Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-10-2011, n. 5765 Appello al Consiglio di Stato avverso le sentenze del T.A.R

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1. Con deliberazione del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti n. 212/CP/2002 del 17 giugno 2002 il dott. N. B., già in servizio con la qualifica di Referendario della Corte medesima presso la Procura per la Regione Liguria, è stato assegnato alla Procura per la Regione Toscana, ove presta attualmente servizio.

A tale funzione il dott. B. è stato assegnato a domanda, a seguito di apposita procedura concorsuale indetta con circolare dell’Ufficio di segreteria del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti n. 28 dell’8 maggio 2002.

Giova sin d’ora precisare che, in via derogatoria rispetto ai criteri per le assegnazioni a posti di funzione di cui alla deliberazione n. 92/CP/2002, il dott. B. è stato ammesso a partecipare in deroga all’obbligo del compimento del biennio di permanenza nell’ufficio di prima assegnazione.

Giova anche precisare che per effetto della predetta deliberazione n. 212/CP/2002 assunta dall’organo di autogoverno della Corte dei Conti, l’assegnazione del dott. B. alla Procura regionale per la Toscana è stata disposta "per un periodo non inferiore a tre anni" con decorrenza dal 15 settembre 2002: e ciò, in ragione delle esigenze di servizio sussistenti presso la Procura regionale per la Liguria, precedente Ufficio di appartenenza dell’interessato, e delle residue incombenze da espletare presso quella sede, al riguardo delle quali il medesimo dott. B. aveva significato la propria disponibilità a permanere a Genova fino al 31 agosto 2002 (cfr. nota n. 123/CP del 4 giugno 2002, già depositata al fascicolo di primo grado).

Il dott. B., peraltro, ha concomitantemente contestato la legittimità del predetto vincolo di permanenza presso la Procura regionale per la Toscana previsto dalla deliberazione n. 212/CP/2002, e ha conseguentemente presentato al riguardo ricorso sub R.G. 2168 del 2002 innanzi al T.A.R. per la Toscana, respinto con sentenza n. 713 dd. 15 marzo 2004 resa dalla Sezione I^ dello stesso tribunale.

Non consta che il B. abbia proposto appello avverso tale pronuncia.

Con circolare n. 30/CP/2005 del 27 giugno 2005 l’Ufficio di Segreteria del Consiglio di Presidenza, previa deliberazione del plenum dell’organo di autogoverno nell’adunanza del 22 e 23 giugno 2005, ha bandito un interpello urgente per la copertura di numerosi posti di funzione, tra i quali uno presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana.

Il dott. B. ha presentato in data 12 luglio 2005 domanda di partecipazione alla procedura concorsuale per tale posto di funzione.

Il Consiglio di Presidenza, nell’adunanza del 1920 luglio 2005, ha preso atto degli esiti della procedura predetta e ha in tale contesto dichiarato inammissibile la domanda di partecipazione presentata dal B. in quanto priva del predetto requisito del periodo minimo di permanenza "nell’attuale posto di funzione", ossia in quello da lui ricoperto presso la Procura per la Regione Toscana con la predetta decorrenza del 15 settembre 2002: e ciò secondo quanto previsto nella deliberazione del medesimo organo di autogoverno n. 92/CP/2002, recante i criteri di assegnazione a posti di funzione e richiamata espressamente anche nella predetta circolare n. 30/CP/2005.

In conseguenza di ciò il posto bandito presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana è stato conferito all’allora referendario dott. P. B..

Il B., affermando di non aver avuto riscontri in merito all’esito della procedura di cui trattasi, ha presentato in data 5 agosto 2005 apposita istanza di accesso agli atti à sensi dell’art. 25 della L. 7 agosto 1990 n. 241 e successive modifiche e in pari data l’Ufficio di Segreteria del Consiglio di Presidenza ha dato riscontro a tale richiesta comunicando che la propria domanda di partecipazione alla selezione era stata dichiarata inammissibile per il motivo sopradescritto.

1.2.1. Con ricorso proposto sub R.G. 9896 del 2005 innanzi alla sede di Roma del T.A.R. per il Lazio il B. ha pertanto chiesto l’annullamento della predetta deliberazione adottata dal Consiglio di presidenza nel”adunanza del 19 – 20 luglio 2005, nella parte in cui è stata dichiarata inammissibile la propria domanda per il conferimento di un posto di funzione presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana e nella parte in cui tale posto è stato assegnato alla dott. B..

Il B. ha dedotto al riguardo le censure qui appresso specificate.

a) Violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 4 della delibera del Consiglio di Presidenza n. 197/CP/2003 ed eccesso di potere per falso presupposto di fatto e di diritto; eccesso

di potere per ingiustizia grave e manifesta, violazione del principio di ragionevolezza e di proporzionalità; disparità di trattamento.

Il B. ha affermato in tal senso che l’errore e la falsa interpretazione dell’art. 4 della deliberazione n. 92/CP/2002, come modificata dalla deliberazione n. 197/CP/2003, nei quali sarebbe incorso il Consiglio di Presidenza consistevano nell’aver confuso la propria assegnazione al posto da lui attualmente occupato, deliberata nel giugno 2002, con la decorrenza dell’assegnazione medesima, decorrente dal15 settembre 2002 e che coincide con l’effettiva presa di servizio del magistrato nella nuova sede.

Ad avviso del medesimo B. nessun rilievo assumerebbe la decorrenza dell’assegnazione all’ufficio, la quale -come nel caso in esame- risponderebbe sovente ad esigenze meramente interne e di funzionalità di servizio dell’Amministrazione e che ben potrebbe, quindi, procrastinare – anche di mesi – l’effettiva presa di servizio del magistrato.

A conferma della propria tesi, il B. ha richiamato il comma 2 dell’art. 4 della deliberazione dell’organo di autogoverno n. 92/CP/2002, modificata dalla susseguente deliberazione n. 197/CP/ 2003 adottata dall’organo medesimo, evidenziando come ivi non si faccia riferimento ad un obbligo di permanenza nella sede ma, più semplicemente, ad un "divieto di partecipare ad altri concorsi".

b) Violazione dell’art. 4 della delibera n. 197/CP/2003; violazione del principio di imparzialità di cui all’art. 97 Cost.; eccesso di potere per disparità di trattamento; violazione dei principi generali dell’ordinamento in materia di procedure concorsuali e di necessario rispetto della lex specialis contenuta nei relativi bandi di concorso; violazione dell’art. 3 della L. 241 del 1990; eccesso di

potere per difetto di motivazione.

Il B. ha censurato la circostanza per cui il Consiglio di Presidenza ha consentito a 5 candidati (i dottori B., Cafasso, Massa, Liberati e Francaviglia) di partecipare all’interpello pur non avendo ancora superato il vincolo di permanenza nella sede di prima assegnazione indicato nei relativi bandi di concorso.

Il medesimo B. ha pure affermato che il provvedimento in tal senso adottato dall’organo di autogoverno era censurabile anche sotto il profilo del difetto di motivazione.

1.2.2. Con la predetta istanza di accesso agli atti del 5 agosto 2005, il dott. B. ha – tra l’altro – pure chiesto il rilascio di copia delle registrazioni fonografiche della predetta seduta del Consiglio di Presidenza del 1920 luglio 2005, e delle domande di partecipazione degli altri candidati, con i relativi allegati (curricula), riferite all’interpello per un posto di funzione presso la Sezione giurisdizionale per la Toscana.

A tale istanza la Segreteria del Consiglio di presidenza ha dato riscontro con nota prot. 5392/CP dell’8 novembre 2005, trasmettendo la documentazione richiesta ad esclusione della registrazione fonografica della seduta anzidetta.

In relazione a ciò il B., con ulteriore ricorso notificato in data 27 ottobre 2005 e proposto incidentalmente nel medesimo procedimento proposto sub R.G. 9896 del 2005 innanzi al TAR per il Lazio, ha chiesto al medesimo giudice,à sensi dell’allora vigente art. 21, primo comma, ultima parte della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 come dapprima sostituito dall’art. 1 della L. 21 luglio 2000, n. 205 e successivamente, modificato dall’art. 17 della L. 11 febbraio 2005 n. 15, di annullare il diniego alla ostensione delle registrazioni fonografiche e, con istanza notificata il 12 dicembre 2005 ha invocato al riguardo, in via d’urgenza, l’adozione di misure cautelari a tutela del proprio preteso diritto.

Nel frattempo, peraltro, il Consiglio di Presidenza ha adottato, nell’adunanza del 1415 dicembre 2005, una deliberazione poi formalizzata con provvedimento n. 424/CP/2005 del 22 dicembre 2005 e con la quale ha proceduto ad un’interpretazione autentica degli artt. 20 e 21 del vigente Regolamento interno del Consiglio di Presidenza di cui alla deliberazione n. 315/CP/2004, rispettivamente riguardanti, il "Verbale e sintesi delle sedute" e l’ "Esecuzione e pubblicità degli atti", espressamente affermando che, in relazione ad eventuali richieste di accesso agli atti aventi ad oggetto le registrazioni fonografiche delle adunanze del Consiglio medesimo, il combinato disposto degli articoli anzidetti si interpretava nel senso che "il valore documentale è attribuito esclusivamente al verbale; le registrazioni fonografiche sono effettuabili per le sole sedute pubbliche a mero supporto dell’attività di verbalizzazione".

1.2.3. Con successivo atto notificato il 10 febbraio 2006 il B. ha quindi proposto ulteriori motivi di ricorso avverso la denegata ammissione alla procedura concorsuale, "previo – per quanto occorrere possa- annullamento in parte qua o disapplicazione del Regolamento interno del Consiglio di Presidenza approvato con deliberazione n. 315/CP/2004 del 30 settembre 2004, nella parte in cui dovesse interpretarsi come preclusivo dell’accesso alla documentazione sopra indicata".

I motivi aggiunti sono qui di seguito descritti.

a) Violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 11 delle preleggi, violazione del principio di irretroattività degli atti amministrativi e violazione degli artt. 24 e 111 Cost.

Il B. reputa che la delibera assunta dal Consiglio di Presidenza nell’adunanza del 1415 dicembre 2005 sia illegittima in quanto, per costante giurisprudenza, gli atti amministrativi non possono formare oggetto di interpretazione autentica, neppure ad opera dello stesso organo che li ha emessi: e ciò a salvaguardia del principio dell’irretroattività degli atti medesimi.

b) Violazione dell’art. 7 della L. 7 agosto 1990 n. 241.

Il B. afferma che, essendo stata la deliberazione n. 424/CP/2005 del 22 dicembre 2005, recante l’interpretazione autentica anzidetta, adottata dopo il 7 dicembre 2005, ossia dopo la data di notifica del proprio ricorso per l’incidente di accesso di cui all’art. 21, primo comma, della L. 1034 del 1971, sarebbe stato necessario dargli al riguardo apposita comunicazione dell’avvio del relativo procedimento, rivestendo egli in tal senso la posizione di controinteressato.

c) Violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 22 della L. 241 del 1990.

Il B. reputa che il comportamento del Consiglio di Presidenza sia in contrasto con l’art. 22, comma 1, lett. d) della L. 241 del 1990, e ciò in quanto la nozione di documento amministrativo sarebbe comunque suscettibile di includere anche la registrazione fonografica di dichiarazioni orali, rese nel corso del procedimento da soggetti, a vario titolo, in esso coinvolti.

1.2.4. In data 8 marzo 2006 l’Associazione Magistrati della Corte dei conti ha notificato atto di intervento ad adiuvandum, con il quale ha chiesto l’accoglimento dell’istanza di accesso del dott. B. con conseguente annullamento della predetta deliberazione del Consiglio di Presidenza adottata il 1415 dicembre 2005 e recante l’interpretazione autentica degli artt. 20 e 21 del Regolamento interno dell’organo di autogoverno.

1.2.5. Con ordinanze collegiali n. 496 dd. 22 marzo 2006 e n. 1143 dd.5 luglio 2006 il T.A.R. per il Lazio di Roma ha respinto la domanda giudiziale di accesso proposta dal B., limitando in buona sostanza l’accesso dell’interessato alla sola copia della domanda di partecipazione alla procedura concorsuale per il posto presso la Sezione giurisdizionale per la Toscana prodotta dalla dott. B..

1.2.6. Con ulteriori motivi aggiunti depositati in data 14 febbraio 2007, dopo l’acquisizione della copia della domanda di partecipazione della B., il B. ha chiesto – altresì – l’annullamento della già da lui impugnata deliberazione del Consiglio di Presidenza adottata nell’adunanza del 1920 luglio 2005, anche nella parte in cui è stata omessa l’esclusione della B. medesima dall’interpello per il conferimento del posto di funzione di cui trattasi nonostante la sua domanda fosse da considerare inammissibile in quanto presentata, sempre ad avviso dello stesso B., tardivamente.

1.3. Con sentenza n. 5127 dd. 4 giugno 2007 la Sezione I del T.A.R. per il Lazio ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti allo stesso.

2.1. Con l’appello in epigrafe il B. chiede ora la riforma della sentenza medesima Avverso la predetta sentenza e, nel rinviare integralmente ai motivi di impugnazione da lui complessivamente proposti nel giudizio di primo grado, ripropone anche nel presente procedimento con il presente gravame tutte le deduzioni da lui ivi svolte.

Qui di seguito si riassumono comunque tutte le censure svolte dall’appellante.

a) Error in iudicando in relazione al primo motivo n. 1 del ricorso proposto in primo grado (violazione e falsa applicazione dell’art. 4, commi 1 e 2, della delibera del Consiglio di Presidenza n. 92/CP/2002 del 15 marzo 2002, recante la disciplina generale per le assegnazioni a posti di funzione, come modificata dalla delibera del medesimo Consiglio n. 197/CP/2003; violazione e falsa applicazione dell’art. 2, ultimo comma, della predetta delibera; eccesso di potere per ingiustizia grave e manifesta, violazione del principio di ragionevolezza e di proporzionalità, disparità di trattamento).

L’appellante afferma che il T.A.R. sarebbe incorso nei seguenti errori:

1) l’obbligo di permanenza decorrerebbe dalla data di effettiva presa di servizio e non da quella della delibera di assegnazione, con consequenziale irrilevanza della data in cui tale titolarità sia stata conferita;

2) l’inoppugnabilità, fondata sulla predetta sentenza del T.A.R. per la Toscana n. 713 del 2004 passata in giudicato, sia del suo obbligo di permanenza per un periodo non inferiore a tre anni nella Procura regionale per la Toscana, sia della decorrenza di tale assegnazione, entrambi previsti nella medesima deliberazione n. 212/CP/2002.

Relativamente al primo profilo, il B. ribadisce la propria tesi relativa all’errore interpretativo, operato dalla Commissione e fatto proprio dal Consiglio di Presidenza e che consisterebbe nel confondere l’assegnazione deliberata nel giugno 2002 con la decorrenza dell’assegnazione medesima a far data dal 15 settembre 2002, coincidente con l’effettiva presa di servizio.

A tale riguardo il B. afferma che l’assegnazione avviene all’esito della procedura concorsuale, ed una volta che l "assegnazione medesima sia stata deliberata, essa diverrebbe irretrattabile e irrinunciabile, nel senso che il magistrato risulta formalmente incardinato nel nuovo posto di funzione, il quale ultimo conseguentemente diviene indisponibile sia per l’Amministrazione, che non può assegnarlo ad altri, che per il magistrato medesimo, il quale – a sua volta – non può rinunziarvi.

Con riguardo al secondo profilo, il B. reputa infondato l’assunto avversario, recepito nella sentenza impugnata, secondo il quale dalla sentenza del T.A.R. per la Toscana n. 713 del 2004 deriverebbe l’inoppugnabilità sia della necessaria sua assegnazione per tre anni alla Procura regionale per la Toscana, sia della decorrenza di tale assegnazione.

A tale riguardo il B. sostiene che l’obbligo della sua permanenza per tre anni nella nuova sede innanzitutto non sarebbe conferente al caso di specie, posto che egli sarebbe stato assegnato alla Procura regionale per la Toscana non già in forza della c.d. "opzione" di cui all’art. 4, comma 2, della deliberazione n. 92/CP/2002, ma in forza di uno ius singulare costituito da un deliberato del Consiglio di Presidenza adottato nel mese di gennaio 2001 nei propri confronti, nonché nei confronti del proprio collega del dott. Proietti: tesi, questa, che sarebbe stata – per contro – esplicitamente respinta dalla stessa sentenza resa dal T.A.R. per la Toscana.

Sempre secondo il B., inoltre, il dies a quo del proprio periodo di permanenza triennale presso la Procura regionale per la Toscana non potrebbe coincidere con la decorrenza (e, quindi, con l’effettiva presa di servizio), ma con la delibera recante la sua assegnazione: diversamente, infatti, si innescherebbero conseguenze da lui ritenute paradossali, inique ed ingiuste, e comunque in palese contrasto con la ratio della previsione medesima.

Il B. contesta pure l’erroneità dell’assunto del Giudice di primo grado secondo cui la disciplina regolamentare di cui all’art. 2 della deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 92/CP/2002 avrebbe il solo effetto di precludere l’esercizio dello ius poenitendi, al fine con ciò di impedire negativi effetti "a catena" su altre contestuali o coeve assegnazioni di magistrati.

A suo avviso per smentire tale interpretazione sarebbe sufficiente la considerazione che la disciplina anzidetta troverebbe applicazione allorquando sia posto a concorso un unico posto di funzione, ossia quando cioè non vi sia alcuna "catena" di assegnazioni da preservare.

b) Error in procedendo ed error in iudicando in relazione al secondo motivo contenuto nel ricorso di primo grado (violazione dell’art. 4 della delibera n. 92/CP/2002, come modificata con delibera n. 197/CP/2003; violazione del principio di imparzialità; eccesso di potere per disparità di trattamento; violazione dei principi generali dell’ordinamento in materia di procedure concorsuali e di necessario rispetto della lex specialis prevista nei relativi bandi di concorso; violazione dell’art. 3 della L. 241 del 1990; eccesso di potere per difetto di motivazione).

Il B. ritiene che la sentenza resa in primo grado sia carente in ordine alla censura formulata con il ricorso introduttivo e relativa all’ammissione alla procedura concorsuale, operata dal Consiglio di Presidenza, di alcuni referendari asseritamente non aventi titolo.

In tal modo, ad avviso dell’appellante, sarebbe stato consentito ad essi di esercitare la c.d. "opzione" di cui all’art. 4, comma 2, della deliberazione n. 92/CP/2002, come modificato con la deliberazione n. 197/CP/2003, nonostante essi non avessero ancora superato il vincolo di permanenza nella sede di prima assegnazione indicato nei relativo bando di concorso per l’accesso alla magistratura contabile e che costituirebbe lex specialis rispetto alle disposizioni di cui alla stessa deliberazione n. 92/CP/2002.

Sempre secondo il B., l’aver concesso la facoltà di cui sopra in contrasto con il vincolo di permanenza sancito dal bando di concorso determinerebbe un’inammissibile modifica ex post delle regole sulla mobilità del personale interessato a tutto esclusivo vantaggio di taluni magistrati che, proprio con la partecipazione al concorso per l’assunzione avevano già accettato un vincolo di permanenza triennale, e ciò senza che fosse prevista alcuna facoltà di opzione al decorso dei dodici mesi di servizio.

Il B. deduce inoltre un difetto di motivazione che riguarderebbe l’esito della procedura concorsuale.

c) Error in iudicando, fondatezza dei motivi aggiunti del 16 gennaio 2007, violazione di legge ed eccesso di potere per violazione del bando di interpello e della disciplina dettata in tema di assegnazione dei posti di funzione (delibera n. 92/CP/2002 e successive modificazioni ed integrazioni) per tardività della domanda di partecipazione presentata dalla dott. P. B., posto che non sarebbe possibile nella specie stabilire l’orario preciso di ricezione della domanda medesima.

Relativamente alla deliberazione del Consiglio di presidenza n.424/CP/2007 – adottata nell’adunanza del 14 – 15 dicembre 2005 – di interpretazione autentica degli artt. 20 e 21 del Regolamento interno del Consiglio di presidenza, l’appellante ha ribadito la fondatezza dei motivi aggiunti già da lui proposti in primo grado.

2.2. Il B. ha pure contestualmente impugnato le anzidette ordinanze collegiali n. 496 dd. 22 marzo 2006 e n. 1143 dd. 5 luglio 2006 rese sempre dalla Sezione I del T.A.R. per il Lazio sulla propria istanza di accesso proposta à sensi dell’art. 25, comma 5, della L. 241 del 1990. L’appellante, nel riaffermare che il diniego di accesso era da considerarsi illegittimo, ha ribadito al riguardo le proprie censure già formulate nel giudizio di primo grado, rimarcando che anche la registrazione fonografica di dichiarazioni orali rientra nella nozione di documento amministrativo

di cui all’art. 22 della L. 241 del 1990.

3. Si sono costituiti in giudizio la Corte dei Conti, il Consiglio di Presidenza della Corte medesima e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, replicando puntualmente alle censure avversarie e concludendo per la reiezione dell’appello.

4. Alla pubblica udienza del 7 giugno 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

5. Il Collegio reputa innanzitutto di esaminare l’impugnativa proposta dal B. in questa sede di giudizio avverso le ordinanze collegiali n. 496 dd. 22 marzo 2006 e n. 1143 dd. 5 luglio 2006 emesse dal T.A.R. per il Lazio, Roma, Sez. I, à sensi dell’allora vigente art. 21, primo comma, ultima parte della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 come dapprima sostituito dall’art. 1 della L. 21 luglio 2000, n. 205 e successivamente modificato dall’art. 17 della L. 11 febbraio 2005 n. 15.

Come si è visto innanzi, mediante tali ordinanze, emesse nel corso della causa principale, il giudice adito in primo grado ha respinto la domanda ivi incidentalmente proposta dallo stesso B. in ordine al diniego di accesso a lui opposto dal Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti al rilascio di copia delle registrazioni fonografiche della seduta dell’organo di autogoverno tenutasi in data 1920 luglio 2005.

L’impugnativa ora proposta al riguardo va dichiarata irricevibile.

La disciplina vigente all’epoca dei fatti in materia di modalità di esercizio di accesso e dei relativi ricorsi, ossia l’art.25, comma 5, della L. 7 agosto 1990 n. 241 (ora sostituito sul punto dall’art. 116, comma 2, cod. proc. amm.), prevedeva infatti espressamente che i ricorsi avverso i dinieghi di accesso opposti dall’Amministrazione proposti incidentalmente nell’ambito della causa principale fossero decise con ordinanza adottata in camera di consiglio, "appellabile, entro trenta giorni dalla notifica della stessa, al Consiglio di Stato, il quale decide con le stesse modalità e con gli stessi termini".

Né va sottaciuto che, come evidenziato da Cons. Stato, Sez. V, 25 giugno 2010 n. 4068, pur avendo il legislatore qualificato espressamente come istruttoria l’ordinanza che chiude, davanti al giudice di primo grado, l’ "incidente di accesso", deve osservarsi che sono comunque impugnabili i provvedimenti del giudice amministrativo di primo grado che, pur non avendo la forma esteriore di sentenza, abbiano un reale contenuto decisorio della controversia: il ché si verifica allorché essi esplicitamente o implicitamente risolvano in tutto o in parte la questione che oppone le parti, ovvero un punto pregiudiziale di essa, dal momento che al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di sentenza o di ordinanza, è decisiva non già la forma adottata ma il suo contenuto in base al principio della prevalenza in materia della sostanza sulla forma (cfr. Cass. SS. UU. 11 dicembre 2007 n. 2537); e, "con particolare riferimento all’ordinanza che decide il ricorso in materia di accesso in corso di causa, questo Consiglio di Stato ha operato una distinzione…tra ordinanze che si pronunciano sul ricorso accogliendolo o respingendolo in relazione ai presupposti inerenti all’accesso in quanto tale, e ordinanze che respingono il ricorso perché ritengono i documenti richiesti non utili ai fini del giudizio in corso. Nel primo caso l’ordinanza ha natura decisoria ed è appellabile sia nel caso in cui il giudice escluda l’accessibilità sulla base della ritenuta carenza dei presupposti previsti dalla disciplina dell’accesso, sia nel caso in cui il giudice accolga la domanda di accesso ritenute sussistenti le condizioni legittimanti l’ostensione senza passare al vaglio della pertinenza dei documenti in relazione al giudizio in corso. Nel secondo caso l’ordinanza ha natura meramente istruttoria e non è appellabile autonomamente (cfr. Cons. St., sez. VI, 25 marzo 2004 n. 1629; sez. V 9 dicembre 2008 n. 6121)" (cfr. decisione n. 4068 del 2010 cit.).

Ciò posto, venendo al caso di specie le ordinanze impugnate hanno ad oggetto l’esistenza dei presupposti dell’accesso, ossia la natura di atto amministrativo delle registrazioni fonografiche, e proprio in quanto recano al riguardo una statuizione definitiva sull’istanza giudiziale proposta dal B., dovevano formare oggetto di autonomo e tempestivo appello.

6.1. Venendo, ora, all’impugnativa proposta avverso la sentenza n. 5127 dd. 4 giugno 2007, essa va respinta.

6.2. Va in primo luogo disaminato il motivo di appello con il quale il B. reputa innanzitutto errata l’interpretazione, sia da parte dell’organo di autogoverno della Corte dei Conti, sia da parte del giudice di primo grado, delle disposizioni contenute negli artt. 2 e 4 della deliberazione n. 92/CP/2002.

Il motivo è infondato.

La tesi del B. si fonda sul disposto dell’art. 2 della deliberazione n. 92/CP/2002 (laddove stabilisce che il magistrato vincitore di una procedura concorsuale non può presentare istanza di rinuncia all’assegnazione già deliberata) per comprovare la decorrenza, dalla deliberazione e non dalla effettiva assegnazione, dell’obbligo triennale di permanenza nella sede assegnata.

La tesi medesima – tuttavia, e come già puntualmente affermato dal T.A.R. – è intrinsecamente insostenibile avuto riguardo a quanto previsto dal susseguente art. 4, comma 2, della deliberazione n. 92/CP/2002, come modificato dalla deliberazione n. 197/CP/2003, laddove dispone che "i referendari in servizio da almeno 12 mesi nell’Ufficio di prima assegnazione, prima dell’assegnazione dei referendari vincitori di concorso, possono partecipare alle procedure concorsuali per l’assegnazione ad altro ufficio, con esclusione degli uffici siti in Roma, fermo restando il divieto di partecipare ad altri concorsi per un ulteriore periodo di tre anni".

Dall’immediato dettato letterale dell’ultimo periodo della disposizione testè riportata ben emerge, quindi, che la ratio sottesa alla disciplina in esame non è quella di rispondere ad un’esigenza di organizzazione delle procedure concorsuali – come ad esempio il divieto parimenti previsto dal predetto art. 2 della deliberazione n. 92/CP/2002 di rinunciare al posto di funzione dopo che l’assegnazione sia già stata deliberata – ma è, viceversa, quella di garantire stabilità alla titolarità dell’ufficio.

Né risulta conferente l’assunto del medesimo B. secondo cui, ove si volesse far decorrere l’obbligo di permanenza dall’effettiva assegnazione piuttosto che dalla deliberazione del trasferimento, si correrebbe il rischio – nell’ipotesi in cui i due momenti non siano contestuali – che il magistrato, nelle more di un trasferimento deliberato ma ancora non portato ad effetti, "potrebbe legittimamente partecipare a nuovi interpelli, per altre differenti destinazioni".

Tale preteso rischio è infatti privo di qualsiasi consistenza sia teorica che pratica, e ciò in quanto un’eventuale richiesta di partecipare ad una nuova procedura concorsuale formulata da un magistrato, a favore del quale sia stato già deliberato il trasferimento ad altro ufficio, non avrebbe altro valore se non quello di rinuncia all’assegnazione già deliberata e, pertanto, sarebbe destinata ad essere dichiarata inammissibile, ai sensi del citato articolo 2, ultimo comma, della deliberazione n.92/CP/2002 e successive modifiche.

Né va sottaciuto che la stessa lettera dell’art. 4, così come riformulato dalla deliberazione n. 197/CP/2003, ha reso ancora più indubbio il legame che è, stato instaurato tra obbligo di permanenza minima ed effettivo servizio prestato nella sede precedente; in tal senso, infatti, il secondo comma del medesimo art. 4 dispone, come detto innanzi, che "i referendari in servizio da almeno 12 mesi nell’Ufficio di prima assegnazione……… possono partecipare alle procedure concorsuali per l’assegnazione ad altro ufficio, con esclusione degli uffici siti in Roma, fermo restando il divieto di partecipare ad altri concorsi per un ulteriore periodo di tre anni", laddove l’espressione "ulteriore periodo" – per l’appunto inserita nel testo a seguito della modifica del 2003 – non può che riferirsi al precedente presupposto dei "referendari in servizio da almeno 12 mesi".

L’insieme di tali considerazioni eliminano pertanto il dubbio interpretativo dedotto dal B. – e, peraltro, già rettamente respinto dal giudice di primo grado – deputato a negare che l’obbligo di permanenza triennale, in applicazione del comma 2 dell’ art. 4 della deliberazione n.92/CP/2002 e successive modifiche, debba riferirsi al servizio effettivamente svolto nell’ufficio presso il quale il magistrato sia stato trasferito dalla sede di prima assegnazione.

6.3. Sempre con riguardo al primo motivo di appello, parimenti infondata risulta la censura con la quale il B. contesta l’assunto del giudice di primo grado secondo il quale dalla sentenza n. 713 del 2004 resa inter partes dal T.A.R. per la Toscana e dal provvedimento ivi infruttuosamente da lui impugnato deriverebbe non solo la sua assegnazione per tre anni alla Procura Regionale per la Toscana, ma anche la decorrenza dell’assegnazione medesima.

A ragione il patrocinio delle Amministrazioni appellate ha evidenziato che tale censura all’evidenza discende da una non corretta lettura della sentenza qui appellata.

Il giudice di primo grado, infatti, sostenendo l’inoppugnabilità tanto dell’obbligo di permanenza del dr. B. per un periodo "non inferiore a tre anni" nella Procura regionale della Toscana, quanto della decorrenza di tale assegnazione dal 15 settembre 2002, non ha inteso attribuire entrambi gli effetti al passaggio in giudicato della sentenza del T.A.R. per la Toscana, ma del tutto correttamente ha distinto l’inoppugnabilità dell’obbligo di permanenza, dovuto all’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza, dalla diversa questione della decorrenza di tale permanenza minima che, indicata nella deliberazione n. 212/CP/2002 del 17 giugno 2002 e non avendo mai di per sé costituito oggetto di impugnazione, è divenuta per ciò solo non più contestabile: e da ciò, pertanto, discende l’inoppugnabilità e la tardività di ogni prospettazione della relativa questione nell’economia del presente giudizio.

Né rilevano, sotto altro profilo, le considerazioni dell’appellante relative alla circostanza che il suo trasferimento alla Procura regionale per la Toscana sarebbe stato adottato non già in applicazione del predetto art. 4 ma in virtù di un preteso ius singulare a lui applicato dal Consiglio di Presidenza nell’adunanza del 2526 febbraio 2001 ed in forza del quale gli era stato consentito di "optare per un altro posto di funzione avente sede nella Regione Toscana prima dell’assegnazione dei referendari del prossimo concorso e di partecipare a procedure concorsuali prima del compimento del biennio".

Va tale riguardo evidenziato che il testè citato provvedimento del Consiglio di Presidenza adottato nell’adunanza del 2526 febbraio 2001 ha fatto applicazione di un criterio contenuto nella deliberazione n. 244/CP/ 1998 del medesimo Consiglio, così come modificata dalla successiva deliberazione n. 31 /CP/2001.

L’art. 4 della deliberazione n. 244/CP/1998, infatti, fissa la permanenza minima dei referendari nella sede di prima assegnazione in tre anni, e dispone quindi che "i Referendari in servizio da almeno 24 mesi nell’Ufficio di prima assegnazione possono partecipare alle procedure concorsuali per l "assegnazione ad una sede decentrata diversa da quella di servizio e comunque diversa da Roma, fermo restando il divieto di partecipare ad ulteriori concorsi per un periodo di tre anni".

Se così, è, la deroga deliberata dal Consiglio di presidenza nell’adunanza del 2526 febbraio 2001 in favore del dott. B. e trasfusa, poi, nel provvedimento n. 212/CP/2002, è dunque consistita esclusivamente nell’aver ammesso il medesimo B. a partecipare a procedure concorsuali per altri posti di funzione, prima del compimento del biennio di permanenza nella sede di assegnazione.

Pertanto, l’avvenuta ammissione del B. ad esercitare in via anticipata il c.d. "diritto di opzione", non può comportare altresì, come egli vorrebbe, anche l’ulteriore deroga all’obbligo di permanere almeno per un triennio nella nuova sede, essendo stato – tra l’altro – tale obbligo espressamente affermato nella deliberazione n. 212/CP/2002; ed essendo – a ben vedere – proprio quest’ultimo la fonte del c.d. ius singulare invocato dal ricorrente, è in tale provvedimento che necessita rinvenire la particolare disciplina da applicare al caso concreto e il preciso effetto derogatorio che il Consiglio ha inteso operare rispetto ai criteri generali di cui alla delibera n. 92/CP/2002, nel frattempo subentrata alla deliberazione n. 244/CP/1998 nella disciplina delle assegnazioni a domanda.

Su tale questione il giudice di primo grado si è ampiamente soffermato, precisando espressamente che il B. ha beneficiato di un’analoga disposizione derogatoria (giusta delibera del C.d.P, in data 15- 16/1/01, citata nella sentenza n. 713 del 2004 resa dal T.A.R. per la Toscana), in occasione della partecipazione, nel 2002, all’interpello per l’assegnazione del posto di funzione disponibile presso la Procura regionale per la Toscana, e che il periodo di tre anni nel quale è fatto divieto di partecipare ad ulteriori concorsi è pur sempre funzionale all’obbligo di permanenza nella sede (assegnata in prima battuta, ovvero in esito all’esercizio del più volte menzionato diritto di opzione).

Nel "sistema", quindi, il periodo di "permanenza minima" di tre anni, se non viene rispettato all’atto della prima assegnazione, va rispettato successivamente, nella sede prescelta con l’esercizio del diritto di opzione.

6.4. Vanno da ultimo dichiarate inammissibili tutte le censure svolte dal B. avverso la graduatoria definitiva dell’interpello, al quale – per tutto quanto sin qui illustrato – egli comunque non aveva titolo a partecipare.

Inoltre, per quanto segnatamente attiene alla decorrenza dell’assegnazione, va assorbentemente evidenziato che il medesimo B. aveva a suo tempo manifestato il proprio assenso al riguardo, con nota n. prot. 123/CP del 4 giugno 2002 in dipendenza delle esigenze di servizio rappresentate dalla Procura regionale per la Liguria, precedente ufficio di assegnazione dell’appellante.

6.5. Va respinto anche il secondo motivo di appello, articolato su di una presunta disparità di trattamento operata dal Consiglio di presidenza nei confronti del dott. B. rispetto ad altri cinque candidati (B., Cafasso, Massa, Liberati e Francaviglia) che erano stati ammessi a partecipare all’interpello pur non avendo ancora superato il vincolo di permanenza nella sede di prima assegnazione di cui ai relativi bandi di concorso per l’accesso nella magistratura della Corte dei Conti.

Tali magistrati, all’atto della procedura concorsuale indetta con la predetta circolare n. 30/CP/2005, sebbene non avessero presumibilmente superato il periodo di permanenza nell’ufficio di prima assegnazione indicato nel bando di concorso per l’accesso nel ruolo di magistratura della Corte, avevano comunque già trascorso i 12 mesi nell’Ufficio di prima assegnazione antecedentemente all’assegnazione dei referendari vincitori di concorso, e pertanto potevano partecipare, in applicazione dell’art. 4, comma 2, della deliberazione n. 92/CP/2002, modificato dalla deliberazione n. 197/CP/2003, a procedure concorsuali per l’assegnazione ad un ufficio diverso, "fermo restando il divieto di partecipare ad altri concorsi per un ulteriore periodo di tre anni".

A tale proposito è quindi erronea la tesi del ricorrente volta ad affermare ch,e avendo il bando di concorso valenza di lex specialis, le disposizioni in esso contenute verrebbero a prevalere su quelle di cui alla deliberazione n. 92/CP/2002 e successive modificazioni ed integrazioni.

In tal senso, infatti, la deliberazione n. 92/CP/2002, assume natura di atto regolamentare interno e reca la disciplina specifica delle assegnazioni a posti di funzione dei magistrati della Corte dei conti, e in tale contesto la disciplina contenuta nell’anzidetto art. 4, comma 2, della medesima deliberazione riveste valenza derogatoria nei confronti della disposizione di cui al comma 1, il quale – a sua volta – testualmente dispone che "la permanenza minima dei referendari nell’ufficio di prima assegnazione per poter avanzare domanda intesa ad ottenere una diversa destinazione è fissata in anni tre con salvezza di termini più lunghi previsti nei singoli bandi di concorso".

Risulta altrettanto assodato che la deroga sopradescritta è ammissibile anche nel caso in cui i bandi di concorso stabiliscano una permanenza nell’ufficio di prima assegnazione superiore a tre anni: e ciò è confermato anche dallo stesso dettato letterale del comma 2 del medesimo art. 4, laddove per l’appunto dispone in via generale che "i referendari in servizio da almeno 12 mesi nell’ufficio di prima assegnazione,….. possono partecipare alle procedure concorsuali per l’assegnazione ad altro posto di funzione…", senza alcun riferimento sia alla durata obbligatoria della prima assegnazione di cui al primo comma, ovvero tre anni, sia ad un periodo maggiore nell’ipotesi che il bando di concorso lo preveda.

6.6. Non avendo il B., per tutto quanto sopra, alcun titolo a partecipare alla procedura concorsuale con riguardo al posto di funzione presso la Sezione giurisdizionale per la Toscana, stante il mancato decorso del triennio di effettivo servizio presso la Procura regionale per la Toscana, vanno dichiarati inammissibili per carenza di interesse i motivi di appello riguardanti il difetto di motivazione derivante dall’asserita mancata votazione da parte del Consiglio di presidenza, nell’adunanza del 1920 luglio 2005, ai fini di dare esito alla procedura concorsuale.

6.7. Analoga conclusione va rassegnata anche per quanto attiene alla pretesa tardività della domanda proposta per il medesimo interpello da parte della dott. B..

Solo per completezza di esame della fattispecie va ad ogni buon conto evidenziato che il B. non ha comunque comprovato la sussistenza di tale asserita tardività, rilevando innanzitutto che in base al generale principio di cui all’art. 2697 c.c. tale incombente competerebbe comunque a lui, e non già – come da lui stesso affermato – alle amministrazioni intimate.

Ciò posto, va evidenziato che – ferma restando l’obbligatoria progressività e continuità delle operazioni di protocollazione degli atti ricevuti dagli uffici della pubblica amministrazione – nel 2005 non era stato ancora reso operativo presso la Corte dei Conti l’attuale strumento del c.d. "protocollo informatico", con la conseguenza che l’acquisizione degli atti al protocollo avveniva mediante trascrizione degli estremi dell’atto in un registro (c.d. "registro del protocollo") con apposizione in ordine progressivo di un medesimo numero sia sull’atto stesso che su tale registro. registro.

Nella specie, la domanda della dott.ssa B. riporta il n.3528/CP del 12 luglio 2005 e quella del dott. B. il n. 3561/CP del 12 luglio 2005; e, considerato che la domanda del medesimo B. è pervenuta via fax e sulla stessa risulta leggibile l’orario di ricezione, ovvero le 11.53 e atteso che l’orario di scadenza della procedura era quello delle 12.00, risulta ben evidente che la domanda della B. è pervenuta in termini, in quanto presentata addirittura in un momento anteriore rispetto a quella dell’attuale appellante.

In conseguenza di ciò, risultano pertanto del tutto incongrue le affermazioni dell’appellante medesimo, laddove da un lato sostiene che la sentenza qui impugnata erroneamente afferma che egli avrebbe imputato all’amministrazione la commissione di un falso e,dall’altro, ribadisce tutt’ora la necessità dell’apposizione sulla domanda della dott.ssa B. dell’orario di ricezione, pur non essendo tale indicazione prevista.

7. Le spese e gli onorari del giudizio possono essere, peraltro, integralmente compensati per entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge per quanto attiene alla sentenza del T.A.R. per il Lazio, Roma, Sez. I, n. 5127 dd. 4 giugno 2007, nel mentre lo dichiara irricevibile per quanto attiene alle ordinanze collegiali n. 496 dd. 22 marzo 2006 e n. 1143 dd. 5 luglio 2006 emesse dal medesimo giudice di primo grado.

Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Guido Romano, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore

Silvia La Guardia, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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