Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-02-2012, n. 2617 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso del 27.4.2000 C.O., in proprio e quale legale rappresentante della società D.C.E. Elettronica S.r.l. proponeva opposizione avverso l’ordinanza – ingiunzione n. 62/00 emessa dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Sondrio in data 31.3.2000, per l’importo complessivo di L. 48.291.200 (Euro 29.940,28), a seguito della contestata violazione di diverse disposizioni di legge in materia di lavoro.

Tali contestazioni, riferiva il ricorrente, traevano origine da un accertamento ispettivo effettuato presso l’azienda dai funzionari della Direzione provinciale del lavoro, dal 23.6.1999 al 20.9.1999, all’esito del quale veniva emesso il verbale n. 7/19 del 22.9.1999 con cui si contestava alla società D.C.E. la asserita irregolare assunzione di 15 lavoratori, soci di Cooperative di lavoro, e si accertava l’omissione dei relativi contributi per il periodo dal 12.3.1997 al 30.6.1999, per un imponibile contributivo pari a L. 539.525.000.

In particolare, secondo le contestazioni rilevate con il rapporto n. 11/00 del 18.1.2000, redatto dagli Ispettori C.G. e M.S., la società D.C.E. non aveva comunicato alla competente Sezione Circoscrizionale per l’impiego l’assunzione di 15 dipendenti; non aveva consegnato agli stessi, all’atto dell’assunzione, una lettera sottoscritta contenente i dati delle registrazioni da effettuarsi sul libro matricola; aveva omesso di effettuare sui loro libretti di lavoro le previste registrazioni; li avrebbe, infine, retribuiti senza consegnare relativi prospetti paga con indicazione dell’effettivo datore di lavoro.

Per tali ragioni, alla società D.C.E. ed al suo legale rappresentante venivano comminate sanzioni per l’importo di L. 200.000.000 e L. 32.121.000.

Si costituiva in giudizio la D.P.L., con memoria difensiva dell’8.9.2000, chiedendo il rigetto dell’opposizione all’ordinanza – ingiunzione.

La causa veniva istruita a mezzo di produzioni documentali e prove testimoniali; veniva inoltre disposta c.t.u. tecnico – contabile, volta a descrivere ed accertare i fatti dedotti in causa ed i rapporti tra la società D.C.E., da un lato, e le Cooperative di lavoro, dall’altro.

Con sentenza n. 181/03 del 18.12.2003 il Giudice del Lavoro del Tribunale di Sondrio rigettava il ricorso proposto dal C., confermando l’ordinanza -ingiunzione n. 62/00 del 31.3.2000 emessa dalla D.P.L. di Sondrio e revocando la sospensione dell’esecutività della medesima.

2. Con ricorso in appello del 23.8.2004, depositato il 24.9.2004, il C. impugnava la citata sentenza del Tribunale di Sondrio, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza – ingiunzione. In particolare il C. contestava la legittimità e la correttezza della pronuncia del giudice di primo grado poichè inficiata da errori nella valutazione della c.t.u. esperita e delle prove testimoniali assunte, errori che avevano portato al rigetto dell’opposizione proposta.

Si costituivano nel giudizio d’appello il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e la D.P.L. di Sondrio eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso in appello ex adverso proposto, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 35, commi 2, 3, 4 e 7 e chiedendo, in subordine il rigetto dell’appello, poichè infondato in fatto e in diritto, con conferma dell’impugnata sentenza.

Con sentenza n. 583 del 2.5.2006, depositata il 28.7.2006, la Corte d’Appello di Milano rigettava in via preliminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso in appello e, in riforma della sentenza appellata, accoglieva l’opposizione proposta dal C. e dichiarava non dovuti gli importi di cui all’ordinanza – ingiunzione emessa dalla D.P.L., stante l’assoluta mancanza di prove della presunta interposizione di manodopera ravvisata dalla D.P.L..

3. Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e la D.P.L. di Sondrio.

Resiste con controricorso l’intimato.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di censura il Ministero del Lavoro e la Direzione provinciale del lavoro di Sondrio lamentano la violazione, ad opera della Corte d’appello, della L. n. 689 del 1981, artt. 23 e 35, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Affermano i ricorrenti, in particolare, che a torto il giudice di secondo grado avrebbe ritenuto ammissibile l’appello proposto dal C., in proprio e quale legale rappresentante della D.C.E., poichè, ai sensi del combinato disposto della L. n. 689 del 1981, art. 35, comma 7, e art. 23, u.c., avverso la sentenza di primo grado avrebbe potuto essere proposto solamente ricorso per cassazione. Nel caso di specie difetterebbe, secondo i ricorrenti, il presupposto soggettivo per l’applicazione del rito del lavoro e per la conseguente ammissibilità dell’appello, presupposto da ravvisarsi nella circostanza per cui l’ordinanza – ingiunzione impugnata deve risultare essere stata emessa da enti o istituti gestori delle forme di previdenza ed assistenza obbligatorie, tra i quali non può annoverarsi la Direzione Provinciale del Lavoro.

2. Il ricorso è infondato.

2.1. Va premesso che in generale – come già affermato da questa Corte (Cass., sez. 2^, 15 febbraio 2011, n. 3712) – che l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va effettuata facendo esclusivo riferimento alla qualificazione data dal giudice all’azione proposta con il provvedimento impugnato, a prescindere dalla sua esattezza e dalla qualificazione dell’azione data dalla parte, in base al principio dell’apparenza; ciò al fine di escludere che la parte possa conoscere ex post, ad impugnazione avvenuta, quale era il mezzo di impugnazione esperibile; ne consegue che, ove il giudice di primo grado abbia dichiarato inammissibile l’opposizione proposta ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 22 e 23, sul rilievo che avverso l’atto impugnato doveva essere esperito un normale giudizio di cognizione, l’impugnazione proponibile avverso detta pronuncia è l’appello, e non il ricorso straordinario per cassazione. Cfr. anche Cass., sez. lav., 8 gennaio 2008, n. 137, che parimenti ha ritenuto che l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta con riferimento esclusivo alla qualificazione data dal giudice dell’azione proposta con il provvedimento adottato, a prescindere dalla sua esattezza, sindacabile solo dal giudice dell’impugnazione (conf. Cass., sez. lav., 24 aprile 2007, n. 9867).

Nella specie il giudice di primo grado ha considerato la causa come controversia di lavoro e di previdenza ai sensi dell’art. 442 c.p.c. e quindi la pronuncia dal medesimo resa era appellabile.

2.2. Il ricorso è infondato poi anche perchè – al di là del suddetto criterio dell’apparenza – correttamente sia il giudice di primo grado che la corte d’appello hanno ritenuto applicabile il rito del lavoro e quindi il regime ordinario per la validità della sentenza di primo grado.

Effettivamente – come sostengono i ricorrenti – il L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 35, comma 4, nella sua formulazione originaria, ha assoggettato al rito del lavoro soltanto le opposizioni alle ordinanze-ingiunzioni emesse dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie per le violazioni consistenti nell’omissione del versamento di contributi e premi. Ma successivamente l’art. 22 bis, aggiunto dal D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, art. 98, prima dell’abrogazione contemplata dalla D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 34, comma 1, lett. c), ha previsto che in generale l’opposizione di cui all’art. 22, si propone davanti al giudice di pace, mentre in particolare l’opposizione si propone davanti al tribunale quando la sanzione è stata applicata per una violazione concernente disposizioni in materia di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro, nonchè in materia di previdenza e assistenza obbligatoria.

Sicchè in tutte queste fattispecie particolari – tra cui quella oggetto della controversia in esame – risulta applicabile il rito del lavoro con conseguente ordinaria appellabilità della sentenza che decide sull’opposizione.

Da ultimo il D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 6, ha esteso tale regola prevedendo, come canone di carattere generale, che le controversie contemplate dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22, sono regolate dal rito del lavoro.

3. Il ricorso va quindi rigettato.

Sussistono giustificati motivi (in considerazione dell’evoluzione giurisprudenziale sulla questione dibattuta) per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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