Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-10-2011, n. 5766 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione di Lecce, la società L. C. srl agiva contro il Comune di Veglie per l’annullamento della determinazione 13 aprile 2005 con la quale era stata revocata l’assegnazione del lotto P.I.P. prima disposta con determinazione 30 ottobre 2000, n.83.

Dopo la assegnazione, avvenuta in data 30 ottobre 2000 per la superficie di mq.3200, seguivano una serie di solleciti a stipulare la convenzione attuativa da perfezionarsi ai sensi dell’art. 13 del regolamento per l’assegnazione dei suoli PIP nel Comune di Veglie, nel termine di giorni 60 dalla comunicazione dell’assegnazione.

Con nota del 12 maggio 2004 il notaio incaricato di seguire la problematica rilevava, a suo parere, una serie di impedimenti dovuti al mancato rispetto del principio di continuità delle trascrizioni, impedimenti poi eliminati con rettifica 12 maggio 2004, n.6511.

Con la determina impugnata veniva disposta la revoca della assegnazione, rilevando la mancata conclusione della convenzione attuativa nei tempi previsti.

Il giudice di prime cure, dopo l’accoglimento della domanda cautelare, sia pure solo propulsiva, rigettava il ricorso ritenendolo non fondato.

Secondo il primo giudice, che andava di contrario avviso rispetto alla tesi dell’amministrazione, considerato che il principio di continuità non si applica agli acquisti a titolo originario (quale è l’acquisto per espropriazione, nella specie disposta con atto del 9 novembre 1999, n.111), la supposta mancanza di continuità non poteva essere addotta quale causa di mancata conclusione della convenzione attuativa, poiché era superfluo discutere di ogni problema relativo alle precedenti intestazioni dei beni.

Conclusivamente, era giustificata e legittima la revoca sulla base della mancata conclusione della convenzione attuativa, perché ingiustificato era ogni indugio.

Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello la medesima società, affidandosi ai seguenti motivi.

Con il primo motivo di appello (pagina 13 dell’appello) si sostiene la erroneità della sentenza nella parte in cui afferma la "cesura" che la trascrizione opererebbe rispetto alla catena delle trascrizioni precedenti, in quanto, in realtà, la revoca dell’atto impugnato non fa alcun riferimento alla originarietà dell’acquisto per esproprio.

Gli uffici comunali hanno colpevolmente ignorato gli effetti tipici dell’atto di esproprio e hanno fatto propri gli errori di valutazione del notaio Franco; non si è mai fatto riferimento, negli atti comunali, alla irrilevanza delle irregolarità, come dimostrano le rettifiche denunciate dall’appellante Bono e dai professionisti di sua fiducia; il tempo trascorso senza concludere la convenzione attuativa sarebbe da imputarsi al Comune.

In sostanza, si sarebbe verificata una ipotesi di integrazione postuma della motivazione, come tale inammissibile.

Secondo l’appello, nella fattispecie, se il Comune ha formalmente riconosciuto la sussistenza di motivi tali da impedire l’emanazione dell’atto (non importa se realmente ostativi) e cioè che la stipulazione della convenzione non poteva avvenire se non dopo la regolarizzazione delle trascrizioni, la circostanza che la regolarizzazione sia stata soltanto parziale rende illegittima qualsiasi diffida ad adempiere e travolge anche la conseguente determinazione di revoca.

Pertanto, colpevolmente il Comune ha sposato una interpretazione errata; ha provveduto in modo incompleto in merito alle regolarizzazioni richieste; su tale errata base ha diffidato e poi revocato.

Con altra domanda si propone l’azione di risarcimento del danno subito in conseguenza del comportamento colpevole tenuto dal Comune.

Si è costituito il Comune appellato che deduce che: non accetta il contraddittorio su nuovi documenti indicati in memoria e sulle nuove domande, come quella di risarcimento dei danni; la domanda risarcitoria è stata proposta direttamente dinanzi al Consiglio di Stato, violando peraltro anche il principio del doppio grado di giurisdizione; la domanda risarcitoria era stata semplicemente accennata nella memoria conclusiva del 7 gennaio 2009; la domanda di risarcimento risulta anche improcedibile, perché pendeva (causa precedente per il principio di prevenzione) altro giudizio dinanzi al Tribunale civile di Veglie sulla medesima domanda, causa che a seguito del pronunciamento della Cassazione ex art. 42 è stata riassunta dinanzi al Tar Puglia e trascritta al ruolo r.g.n.1495 del 2010 e ancora in attesa della fissazione del merito; in ogni caso viene dedotta la genericità e infondatezza della pretesa, poiché vi sono ben sette note con le quali l’amministrazione, prima della revoca, ha sollecitato la controparte a stipulare la convenzione; il comportamento del Comune non è stato colpevole, avendo proceduto all’esproprio secondo le risultanze catastali e non essendo, ad esso Comune, imputabile la impossibilità di procedere alla stipulazione della convenzione; si eccepisce l’acquiescenza e la carenza di interesse, sia perché la parte appellante ha accettato senza riserve il rimborso, sia perché ha proposto domanda risarcitoria, dimostrando e ammettendo di non avere più interesse alla assegnazione del suolo.

Alla udienza pubblica dell’11 ottobre la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1.L’appello è infondato.

Infatti, la revoca è stata decisa sulla base del mero inadempimento formale rispetto all’obbligo di stipulare nei termini previsti la convenzione attuativa.

La sequenza procedimentale era ed è stata la seguente: assegnazione, stipulazione della convenzione attuativa da perfezionarsi ai sensi dell’art. 13 del regolamento per l’assegnazione dei suoli PIP entro sessanta giorni dall’assegnazione, revoca dell’assegnazione in caso di mancata conclusione della convenzione (come si è in pratica verificato).

Pertanto, l’inadempimento, rispetto al dovere di stipulare la convenzione attuativa, è indiscusso né è contestato in alcun modo.

La mancata conclusione della convenzione, inoltre, si è verificata nonostante ben sette note con le quali l’amministrazione comunale intimava l’altra parte di addivenire alla conclusione dell’atto da perfezionarsi.

Va quindi esaminato se tale inadempimento formale sia da ritenersi altresì imputabile o ascrivibile quantomeno a colpa della parte obbligata.

Ad opinione del Collegio l’inadempimento deve ritenersi imputabile e ascrivibile a colpa della parte appellante, in quanto non può costituire giusta ragione o valida esimente, la erronea valutazione giuridica effettuata dal notaio incaricato e conseguentemente dalle parti, rispetto alla esigenza della continuità della pubblicità immobiliare.

Tutte le parti riconoscono, anche in sede giudiziale, che in caso di acquisti a titolo originario (quale è appunto l’espropriazione) non rilevano le precedenti trascrizioni ai fini della continuità, a causa della autonomia dell’acquisto, che non è derivativo.

Ai sensi dell’art. 1218 c.c. è posta a carico del debitore (anche quello tenuto alla conclusione del contratto) per il solo fatto dell’inadempimento, una presunzione di colpa superabile mediante la prova dello specifico impedimento che abbia reso impossibile la prestazione o, almeno, la dimostrazione che, qualunque sia stata la causa dell’impossibilità, la medesima non possa essere imputabile al debitore (ex plurimis, Cassazione civile, III, 5 agosto 2002, n.11717). In definitiva, non basta eccepire che la prestazione non possa eseguirsi per fatto del terzo ma occorre dimostrare la propria assenza di colpa con l’uso della diligenza spiegata per rimuovere l’ostacolo frapposto all’esatto adempimento (così, Cassazione civile, II; 13 luglio 1996, n.6354).

Applicando tale principio di massima alla fattispecie, ne deriva che la parte tenuta ad addivenire alla conclusione della convenzione attuativa – alla quale pure tante volte è stata diffidata – non è certo in grado di dimostrare la sua mancanza di imputabilità, sulla base della erronea valutazione comune effettuata in ordine al rilievo del mancato rispetto del principio di continuità delle trascrizioni.

D’altronde, tutte le parti ammettono e riconoscono che il principio della continuità delle trascrizioni dettato dall’art.2644 c.c. con riferimento agli atti indicati dall’art. 2643 c.c., non risolve il conflitto tra acquisti a titolo derivativo ed acquisto a titolo originario, quale è appunto l’espropriazione, ma unicamente fra più acquisti a titolo derivativo dal medesimo dante causa (così tra tante, Cassazione civile, III, 10 luglio 2008, n.18888).

2. Non può essere accolta neanche la doglianza consistente nell’asserito vizio di illegittima motivazione postuma.

E’ vero che la motivazione del provvedimento amministrativo non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo, dovendosi individuare il fondamento della illegittimità della motivazione postuma nella tutela del buon andamento amministrativo e nella esigenza di delimitazione del controllo giudiziario (così, Consiglio Stato, sez. V, 15 novembre 2010, n. 8040). Nella specie, tuttavia, il riferimento alla mancanza di continuità delle trascrizioni non è invocato a motivo postumo della revoca ma, al contrario, non è in grado – poiché si tratta di valutazione comune errata giuridicamente, come ammette la stessa parte appellante – di rendere non imputabile e incolpevole l’inadempimento.

Infatti, nella specie, la revoca, impugnata quale atto lesivo, è stata motivata sulla base del mero fatto dell’inadempimento formale, imputabile, colpevole e ingiustificato: rispetto ad un dovere previsto con termini anche fissati in modo stringente, la conclusione della convenzione attuativa non è avvenuta nonostante sette atti da intendersi anche quali diffide ad adempiere.

Pertanto, non concreta una illegittima motivazione postuma il riferimento al rilievo della natura di acquisto a titolo originario piuttosto che derivativo dell’espropriazione, in quanto tale differenza poteva rilevare (in senso inverso) a giustificare, se del caso e corrispondente al vero, il ritardo o l’inadempimento consistente nella mancata conclusione della convenzione.

3. Si può prescindere dai rilievi di eccezioni preliminari, in quanto è da rigettarsi altresì ogni domanda di risarcimento del danno, in quanto infondata nel merito.

La condotta dell’amministrazione comunale non si è concretata in atti illegittimi, essendo la revoca immune dalle censure formulate; nell’errore di valutazione effettuato sia dal notaio incaricato che dalle parti non può rinvenirsi l’estremo dell’affidamento incolpevole ingenerato in danno di una delle parti, trattandosi di errore comune di valutazione.

Il rigetto della domanda di annullamento del provvedimento impugnato comporta l’infondatezza della domanda di risarcimento del danno (così, Consiglio Stato, sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2813).

4.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto.

La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:

rigetta l’appello, confermando la impugnata sentenza. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidandole in euro tremila, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *