T.A.R. Liguria Genova Sez. I, Sent., 26-10-2011, n. 1482Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

B.T. srl espone di essere proprietaria dell’ultimo piano dello stabile ubicato a Sanremo in corso Imperatrice 34 e si ritiene lesa dalla determinazione 30.3.2009, n. 15576 del dirigente comunale nonché dal parere della commissione edilizia integrata che hanno prescritto il rispetto della destinazione alberghiera per il bene per cui è lite.

Per ciò l’interessata ha notificato l’atto 4.5.2009, depositato il 18.5.2009, con cui denuncia:

illegittimità derivata dai motivi dedotti con il ricorso RG 635/2008

ILLEGITTIMITA PROPRIA VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 13 E 39 DEL DPR 6.6.2001, N. 380, DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE, SVIAMENTO DI POTERE

Violazione e falsa applicazione dell’art. 29 delle NA del PRG di Sanremo, difetto del presupposto, dell’istruttoria e della motivazione, travisamento, illogicità, violazione dei principi generali sulla destinazione dei beni immobili.

Eccesso di potere per illogicità e sviamento di potere, violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies della legge 7.8.1990, n. 241, violazione del principio della tipicità degli atti amministrativi.

Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione.

Illegittima composizione della commissione edilizia, violazione della legge 20/1991.

Il comune di Sanremo e le controinteressate si sono costituiti in giudizio con separate memorie chiedendo la reiezione delle domande.

Il giudizio è stato sospeso con l’ordinanza 192/2009 del tribunale, ed è stato riassunto con atto idoneamente notificato il 9.10.2010, depositato il 16.9.2010.

Con successivo atto notificato il 1.7.2011, depositato il 8.7.2011, l’interessata ha impugnato anche la nota comunale 4.5.2011, n. 17123, deducendo:

violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies della legge 7.8.1990, n. 241, dell’art. 336 cpc, del giudicato sceso a seguito del deposito della sentenza 13.5.2010, n. 2917 del consiglio di Stato, travisamento, difetto del presupposto, dell’istruttoria e della motivazione, illogicità.

violazione e falsa applicazione sotto distinto profilo dell’art. 21 nonies della legge 7.8.1990, n. 241, del giudicato sceso a seguito del deposito della sentenza 13.5.2010, n. 2917 del consiglio di Stato, travisamento, difetto del presupposto, dell’istruttoria.

Violazione dell’art. 107 del d.lvo 18.8.2000, n. 267, incompetenza, violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi.

Riproposizione dei motivi proposti con il ricorso introduttivo.

Le parti hanno poi depositato documenti e le memorie conclusionali.

La lite verteva inizialmente sulla legittimità del provvedimento 26.3.2009, prot. 15576 del comune di Sanremo con cui è stato in pratica integrato il contenuto della precedente concessione edilizia 28.3.2011, n. L. 70.

Il tribunale ritiene opportuno esaminare preliminarmente le censure proposte con l’atto introduttivo della lite, per passare successivamente alla rassegna delle doglianze dedotte con i motivi aggiunti.

In tale contesto, con i primi motivi parte interessata richiama testualmente le censure proposte in altro giudizio (RG 635/2008) in corso tra le medesime parti.

A tale proposito deve osservarsi che in tale causa è impugnato un atto con cui la provincia di Imperia ha disposto di non annullare la concessione edilizia rilasciata il 28.3.2001, n. 70 dal comune di Sanremo in considerazione dell’insussistenza dell’interesse pubblico prospettato; parte interessata sottolinea di poter trarre un vantaggio dall’accoglimento della domanda, atteso che la determinazione gravata ha comunque statuito l’illegittimità dell’atto.

Tanto premesso, va aggiunto in fatto che si tratta della vicenda relativa ad un edificio ubicato a Sanremo in corso Imperatrice ed adibito ad albergo sin dalla sua risalente costruzione; l’immobile subì delle modificazione al suo utilizzo, verosimilmente in considerazione della sopravvenuta antieconomicità del suo originario impiego e della pressione del mercato immobiliare verso la trasformazione in appartamenti degli alberghi ubicati sulla costa ligure. A quest’ultimo riguardo è ben noto che la regione ha introdotto una legge (1/2008), proprio al fine di regolamentare tale fenomeno.

Il mutamento nell’utilizzo del bene immobile è documentato da numerosi atti notarili rogati nel 1979 e 1980, dalla cui lettura si ricava che l’originaria proprietaria (Immobili- sviluppi residenziali per la riviera dei fiori spa) vendette a diversi soggetti le parti del bene aziendale, riservando a sé la possibilità di utilizzare i beni stessi per l’attività alberghiera; al riguardo venne inserita in tutti i contratti e nel regolamento condominiale la clausola relativa alla permanenza del vincolo alberghiero sui beni compravenduti.

In epoca successiva al frazionamento citato (1991) la Immobili- sviluppi residenziali per la riviera dei fiori spa alienò il quinto piano del fabbricato alla Imperatrice 2000, che con successivo rogito del 2004 li vendette all’odierna interessata, richiamando espressamente il regolamento condominiale che aveva imposto il vincolo.

La vendita delle singole parti dell’immobile ebbe sicuramente per l’alienante uno scopo finanziario, costituendo tale operazione una sorta di anticipazione dei contratti di locazione finanziaria immobiliare, ma è contestato se ciò abbia comportato il venire meno della destinazione alberghiera, considerando che la parte venditrice riservò a sé in modo espresso la proprietà dei corridoi, delle scale, degli ascensori e della portineria, assentendo solo la creazione di una servitù di passo a favore delle nuove unità immobiliari costituite con le alienazioni per accedere e recedere dai beni comuni citati.

Va poi menzionato che i compratori dei singoli lotti suddivisi rilasciarono una procura irrevocabile alla venditrice perché utilizzasse le stanze per alloggiarvi i clienti dell’albergo.

In tale poco usuale situazione venne dato corso (1980) al frazionamento catastale dell’immobile costituente l’originario albergo, mentre il comune di Sanremo assentì sette domande di concessione, volte a regolarizzare l’intervenuto mutamento di destinazione d’uso da alberghiero a residenziale di altrettanti immobili oggetto delle compravendite.

La proprietà del quinto piano chiese ed ottenne dal comune di Sanremo il titolo edilizio oggetto della presente controversia, per trasformare il sottotetto per ricavarvi alloggi, atelier e locali di sgombero.

Le odierne controinteressate adirono allora il comune perché annullasse d’ufficio il titolo assentito e la dia non contestata, ed impugnarono il diniego ottenuto: questo tribunale si conformò alla domanda con la sentenza 2050 del 2007, che è stata riformata dal consiglio di Stato, con la sentenza 2917 del 2010.

Il deposito della pronuncia di secondo grado ha fatto venir meno la causa sospensiva della presente lite che aveva fondato l’ordinanza 12.11.2009, n. 192.

Tutto ciò premesso possono essere esaminati i motivi di impugnazione dedotti.

Con il primo di essi si lamenta la scorrettezza dell’esercizio del potere di annullamento, in quanto l’amministrazione provinciale avrebbe perduto tale potestà dopo l’entrata in vigore dell’art. 118 cost.. Si tratta infatti di una funzione tipicamente di controllo sull’attività amministrativa dell’ente locale che ha esplicato la funzione edilizia, ma l’allocazione delle potestà in capo ai comuni ( art. 118 cost.) soffre eccezioni solo nel caso in cui sia necessario elevare il livello dell’attività, al fine di assicurarne l’esercizio unitario.

Il tribunale non condivide tale censura.

Il titolo edilizio in questione poteva essere assentito solo nel caso in cui il progetto presentato fosse stato ritenuto dall’amministrazione conforme allo strumento vigente.

Si tratta pertanto di un rapporto tra provvedimenti amministrativi, uno di natura generale e con tratti a volte regolamentari, l’altro puntuale, che è destinato a riprodurre nel concreto le previsioni del primo.

A proposito del piano urbanistico comunale non consta si dubiti, neppure dopo l’entrata in vigore dell’art. 118 cost., della legittimità costituzionale delle disposizioni che prevedono che lo strumento sia adottato dal comune e approvato dall’ente regione, ovvero dalla provincia in caso di delega legislativa regionale.

Si tratta anche in questo caso di una forma di controllo dell’attività amministrativa comunale, che talvolta ha profili assai penetranti (art. 10 comma 2 della legge 17.8.1942, n. 1150), e che appare in linea con l’esigenza di far sì che una funzione importante come il governo del territorio non risulti allocata solo in capo all’ente che ne è già, storicamente, il principale depositario. (cons. Stato, IV, 9.9.2009, n. 5409)

Ne deriva che se l’attività di formazione degli strumenti è certamente situabile su distinti piani amministrativi, alla stessa stregua può e deve esserlo il momento del controllo sulla conformità al piano degli atti che ne danno attuazione.

Infatti potrebbe essere definito come incompleto un sistema che impone l’adozione di un atto a complessità ineguale per conseguire la perfezione e l’efficacia degli strumenti urbanistici, e lascia poi soltanto ad uno degli enti in questione il momento della concreta applicazione degli strumenti stessi, omettendo ogni aspetto di verifica della conformità dei titoli alla previsione generale.

In considerazione delle osservazioni che precedono la censura è infondata a va disattesa.

Ulteriormente parte ricorrente denuncia l’inammissibilità o l’irricevibilità del ricorso, in quanto parte ricorrente non provvide ad impugnare tempestivamente il titolo che si ritiene lesivo (la concessione 28.3.2001, n. 70 del comune di Sanremo). Si tratta di uno spunto che non deriva dalla lettura delle censure introduttive, quanto dalla lettura della citata sentenza 2917 del 2010 del consiglio di Stato.

Una delle prime argomentazioni esposte dalla pronuncia è nel senso che questo tribunale amministrativo errò nel non considerare inammissibile l’impugnazione proposta dalle attuali controinteressate avverso il diniego comunale di annullare d’ufficio un titolo edilizio che non stato gravato tempestivamente.

Il collegio non ha difficoltà a convenire con la tesi del consiglio di Stato, che tuttavia non s’attaglia alla presente fattispecie.

In questo caso è infatti impugnato un diniego provinciale a provvedere nel senso auspicato dalle attuali controinteressate, che viene gravato dalla ricorrente sol perché l’ente preposto al controllo ha ravvisato l’illegittimità del titolo; va prestato assenso a questo proposito alla tesi esposta dalle controinteressate, che hanno replicato all’eccezione avversaria, esponendo che si tratta dell’esercizio di differenti poteri.

Nell’ipotesi esaminata nel giudizio conclusosi con la citata sentenza del consiglio di Stato si trattava infatti di una domanda di annullamento d’ufficio rivolta all’autorità che aveva adottato l’atto, mentre in questo caso la provincia ha applicato le norme derivabili dagli artt. 39 del dpr 6.6.2001, n. 380 e 40 comma 6 della legge regione Liguria 6.6.2008, n. 16, che ha richiamato espressamente la legge regionale 6.4.1987, n. 7.

Tali testi normativi assegnano il termine decennale perché l’organo di controllo regionale (provinciale, in caso di delega come è nella legislazione ligure) esaurisca il procedimento, sì che non può ravvisarsi sussistente l’impedimento ravvisato dal consiglio di Stato all’esercizio dell’attività contestata.

Ne consegue che l’eccezione di inammissibilità è infondata e va disattesa.

La ricorrente contesta poi i presupposti addotti dalla provincia di Imperia per pervenire alla dichiarazione di illegittimità della concessione assentita.

Essa osserva innanzitutto che l’ultimo piano dell’albergo risulta essere sempre stato destinato al personale di servizio, sì che esso ebbe natura residenziale.

Il collegio non condivide la censura.

La destinazione d’uso di un immobile deriva ovviamente dal titolo, e quella prevalente attrae a sé le altre eventualmente rilevabili.

Un grande albergo abbisogna ed ancor più abbisognava un tempo di numeroso personale per garantire ai clienti un servizio consono al prezzo richiesto, che per l’esercizio in questione non doveva essere irrilevante, vista la classificazione a quattro stelle riconfermata dalla provincia di Imperia con l’atto 8.2.1995, n. 42833.

Ne deriva che è incongruo ipotizzare che tutti gli alberghi si avvalgano di dipendenti residenti solo nel comune in cui essi sono ubicati gli esercizi, o in località facilmente raggiungibili, essendo dato di comune esperienza ritenere che le strutture turistiche sono aduse a dotarsi di locali atti al soggiorno dei dipendenti.

Tali spazi non possono essere qualificati come residenziali, posto che tale destinazione è meramente accessoria a quella principale, e ad essa accede.

Il motivo è pertanto infondato e va disatteso.

Ulteriormente la ricorrente lamenta l’illegittimità dell’attività amministrativa, che non ha rettamente interpretato la natura del frazionamento effettuato sul finire degli anni settanta; in tale ottica un albergo suddiviso non può essere considerato tale, posto che la nozione stessa di struttura ricettiva presuppone l’unitarietà della gestione.

Il collegio non condivide la doglianza, posto che i ricordati contratti di alienazione appaiono aver avuto una causa finanziaria, posto che gli acquirenti si obbligarono a rendere comunque disponibili i locali di pertinenza per l’attività turistica, versando verosimilmente un prezzo inferiore a quello di mercato per l’acquisto immobiliare.

Non si tratta nella specie di un utilizzo delle unità abitative a "macchia di leopardo’, come asserisce parte ricorrente, posto che le complesse pattuizioni derivabili dai rogiti e dal regolamento condominiale prodotti appaiono concordi nell’indirizzare l’interpretazione verso la permanenza consensuale del vincolo alberghiero.

A tale riguardo non incide la successiva sentenza 28.1.1981, n. 4 della corte costituzionale, che dichiarò illegittima la rinnovazione del vincolo alberghiero introdotto per la prima volta con la legge 24.7.1936, n. 1692, posto che il vincolo che appare previsto a favore dell’attività alberghiera è consensuale, e deriva dalla interpretazione della comune volontà delle parti.

Ne consegue che il primo motivo dedotto è infondato e va disatteso.

Con i motivi proposti per conseguire l’annullamento in via diretta l’interessata censura innanzitutto la violazione delle norme sull’annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi, in quanto l’amministrazione civica si è determinata richiamando la valutazione operata al riguardo dalla provincia, senza dedicare alla vicenda un’autonoma ponderazione.

Il collegio osserva che in tal caso si verte in un’ipotesi di motivazione per relazione, che appare ammissibile nel caso in questione: si osserva del resto che anche nei casi presidiati dall’obbligo costituzionale della motivazione (art. 111 comma 6) la legge ha ritenuto che si possa spiegare una decisione richiamando dei precedenti conformi che si ritengono attagliarsi alla specie, per cui non può negarsi al comune la potestà di dar conto della sua manifestazione di volontà richiamando un atto di altro ente, peraltro ben noto ai destinatari.

Il motivo è pertanto infondato e va disatteso.

Con il secondo motivo dedotto in via propria si chiede dichiararsi l’illegittimità dell’atto comunale, in quanto il piano sottotetto del fabbricato in questione non ha mai avuto destinazione alberghiera.

Il collegio ritiene di poter richiamare al riguardo quanto osservato in precedenza, secondo cui la porzione del bene acquistata dall’interessata non ha sinora perduto l’originaria destinazione alberghiera.

Con la terza doglianza l’interessata denuncia l’illegittimità dell’annullamento operato dalla p.a. della concessione a suo tempo assentita: la contestazione riguarda in particolare la prescrizione apposta dalla p.a. alla concessione assentita anni prima, di rispettare la destinazione alberghiera del sottotetto.

Parte ricorrente interpreta tali proposizioni contenute nel provvedimento alla stregua di un annullamento d’ufficio, illegittimo perché assunto ad anni di distanza dal rilascio del titolo, e comunque irrituale, perché in violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi.

Il collegio osserva che la lettura della determinazione in questione convince che non si tratta di un annullamento, quanto di un’interpretazione, per quanto tardiva, di un titolo edilizio che l’amministrazione aveva a suo tempo rilasciato.

La postilla contestata non appare illegittima, posto che si è già disattesa la prospettazione della ricorrente, secondo cui il sottotetto del fabbricato aveva destinazione residenziale: il collegio ha infatti statuito che il bene ebbe e conservò sempre la natura alberghiera, per cui le censure in rassegna non sono fondate vanno disattese.

La determinazione gravata va allora intesa alla stregua di un’interpretazione del provvedimento originario, che aveva dato luogo a difformi letture.

In tal senso il motivo è infondato e va respinto.

Con l’ulteriore motivo la ricorrente denuncia l’illegittimità del parere della commissione edilizia, che il 25.7.2007 aveva stimato necessario acquisire l’avviso di un legale, e nel 2009 ha invece assunto la determinazione lesiva senza procedere all’incombente.

Il tribunale rileva che tra i due pareri sono intervenuti gli atti della provincia di Imperia, che hanno esaminato in modo compiuto gli aspetti giuridici della vicenda, sì che l’atto consultivo impugnato si sottrae ai rilievi formulati.

Anche questo motivo non può pertanto essere condiviso.

Del pari infondato è l’ultimo proposto con il ricorso introduttivo, con cui si denuncia che la commissione edilizia si espresse nel senso contestato deliberando in composizione integrata, benché la materia non rientrasse tra quelle per cui la legge regionale 20/1991 prevede la formazione allargata.

Il tribunale deve condividere la difesa svolta al riguardo dalle controinteressate, che hanno notato che la composizione dell’organo consultivo che ha riesaminato la legittimità di un titolo edilizio non poteva che richiamare quella assunta al tempo in cui venne esaminato l’originario progetto.

Ne deriva che anche questo motivo è infondato e va disatteso.

Vanno ora esaminati i motivi aggiunti di impugnazione.

Con il primo di essi la ricorrente denuncia l’illegittimità dell’atto comunale 4.5.2011, n. 17123 che non ha ritenuto di annullare quelli impugnati con il ricorso introduttivo, non ostante l’intervenuto deposito della sentenza 2917 del 2010 del consiglio di Stato.

Tale decisione ha annullato la sentenza 2050 del 2007 del tar Liguria, che aveva invece annullato l’atto comunale che aveva denegato l’annullamento d’ufficio del titolo originariamente assentito.

Il collegio osserva che la motivazione della sentenza del consiglio di Stato si è soffermata su argomenti affatto diversi da quelli che rilevano in questa sede, posto che il giudice di appello non ha ripercorso in alcun passo le questioni relative alla qualificazione urbanistica del sottotetto dell’edificio.

Ne consegue che l’allegato effetto espansivo della sentenza previsto all’art.336 cpc non rileva ai fini del presente decidere, sì che la doglianza è infondata e va disattesa.

Tali osservazioni non permettono di convenire con il secondo motivo, con cui si osserva che la sentenza del consiglio di Stato 2917 del 2010 ha annullato integralmente la pronuncia di primo grado, per cui il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo avrebbe dovuto essere ritirato dalla p.a. adottante, in quanto la sua derivazione era dichiaratamente dalla pronuncia di primo grado.

Il tribunale rileva che si controverte in questa sede della questione della destinazione del piano sottotetto del fabbricato per cui è lite, ed a tale riguardo si osserva che non sussiste la rilevata pregiudizialità, posto che il consiglio di Stato non si è pronunciato sulla questione controversa in questa sede.

Il motivo è pertanto infondato e va disatteso.

Non può essere accolto neppure l’ultimo motivo dedotto con i motivi aggiunti, con cui l’interessata denuncia l’illegittimità della nota comunale 4.5.2011, n. 17123, perché sottoscritta da due dirigenti, non essendo per ciò possibile derivare la sicura riferibilità della volontà della p.a.

Il collegio osserva di aver più volte avuto occasione di apprezzare negativamente dei provvedimenti comunali derivanti dalla cosiddetta doppia imputazione, politica ed amministrativa: in questo caso la comunanza di interesse tra due branche dell’amministrazione civica ha indotto alla doppia sottoscrizione, che deriva peraltro dalla struttura burocraticoamministrativa, senza commistioni con il livello politico.

Ne consegue che non sussiste il vizio denunciato.

In conclusione i ricorsi sono infondati e vanno disattesi.

Non di meno le spese vanno compensate, attesa la complessità della vicenda

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima)

Respinge i ricorsi a spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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