considerato che le accuse da lui rivolte ai due magistrati erano state formulate sulla base di quanto riferitogli dal D.M., sicchè si sarebbe dovuto verificare la veridicità di questo specifico aspetto, per gli effetti che spiegava sulla sua posizione soggettiva; 2) manifesta illogicità della motivazione e violazione della legge penale, con riferimento agli artt. 368 e 317 cod. pen., per non essersi considerato che egli non aveva mai riferito di essere stato costretto o indotto alla indebita dazione dal dr. C., ma si era limitato ad attribuire al D.M. l’iniziativa di averlo contattato e di avergli prospettato la possibilità di intervenire sul magistrato, per risolvere favorevolmente le questioni giudiziarie in cui egli era coinvolto, con la conseguenza che – al limite – la calunnia, salvo a verificarne la fondatezza, era in danno del D.M., accusato di millantato credito; 3) manifesta illogicità della motivazione e violazione della legge penale, con riferimento agli artt. 368 e 324 c.p., recte (art. 323 cod pen.), anche per la calunnia in danno del dr. D.N., nei cui confronti egli non aveva rivolto alcuna specifica accusa di abuso d’ufficio, essendosi limitato a stigmatizzare la condotta del D.M., che aveva vantato di potere influire sul magistrato; 4) vizio di motivazione nella parte in cui non si erano valorizzati gli elementi di prova a lui favorevoli; 5) mancanza di motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti generiche, sulla misura della pena, sulla provvisionale riconosciuta alla parte civile.

3. Il ricorso non è fondato e deve essere rigettato.

Le dichiarazioni incriminate, secondo la coerente e logica lettura datane dalla sentenza impugnata, sono certamente calunniose nella parte in cui, in maniera insinuante ma inequivoca, incolpano i due magistrati di gravi reati, che sarebbero stati commessi nell’atto o a causa dello svolgimento delle loro funzioni.

Rileva, invero, la Corte che, al di là di ogni altra considerazione, la sola affermazione, non corrispondente al veto, che il dr. C. sarebbe stato presente nel luogo in cui era stata consegnata la somma di lire 100 milioni all’avv. D.M., per "sistemare" la questione relativa al soggiorno obbligato a cui il N. era sottoposto, integra la falsa accusa di concussione e, conseguentemente, il reato di calunnia. Deve aggiungersi, con riferimento a questo specifico episodio, che l’imputato, avendo falsamente sostenuto di avere direttamente constatato la presenza in piazza Nicosia del dr. C., era certamente consapevole dell’innocenza di costui, nel momento in cui rendeva le dichiarazioni incriminate.

Falsa si è rivelata anche l’accusa, formulata in maniera insinuante, nei confronti del dr. D.N., che, agendo in sinergia con l’amico D.M., avrebbe costretto il N. all’accordo transattivo con quest’ultimo, per conseguire il beneficio della libertà provvisoria. Al riguardo, la sentenza di merito, ricostruendo puntigliosamente la dinamica processuale della vicenda, evidenzia, seguendo un percorso argomentativo adeguato e logico nell’apprezzamento e nella valutazione del materiale probatorio acquisito, l’assoluta estraneità del magistrato a condotte finalizzate a privilegiare interessi di parte a scapito di oggettive esigenze di giustizia.

Il ricorrente, in verità, rendendosi conto della portata oggettivamente calunniosa delle dichiarazioni da lui rese, orienta le sue doglianze prevalentemente sull’elemento soggettivo del reato, nel senso che assume di avere agito in buona fede, avendo allegato verosimiglianza a quanto riferitogli ripetutamente dal D.M., personaggio centrale di tutta la complessa vicenda, sino al punto di essersi convinto del coinvolgimento dei magistrati nelle condotte illecite loro rispettivamente attribuite.

La tesi non può essere condivisa.

L’intenzionalità dell’incolpazione e la consapevolezza dell’innocenza dell’incolpato sono le componenti essenziali dell’elemento soggettivo del delitto di calunnia e devono essere distintamente apprezzate e valutate.

La prima, come si è detto, è fuori discussione, non essendo sostanzialmente contestata neppure dal ricorrente.

L’individuazione della seconda e evidenziata dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive della condotta posta in essere dall’imputato, il quale, recependo passivamente quanto appreso dal D.M. e privilegiando, attraverso impropri e – a volte – fantasiosi collegamenti, una maliziosa interpretazione del comportamento dei magistrati, aveva finito con l’attribuire a costoro gravi illeciti, pur consapevole, per quanto acquisito alla sua sfera intellettiva, della loro incolpevolezza, per assenza di seri elementi che dimostrassero il contrario.

La circostanza che l’imputato può essere stato indotto alla falsa e calunniosa accusa da quanto riferitogli dal D.M. non muta i termini della questione. La superficiale valutazione dei fatti appresi, l’eventuale smarrimento emotivo conseguitone, pur attenendo ad aspetti psicologici dell’agente, non sono certamente elementi idonei ad alterare i processi di intelligenza e di volontà giuridicamente rilevanti e ad incidere sull’elemento soggettivo del reato. L’imputato, nel formulare le gravi accuse nei confronti dei due magistrati, che a vario titolo si erano occupati delle sue vicende giudiziarie, non si era limitato a riferire asetticamente le notizie che avrebbe appreso dal D.M., per verificarne la fondatezza o meno, ma aveva, in contrasto con la storicità dei fatti, aggiunto del suo, nella chiara prospettiva di accreditare la sua denunzia, pur consapevole che questa era priva di qualsiasi serio fondamento.

Le conclusioni alle quali la sentenza impugnata perviene non trovano smentita nella prova a discarico, ritenuta, all’esito di una approfondita analisi critica, contraddittoria e inattendibile.

La scelta sanzionatoria, in quanto espressione del potere discrezionale del giudice di merito, che da conto, senza incorrere in vizi logici, delle ragioni che la giustificano, non è censurabile sotto il profilo della legittimità.

Va statuizione di assegnazione alla costituita parte civile di una provvisionale da imputarsi nella liquidazione definitiva del danno non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. U. n. 2246 del 19/12/1990, dep. 19/2/1991, imp. Capelli).

4. Al rigetto del ricorso consegue, di diritto, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile D.N. E. e liquidate nella misura in dispositivo indicata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile D.N.E., liquidate in complessivi L. 1.260,00, oltre iva e epa come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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