Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-02-2012, n. 2619 Sanzioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Cosenza, G.U., dipendente della CARICAL s.p.a. (a cui subentrava in pendenza del rapporto, la CARIME s.p.a.) con la qualifica di impiegato ed assegnato, negli ultimi anni, al servizio valuta estera presso la filiale sita in Cosenza, esponeva che: dopo avere ricevuto in data 23 giugno 1999 la comunicazione della sospensione dal servizio ai sensi dell’art. 116 del c.c.n.l., con successiva lettera dell’11 agosto gli era stata comunicata l’applicazione della sanzione della destituzione a decorrere dal 24 giugno 1999; gli addebiti sulla base dei quali era stata irrogata detta sanzione consistevano nella sottrazione di valuta estera relativamente a distinte operazioni, effettuate nei giorni 12 giugno 1998 e 28 agosto 1998, per un importo rispettivo di L. 180.349.750 e L. 9.878.500, registrate quelle di giugno a nome di un collega di lavoro, quelle di agosto a nome di sè medesimo; la contestazione di tali fatti era avvenuta in data 2 luglio 1999.

Il ricorrente sosteneva l’illegittimità del licenziamento sia per la sua tardività, essendo stato disposto ad un anno dai fatti, sia per infondatezza degli addebiti sia, ancora, per la sproporzione della sanzione rispetto all’asserito illecito; ne chiedeva quindi la dichiarazione di illegittimità con le conseguenze ripristinatorie e risarcitorie di legge.

Costituitasi la convenuta, il Tribunale respingeva la domanda con sentenza del 5 aprile 2006, avverso la quale G.U. proponeva appello deducendo che: a) il licenziamento era illegittimo per mancanza del requisito dell’immediatezza della contestazione dei fatti posti alla base del provvedimento disciplinare; b) nel merito, non vi era prova che egli avesse effettuato le operazioni irregolari addebitategli dalla banca, essendo irrilevante la documentazione prodotta da quest’ultima e inattendibili le deposizioni testimoniali;

c) non poteva essere considerato responsabile dell’operazione eseguita il 12 giugno 1998 dal terminale del collega, nei cui confronti non aveva alcun obbligo di assistenza e controllo; d) la sanzione inflitta difettava del requisito della proporzionalità.

Concludeva, quindi, per la riforma della sentenza e l’accoglimento della domanda sopra specificata.

Si costituiva la Banca CARIME, contestando la fondatezza dei motivi di gravame e chiedendone il rigetto.

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 29 settembre 2008, respingeva il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il G., affidato a quattro motivi.

Resiste la Banca con controricorso.

Motivi della decisione

Deve pregiudizialmente respingersi l’eccezione della controricorrente circa l’inammissibilità del presente ricorso per essere stato notificato successivamente all’anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata.

Ed invero risulta dagli atti che seppure la notifica avvenne in data 30 settembre 2009, l’atto venne avviato per la notifica il 29 settembre, con ciò escludendosi il denunciato mancato rispetto del termine c.d. lungo per impugnare (C. Cost. sentenza 26 novembre 2002 n. 447).

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, per violazione del principio dell’immediatezza, diretto a garantire l’effettività della difesa da parte del lavoratore, da considerarsi prevalente rispetto alle esigenze organizzative e di controllo della datrice di lavoro.

Lamentava che la corte di merito, in base al principio della relatività dell’obbligo di immediatezza, ritenne tempestiva la reazione datoriale avvenuta circa un anno dopo la commissione dei pretesi illeciti, sulla scorta della complessità dell’accertamento dei fatti, peraltro basata su elementi istruttori non del tutto attendibili.

Ad illustrazione del motivo formulava il prescritto quesito di diritto.

Il motivo è inammissibile.

Deve infatti in primo luogo osservarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa;

viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica va lutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (ex plurimis, Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).

Nella specie la corte di merito ha logicamente e congruamente motivato, sulla scorta delle emergenze istruttorie, che la procedura di accertamento delle operazioni contabili in valuta estera erano piuttosto complesse e richiedevano diversi mesi. Che appena avuto contezza delle irregolarità, nel maggio 1999, vi era stata una tempestiva reazione datoriale attraverso la sospensione cautelare del G..

Il ricorrente non censura tali accertamenti, dolendosi anzi del fatto che le difficoltà organizzative della Banca non potevano ricadere su ricorrente (pag. 10 ricorso).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nell’avere la corte di merito individuato nel G. l’autore delle illecite operazioni bancarie, basandosi su elementi presuntivi di cui mancavano i presupposti, come pure emergeva dalla testimonianze raccolte.

Anche tale motivo risulta inammissibile.

Il ricorrente, infatti, contesta la congruità degli accertamenti svolti dalla corte di merito anche sulla base delle testimonianze raccolte, finendo così per sottoporre alla Corte un inammissibile riesame delle circostanze di causa.

Al riguardo deve osservarsi che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutatone delle risultanze degli atti di causa. Del resto, il citato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formate e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito ai quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274; Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500).

3. – Con il terzo motivo il ricorrente denuncia sempre una contraddittoria motivazione della sentenza impugnata laddove aveva per un verso ritenuto che le operazioni irregolari del 12 giugno 1998 erano state commesse dal collega I., e dall’altra per aver ritenuto una responsabilità di esso ricorrente al riguardo.

4. Con il quarto motivo il G. denuncia una omessa ed illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, e cioè la sua responsabilità per colpa in vigilando rispetto alle operazioni svolte dal collega, senza chiarire quale fosse la fonte del suo obbligo di vigilanza e senza considerare che esso ricorrente era stato assegnato ad altra unità produttiva.

I motivi, che stante la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, risultano infondati.

Va al riguardo osservato che la corte territoriale ha ritenuto, con motivazione congrua e logica, che le operazioni in questione, anche a prescindere dalla colpa in vigilando, erano state registrate con il numero di matricola del G. e che esse vennero eseguite dal terminale in uso al medesimo; che la tesi attorea dell’uso del terminale da parte anche di terze persone, era rimasta sfornita di qualsivoglia prova.

Deve allora chiarirsi che in tema di licenziamento per giusta causa spetta unicamente al giudice del merito – e non può essere sindacato in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o giuridici – l’accertamento che il fatto addebitato sia di gravita tale da integrare la fattispecie di cui all’art. 2119 cod. civ. (Cass. 11 maggio 2005 n. 9884; Cass. 23 agosto 2006 n. 18377; Cass. 26 luglio 2010 n. 17514).

Il ricorso deve dunque rigettarsi. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad Euro 40,00, Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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