Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-10-2011, n. 5764 Atti amministrativi diritto di accesso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1.L’attuale ricorrente in revocazione, C. Costruzioni S.r.l., già Immobiliare G. di C. E. & C. S.a.s., espone di essere proprietaria di un’area ricadente nel territorio comunale di Genga, a sua volta esteso per 74 Kmq. circa e ubicato nella fascia preapenninica marchigiana in corrispondenza della Gola di Frasassi, notorio sito di interesse naturalistico ricadente nel Parco Naturale Regionale Gola Rossa di Frasassi e che di per sé si sviluppa per circa 3 Km. in lunghezza.

La Gola è percorsa dal torrente Sentino, che materialmente suddivide in due porzioni l’anzidetto territorio comunale.

Più esattamente, l’area di proprietà di C. è ubicata nella frazione Pontebovesecco, ossia uno dei circa quaranta nuclei urbanizzati di varia dimensione che costituiscono il tessuto insediativo del Comune di Genga, privo – per l’appunto – di un vero e proprio epicentro e frammentato, quindi, in numerose località.

C. afferma che Pontebovesecco si configura quale agglomerato abitato ben definito, composto da oltre trenta edifici per la maggior parte adibiti ad uso residenziale e compiutamente assistito da opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

La proprietà C. risulta collocata al centro dell’aggregato urbano, ed è circondata per tre lati da preeesitenze edilizie, talune delle quali asseritamente risalenti a molti decenni addietro, e per la restante parte è affacciata su di uno strapiombo che la separa da un torrente di carattere stagionale.

Nella zonizzazione del P.R.G. vigente nel 1979 la proprietà C. ricade in parte in area di espansione ad uso residenziale e in parte in area destinata ad attrezzature e servizi di interesse pubblico.

C. afferma inoltre di aver acquisito tali terreni operando allora quale Immobiliare G. proprio allo scopo di realizzare ivi un complesso residenziale coerentemente contiguo alle predette preesistenze edilizie.

Peraltro, con una variante al predetto strumento urbanistico apportata nel 1993 i terreni di proprietà G. sono stati destinati a uso ricreativoricettivo, orientando "le scelte di utilizzo dei suoli verso la costruzione di un locale per pubblico spettacolo…. Sempre in una prospettiva di convergenza con le nuove scelte urbanistiche recate dalla variante di piano – seppure soltanto all’inizio dell’iter di approvazione definitiva – la Società proprietaria", ossia la medesima G., si è dotata "di un programma costruttivo all’altezza della qualificata vocazione ricettiva che si intendeva imprimere alla zona, già di per sé espressione di indubbio pregio naturalistico, commissionando il progetto architettonico della struttura in esito ad un concorso informale di idee" (cfr. pagg. 3 e 4 dell’atto introduttivo del presente giudizio).

Sempre secondo l’attuale ricorrente, il Comune di Genga avrebbe quindi rilasciato a G., "anche sulla scorta di tali premesse" la concessione edilizia n. 2161 dd. 13 luglio 1995, " con ciò, a ragione, ritenendo le opere assentite conformi alla disciplina urbanistica del P.R.G. ancora vigente, e non in contrasto con le disposizioni della variante di piano soltanto adottata: questa infatti,incidendo parzialmente sulla destinazione dell’area, nonchè – in termini restrittivi – sugli indici edilizi e sulle modalità di attuazione delle destinazioni previste, si poneva come principale

parametro di assentibilità dell’intervento, in virtù della disciplina di salvaguardia di cui all’ (allora vigente) articolo unico della L. 3 novembre 1952 n. 1902. Diversamente… il (medesimo) Comune avrebbe sospeso ogni determinazione in merito all’istanza di concessione. Nella medesima sede,l’Amministrazione Comunale" avrebbe quindi correttamente reputato "che l’intervento, concepito in un’ottica di completamento dei servizi turisticoricreativi di un centro abitato già completamente urbanizzato, non necessitasse del previo conseguimento dell’autorizzazione paesaggistica richiesta dal regime vincolistico di cui al D.M. 31 luglio 1985, che espressamente escludeva dalla aree interessate quelle poste all’interno dei centri abitati: circostanza senz’altro verificata per l’edificazione della Immobiliare G., attuata nell’ambito di una zona di espansione (B2)" (cfr. ibidem, pag. 4).

L’attuale ricorrente riferisce quindi che in data 11 novembre 1997, a lavori abbondantemente avanzati ed essendo perciò mente trascorso il periodo di tre anni previsto dalla citata disciplina di salvaguardia, G. ha inoltrato al Comune un’istanza di variante al proprio precedente titolo edilizio del 1995.

Tale istanza è stata accolta dal Comune con il rilascio della concessione n. 6470 dd. 5 febbraio 1998.

La ricorrente afferma pure che l’edificazione è stata completata con un impegno complessivo attualmente valutabile in oltre 10 milioni di Euro, e che la discoteca "Pulvisia" è quindi entrata regolarmente in esercizio con tutti i titoli abilitativi necessari, costituendo un fattore di di traino per lo sviluppo dell’attività turistica della zona.

1.2. Nondimeno, in esito ad apposita attività istruttoria, con determinazione dirigenziale n. 236, Prot. n. 37372 dd. 16 giugno 2000 il Dirigente preposto al VII Settore della Provincia di Ancona ha disposto l’annullamento delle predette concessioni edilizie n. 2161 dd. 13 luglio 1995 e n. 6470 dd. 15 febbraio 1998 n. 6470, in relazione ad un asserito contrasto del relativo intervento con la disciplina urbanisticoedilizia vigente, nonché con la disciplina di tutela paesaggisticoambientale ivi con correntemente in essere.

G. ha pertanto adito il T.A.R. per le Marche con ricorso proposto sub R.G. 800 del 2000, chiedendo l’annullamento di tale provvedimento, nonché di ogni altro atto presupposto e conseguente.

G., in tale primo grado di giudizio, ha dedotto al riguardo le seguenti censure:

a) violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7 e 9 della L. 7 agosto 1990 n. 241 e dell’art. 27, comma 3, della L. 17 agosto 1942 n. 1150, in relazione all’art. 1, comma 1, lettera m) del D.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8;

b) eccesso di potere per erroneo o comunque falso supposto di fatto e di diritto, per contraddittorietà al P.R.G. del 1979 e alla sua variante del 1993; violazione di legge per violazione o comunque erronea e falsa applicazione dell’art. 18 delle N.T.A. del P.R.G.;

c) Violazione o comunque erronea e falsa applicazione dell'(allora vigente) art. 7 della L. 29 giugno 1939 n. 1497;

4) eccesso di potere per contraddittorietà e violazione di legge per violazione o comunque erronea e falsa applicazione dell’art. 26 della L. n. 1150 del 1942.

1.3. Con sentenza n. 1142 dd. 10 novembre 2006 il T.A.R. ha respinto il ricorso.

Il primo ordine di censure, con il quale G. aveva dedotto la mancata indicazione nell’atto impugnato, à sensi dell’art. 3 della L. 241 del 1990, del termine e dell’autorità a cui è possibile ricorrere, è stato respinto dal giudice di primo grado con il richiamo alla ben nota e del tutto unanime giurisprudenza secondo cui tale concreta unicamente una mera irregolarità, non incidente sulla legittimità dell’atto, ma che, à sensi dell’art. 1 comma 3 del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 e dell’art. 3 comma 4 L. 7 agosto 1990 n. 241, può dare titolo al destinatario dell’atto ad ottenere la concessione dell’errore scusabile, al fine di attivarsi nella giusta sede: errore che nel caso di specie non era configurabile, posto che il provvedimento lesivo era stato ritualmente impugnato dinanzi al giudice competente e nel pieno rispetto dei termini di legge.

Il giudice di primo grado ha pure respinto l’ulteriore deduzione rubricata nel primo motivo di ricorso ivi proposto e relativa all’asseritamente omessa comunicazione a G. dell’avvio del procedimento, nonché all’obbligo di tempestiva comunicazione delle violazioni ipotizzate: e ciò in relazione agli artt. 7 della L. n. 241 del 1990 e 27, comma 3, della L. 1150 del 1942.

Anche tali prospettazioni di G. sono state respinte dal giudice di primo grado, in quanto con la nota raccomandata a.r. Prot. n. 5033 del 27 gennaio1999, versata in atti, l’Amministrazione provinciale di Ancona aveva dato comunicazione tanto al Sindaco di Genga che alla medesima G. dell’avvio del procedimento deputato all’annullamento delle predette concessioni edilizie n. 2161 del 1995 e n. 6470 del 1995, contestualmente individuando e descrivendo le violazioni di legge e dello strumento urbanistico comunale, in ragione delle quali le concessioni medesime erano ritenute illegittime,nonché invitando la Società destinataria della comunicazione stessa a far pervenire le proprie controdeduzioni entro il termine di 30 giorni.

Il T.A.R. ha pure respinto un’ulteriore e terza parte del primo ordine di censure dedotto da G. e consistente nell’affermazione che il provvedimento di annullamento dei titoli edilizi sarebbe stato emesso in violazione dell’art. 27, comma 3, della L. 1150 del 1942, ossia dopo la scadenza del termine di diciotto mesi dall’accertamento delle violazioni, ivi per l’appunto previsto: e ciò in quanto il provvedimento impugnato risale alla data del 9 giugno 2000, nel mentre l’accertamento delle asserite violazioni urbanistiche sarebbe avvenuto il 16 settembre 1998.

Il T.A.R. si è al riguardo richiamato alla giurisprudenza secondo la quale il termine iniziale per l’emanazione, à sensi del medesimo art. 27, del provvedimento di annullamento d’ufficio delle concessioni di costruzione da parte dell’amministrazione regionale (nella Regione Marche, da parte dell’amministrazione provinciale competente per territorio, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera g) della L.R. 5 agosto 1992, n. 34), inizia a decorrere soltanto dal momento in cui i competenti uffici tecnici hanno compiuto una specifica e conclusiva valutazione della fattispecie e della sua illegittimità, a nulla rilevando a tal fine la preesistenza di segnalazioni od avvertimenti quali sono quelli rilevabili dalla corrispondenza in proposito in precedenza intercorsa tra Regione e Comune interessato (cfr., ad es., Cons. St., Sez. IV, 2 ottobre 1989 n. 653 e Sez. V, 15 ottobre 1986, n. 539; Cons. Giust. Sic., 26 settembre 1986 n. 163).

Nel caso di specie – sempre secondo il giudice di primo grado – l’accertamento delle violazioni deve ritenersi intervenuto il 27 gennaio1999, data in cui è stato avviato il procedimento diretto all’annullamento delle concessioni edilizie e formulata una precisa individuazione e contestazione delle violazioni riscontrate, la quale non poteva essere effettuata in precedenza perché l’Amministrazione provinciale non era in possesso di tutta la documentazione occorrente ad una compiuta valutazione della fattispecie; tale documentazione è stata trasmessa dal Comune di Genga con nota Prot. N. 75467547 dd. 1 dicembre 1998 e successivamente il 12 gennaio 1999, ed acquisita in quella data al protocollo della Provincia con il n. 1574, nel mentre la nota della Provincia in data 16 settembre 1998, alla quale aveva fatto riferimento G., ha contenuto meramente interlocutorio ed istruttorio, con la conseguenza che, rispetto alla data in cui sono state accertate le violazioni (27 gennaio 1999), alla data del 9 giugno 2000 risulta rispettato il termine di 18 mesi previsto dalla legge.

Il T.A.R. ha anche respinto il quarto ordine di censure dedotto da G., secondo la quale l’applicazione al caso di specie dell’art. 26 della L. 1150 del 1942 sarebbe stata illegittima in quanto la relativa disciplina riguarderebbe le sole opere eseguite senza rilascio del titolo edilizio, ovvero in contrasto con il contenuto del titolo medesimo o – ancora – in difformità dal piano regolatore: ipotesi, queste, asseritamente non sussistenti nel caso di specie.

Ad avviso del giudice di primo grado, anche a prescindere dalla circostanza che la maggior parte delle violazioni contestate dall’Amministrazione Provinciale, e poste a base della determinazione di annullamento delle concessioni edilizie già rilasciate a G. riguardano proprio la difformità delle opere autorizzate dalle disposizioni del P.R.G. di Genga, risulta dirimente la stessa formulazione dell’art. 27, comma 4 della L. n. 1150 del 1942, all’epoca vigente, laddove disponeva testualmente che "intervenuto il decreto di annullamento si applicano le disposizioni dell’art. 26", con la conseguenza che non è revocabile in dubbio la riferibilità del medesimo art. 26 alla fattispecie in esame.

Per quanto attiene al secondo e al terzo ordine di censure, il T.A.R. ha preliminarmente evidenziato che dalla lettura dell’impugnato provvedimento n. 236 – Prot. 37372 del Dirigente del VII Settore dell’Amministrazione provinciale di Ancona l’illegittimità delle predette concessioni edilizie rilasciate dal Comune di Genga si fonda sui rilievi qui appresso descritti.

A) per quanto riguarda la concessione edilizia n. 2161 dd. 13 luglio 1995:

A1) – A2) violazione dell’articolo unico della L. n. 1902 del 1952, in quanto gli indici ed i parametri edilizi di progetto non sono stati confrontati con quelli stabiliti dal P.R.G. del 1979, e non sono state rispettate le norme di salvaguardia vigenti a seguito dell’adozione del nuovo P.R.G. nel 1993;

A3) violazione dell’art. 18 nelle N.T.A. del P.R.G. vigente (1979), in quanto in base a tale strumento urbanistico parte dell’area di progetto ricade in zona "G" (art. 18 N.T.A.) con destinazione agricola e, quindi, non edificabile per locali di pubblico spettacolo;

A4) violazione dell’art. 24 delle N.T.A. del P.R.G. adottato (1993), in quanto in base al P.R.G. adottato nel 1993 e, quindi, alle norme di salvaguardia, per le zone "B2" di cui all’art. 24 delle N.T.A. è stabilito che gli interventi siano regolati da piani urbanistici preventivi, mentre nel caso in esame tale disciplina non è stata osservata;

A5) violazione dell’art. 7 della L.1497 del 1939, in quanto il rilascio della concessione edilizia non è stato subordinato – come doveva – alla previa acquisizione del parere ivi previsto, essendo l’area assoggettata al D.M. 31 luglio 1985 in quanto avente destinazione agricola e, quindi, non ricompresa nel perimetro del centro abitato: condizione essenziale – quest’ultima – per essere esclusa dal vincolo paesistico.

B) per quanto riguarda la concessione edilizia n. 6470 dd. 15 febbraio1998:

B1) violazione dell’art. 18 delle N.T.A. del P.R.G. vigente (1979), in quanto in base

in base a tale strumento urbanistico parte dell’area di progetto ricade in zona "G" (art. 18 N.T.A.) con destinazione agricola e, quindi, non edificabile per locali di pubblico spettacolo;

B2) violazione dell’art. 20 punto 5 delle N.T.A. del P.R.G. vigente (1979), in quanto in base al P.R.G. del 1979 parte dell’area di progetto ricade in zona "RS" di cui all’art. 20, punto 5, delle N.T.A. del P.R.G. – fasce di rispetto stradale – ove è vietata ogni costruzione non prevista tra quelle ivi specificate; viceversa, nel progetto di G. è prevista in tale area la realizzazione di locali accessori, quali biglietteria e servizi, nonché un muro di cinta di altezza di 3 metri;

B3) violazione dell’art. 7 della L. n. 1497 del 1939, in quanto il rilascio della concessione edilizia non è stato subordinato – come doveva – alla previa acquisizione del parere ivi previsto, essendo l’area assoggettata al D.M. 31 luglio 1985 in quanto avente destinazione agricola e, quindi, non ricompresa nel perimetro del centro abitato: condizione essenziale – quest’ultima – per essere esclusa dal vincolo paesistico.

Il T.A.R. ha quindi evidenziato che le suesposte motivazioni sono tra di loro autonome, posto che ognuna di esse è di per sé sola idonea a reggere la determinazione di annullamento delle predette concessioni edilizie: e ciò in conformità al consolidato orientamento giurisprudenziale per cui, nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, è sufficiente, per la conservazione della legittimità degli atti, la fondatezza di una sola di esse (Cons. St., Sez. VI, 17 ottobre 2000 n. 5530).

Il giudice di primo grado ha poi rilevato che nessuna censura è stata dedotta con il ricorso avverso il motivo di annullamento di cui al precedente punto B2) (edificazione in zona di rispetto stradale), relativo alla concessione edilizia n. 6470 del 1998, mentre le censure dedotte avverso i motivi di annullamento A5) e B3) (necessità della previa acquisizione del parere di cui all’art. 7 della L. n. 1497 del 1939, essendo l’area assoggettata al D.M. 31 luglio1985), identici per entrambe le concessioni edilizie, sono palesemente generiche e quindi devono essere dichiarate inammissibili.

Il T.A.R. ha in proposito osservato che nel giudizio amministrativo non è sufficiente la generica deduzione di un vizio dell’atto impugnato, ma occorre che sia precisato il profilo sotto il quale il vizio viene dedotto, indicando tutte le circostanze dalle quali possa desumersi che il vizio denunciato effettivamente sussista (cfr., ad es., Cons. St., Sez. V, 28 settembre 1981 n. 425 e Sez. VI, 21 febbraio 2006 n. 705) e che nella fattispecie, a fronte dei precisi rilievi formulati nel provvedimento impugnato, con i quali si osservava, in riferimento ad entrambi gli atti concessori, che "il rilascio della concessione edilizia non è stato subordinato – come doveva – alla previa acquisizione del parere di cui all’art. 7 della L. n. 1497 del 1939, essendo l’area assoggettata al D.M. 31 luglio 1985 in quanto area con destinazione agricola e, quindi, non ricompresa nel perimetro del centro abitato, condizione essenziale per essere esclusa dal vincolo paesistico", la ricorrente si era limitata a dedurre, con la epigrafe del terzo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della L. 1497 del 1939, senza alcuna illustrazione degli specifici elementi in base ai quali avrebbe dovuto ritenersi sussistente il vizio dedotto.

Il giudice di primo grado ha in tal senso rimarcato che è ben vero che nel "corpo" del medesimo motivo, oltre a formulare considerazioni in relazione a diversa ragione di illegittimità rilevata dall’Amministrazione provinciale (la previa necessità di piani attuativi) G. aveva affermato che "l’area era prevista con le destinazioni sopra indicate sia nel piano regolatore approvato (1979), sia in quello adottato, e dunque chiunque ne avrebbe supposto la regolarità sotto tale profilo", ma che tali argomentazioni erano del tutto generiche, e tali dunque da non consentire al giudice medesimo di individuare le ragioni per cui l’atto impugnato avrebbe violato l’art. 7 della L. n. 1497 del 1939 come, per l’appunto, asserito nella epigrafe del motivo.

Il T.A.R. ha anche rimarcato che tali ragioni neppure potevano essere individuate "aliunde" nel testo dell’intero ricorso, ivi compresa la esposizione in fatto, e che la difesa di G., essendosi all’evidenza avveduta di tale circostanza aveva invero svolto nella propria ultima memoria defensionale ampie argomentazioni dirette ad esporre i motivi in fatto e in diritto che consentirebbero l’edificazione nella zona anche in assenza dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 7 della L. 1497 del 1939 (sostituito, al momento della redazione della sentenza stessa, dall’art. 151 del D.Lgs. 129 ottobre 1999 n. 490 e, ora, dall’art. 146 del D.L.vo 22 gennaio 2004 n. 42 e succ. modd.): argomentazioni peraltro inammissibili, in quanto tardive rispetto all’acquisita conoscenza dell’atto impugnato, e comunque non formatesi nel contraddittorio delle parti, essendo state formulate nell’ambito di una memoria non notificata.

In base all’insieme delle considerazioni sin qui esposte il T.A.R. ha quindi respinto il ricorso di G., reputando peraltro "per completezza… di delibare anche le censure proposte avverso altro motivo di annullamento della concessione edilizia 13 luglio 1995 n. 2161, e precisamente quello di cui al punto A4), con cui l’Amministrazione provinciale sostiene che "in base al P.R.G. adottato nel 1993 e, quindi, alle norme di salvaguardia, per le zone "B2" di cui all’art. 24 delle N.T.A. è stabilito che gli interventi siano regolati da piani urbanistici preventivi, mentre nel caso in esame questa normativa non è stata osservata".

In tal senso, quindi, il giudice di primo grado ha evidenziato che con il terzo motivo del ricorso G. aveva dedotto che nel caso di specie ai fini del rilascio del titolo edilizio non era necessaria la previa approvazione di strumenti urbanistici quando, come nel caso di specie, si fosse in presenza di un lotto unico; e che, peraltro, anche tale ordine di censure andava respinto, stante la costante giurisprudenza secondo la quale l’esigenza del piano esecutivo (di lottizzazione o particolareggiato), pur se richiesto dal P.R.G., si pone quale presupposto del rilascio della concessione edilizia solo allorquando la zona interessata all’edificazione non sia ancora urbanizzata ai fini dell’insediamento edilizio residenziale e produttivo ed esiga, per l’armonico raccordo del nuovo intervento edilizio col preesistente aggregato abitativo, la realizzazione o il potenziamento delle opere e dei servizi necessari a soddisfare i bisogni della collettività, e cioè le opere di urbanizzazione (cfr. Cons. Stato., A. P., 6 ottobre 1992 n. 12; Sez. V, 14 dicembre 1994, n. 1470; Sez. IV, 14 aprile 1998 n. 609; Sez. V, 12 ottobre 1999 n. 1450; T.A.R. Campania, Salerno, 23 maggio 2000 n. 368), con la conseguenza che è legittimo il rilascio della concessione edilizia quando la zona sia urbanizzata ed edificata e la nuova edificazione cada sull’unico lotto non ancora edificato.

Nel caso di specie il giudice di primo grado ha – per l’appunto – escluso la sussistenza di tali presupposti di fatto voluti dalla giurisprudenza sulla base della documentazione fotografica e degli stralci delle planimetrie e delle tavole del P.R.G. acquisiti al fascicolo processuale e dai quali risulta che l’area su cui insiste il locale di pubblico spettacolo, la cui costruzione è stata autorizzata con le concessioni edilizie in oggetto, ancorché adiacente ad una zona edificata, non è affatto inserita in un contesto completamente edificato e urbanizzato, e che comunque non può essere definita come un lotto "intercluso", non trattandosi dell’unico spazio libero da edificazioni presente nel sito, complessivamente considerato.

Il T.A.R. ha anche reputato infondate le argomentazioni formulate da G. nella propria memoria conclusiva secondo cui le N.T.A. del P.R.G. adottato nel 1993 non sottoponevano al piano urbanistico attuativo qualsiasi intervento edilizio, ma soltanto quelli di ristrutturazione urbanistica, ossia – in base all’art. 31 della L. 5 agosto 1978, n. 457 – gli interventi riguardanti un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.

Secondo la prospettazione di G. il proprio intervento andava riguardato come "singolo", nel mentre il giudice di primo grado ha reputato tale assunto come discendente da "una non corretta lettura delle N.T.A. del P.R.G. adottato nel 1993, che per la zona B2 prevedono unicamente, all’art. 24, la possibilità di interventi di ristrutturazione urbanistica e di recupero paesaggistico, come tali soggetti a piani urbanistici attuativi, precisando inoltre, all’ultimo capoverso dell’articolo, che "in assenza del piano urbanistico attuativo in tali zone sono consentiti solo interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria", con la conseguenza che, "anche alla luce di quest’ultima norma (che non è stata impugnata dalla società ricorrente)… un intervento edilizio della tipologia e dell’entità di quello realizzato dalla s.a.s. Immobiliare G. non avrebbe mai potuto essere autorizzato nel rispetto della normativa urbanistica all’epoca vigente nel Comune di Genga".

Il giudice di primo grado ha condannato G. al pagamento delle spese processuali nella complessiva misura di Euro 3.000,00.- (tremila/00) oltre ad I.V.A. e C.P.A.

1.3. Nelle more della definizione del giudizio innanzi al T.A.R. è stata compiutamente definito il parallelo procedimento penale per i reati di abuso edilizio contestati al proprietario dei terreni, al direttore dei lavori e al dirigente comunale che aveva emanato le concessioni edilizie: all’iniziale sentenza di condanna n. 807 del 2002 pronunciata dal Tribunale di Ancona ha fatto seguito la sentenza di proscioglimento n. 817 del 2004 emessa dalla Corte d’Appello di Ancona n. 817 del 2004, a sua volta trascorsa in giudicato ma impugnata dalla Provincia di Ancona ai soli effetti civili e annullata per quanto di ragione con sentenza n. 19038 dd. 28 maggio 2006 resa dalla Sezione penale VI^ della Corte di Cassazione per insufficienza di acquisizioni istruttorie sullo stato dei luoghi idonee a sostenere le valutazioni di compatibilità urbanistica delle edificazioni realizzate.

Inoltre, come evidenziato anche nella sentenza resa dal T.A.R., il giudice penale di legittimità ha ritenuto espressamente "prive di ogni specifico fondamento normativo e fattuale" le affermazioni degli imputati in ordine all’asserita riconduzione dell’intervento di cui trattasi alla tipologia degli interventi "singoli".

1.4.1. G., divenuta nel frattempo C. Costruzioni S.r.l., ha proposto appello innanzi a questo giudice avverso la sopradescritta sentenza n. 1142 del 2006, deducendo le censure qui appresso enunciate.

1) Violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e degli artt. 26 e 27 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, "error in iudicando", omessa pronuncia; e ciò in quanto essa non sarebbe stata notiziata dell’avviso di inizio del procedimento provinciale, a nulla rilevando che la comunicazione sia stata spedita ad un indirizzo diverso da quello della sede legale dell’appellante; pertanto, il provvedimento impugnato in primo grado sarebbe stato comunque emanato tardivamente e senza neppure individuare la doppia difformità che – essa sola – consentiva la demolizione.

2) Violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e mancata interpretazione complessiva della domanda giudiziale, "error in iudicando": e ciò in quanto il giudice di primo grado, nel ritenere generiche alcune censure, non avrebbe valutato nel suo complesso le articolazioni della "causa petendi" esposte nel ricorso.

3) Violazione e falsa applicazione delle L. 1902 del 1952, del Piano regolatore generale del Comune di Genga e della variante del 1993, errore nei presupposti di fatto e di diritto, omessa pronuncia, "error in iudicando"; in tal senso, quindi, risulterebbe errata la considerazione dell’illegittimità dei titoli edilizi rilasciati dal Comune, posto che quest’ultimo, nel rilasciarli, ha preso in esame sia le disposizioni del piano regolatore generale del 1979, sia le salvaguardie derivanti dall’adozione della variante del 1993, e posto che l’intervento risulterebbe ex se compatibile con l’art. 18 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del 1979, ricadendo la destinazione agricola soltanto nelle aree golenali che non sono di proprietà di G. e – ora – di C..

Nel medesimo motivo C. ha pure affermato che l’obbligo del preventivo piano particolareggiato di attuazione riguarderebbe nella specie soltanto gli interventi pubblici e ha ribadito che il proprio intervento è compatibile con l’art. 24 delle N.T.A. della variante del 1993, trattandosi di lotto intercluso;

4) Violazione e falsa applicazione della L. 1497 del 1939, del D.M. 31 luglio 1985, dell’art. 20, punto 5, delle N.T.A. del P.R.G. del 1979, del D.LM. n. 1404 del 1968, omessa pronuncia ed "error in iudicando"; in quanto l’area interessata non sarebbe assoggettata a vincolo paesaggistico.

1.4.2. Con decisione n. 2292 dd. 19 maggio 2008 questa Sezione ha respinto l’appello, confermando integralmente la sentenza resa in primo grado.

La Sezione ha innanzitutto affermato l’infondatezza del primo motivo di appello, rilevando che esso recava una doppia censura: la prima relativa al mancato invio dell’avviso di inizio del procedimento per l’annullamento delle concessioni edilizie, e la seconda concernente l’inapplicabilità della sanzione della demolizione per la mancanza della doppia difformità.

In tal senso, per quanto riguarda la comunicazione di inizio del procedimento, la Sezione ha evidenziato che tale atto risulta essere stato inviato all’allora G. all’indirizzo in possesso dell’Amministrazione procedente, con ciò avendo assolto la stessa all’onere informativo; il fatto che nel frattempo la medesima G. avesse cambiato sede è stato reputato irrilevante dalla Sezione, non potendo tale circostanza essere a conoscenza dell’Amministrazione e dovendo comunque la stessa G. premurarsi o di comunicare con la necessaria tempestività il cambio di indirizzo ovvero di apprestare un meccanismo per ricevere la corrispondenza dal vecchio al nuovo indirizzo.

Per quanto riguarda la pretesa inapplicabilità della sanzione demolitoria, la Sezione ha reputato corretta la statuizione del primo giudice, essendo specificamente la stessa contemplata dal combinato disposto degli artt. 27 e 26 della L. 1150 del 1942 in caso di annullamento d’ufficio del titolo edilizio.

La Sezione ha inoltre affermato che in presenza di un preciso disposto normativo, che prevede espressamente la sanzione della demolizione, non può farsi questione della doppia difformità, vertendosi nella specie nell’ipotesi dell’annullamento di atti che avevano determinato una violazione del sistema urbanistico così come disegnato sia dal previgente piano regolatore generale che dalle norme di salvaguardia relative al nuovo piano regolatore.

La Sezione ha respinto il secondo motivo dell’appello in quanto i motivi del ricorso, per poter essere apprezzati, devono essere precisamente indicati ed idoneamente sviluppati, non potendosi pretendere, come viceversa preteso da C., che sia il giudice a dover "estrarre" dalla complessività delle articolazioni defensionali l’esistenza di una specifica "causa petendi": cosa che, oltre a tutto, contrasterebbe con il principio della domanda, vigente nell’ambito del processo amministrativo: e, del resto – come, per l’appunto, affermato nella stessa decisione resa dalla Sezione – in una vicenda articolata come la presente, nella quale "l’insieme degli accadimenti verificatisi nel corso degli anni e le opportune considerazioni svolte dalle parti hanno dato luogo ad una fattispecie complessa, solo una precisa indicazione dei motivi di ricorso, dai quali potesse evincersi esattamente le ragioni dell’impugnativa verso un certo atto del procedimento potevano essere apprezzate dal giudice di primo grado, nel mentre indicazioni generiche non potevano che essere considerate illustrazioni di contorno della vicenda principale" (cfr. pag. 6 decisione cit.).

Le stesse considerazioni sono state estese dalla Sezione anche al quarto motivo di appello, affermando che "la sua genericità, indicata dal giudice di primo grado, va confermata… anche se, stante le altre illegittimità riscontrate, l’esame dello stesso anche in senso positivo non avrebbe potuto determinare un esito diverso" dell’impugnazione (cfr. ibidem, pag. 8).

La Sezione ha respinto anche il terzo motivo dell’appello, "pluriarticolato", rilevando che, "al di là della individuazione delle aree golenali, la particolarità del lotto, che non è inserito nell’ambito di un’area totalmente edificata, esclude la qualità della stessa di lotto intercluso, essendo evidente che una tale qualità, in tanto sussiste in quanto lo stesso si trovi circondato da altri lotti edificati in un’area totalmente urbanizzata, mentre è fuori discussione che qualsiasi intervento edificatorio nella zona, per le norme di salvaguardia, andava preceduto da uno specifico piano attuativo, che non c’è stato. Proprio ciò, vale a dire la mancata presentazione di un piano attuativo, esclude, conseguentemente, la conformità delle concessioni edilizie rispetto alle regole delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore del Comune di Genga" (cfr. ibidem, pag. 7 e ss.).

Le spese di giudizio sono state integralmente compensate tra le parti, "in ragione delle particolarità della situazione contenziosa".

2.1. Con la nuova impugnazione in epigrafe, C. chiede ora, à sensi dell’art. 46 del T.U. approvato con R.D. 26 giugno 1924 n. 1054 – presentemente sostituito dagli artt. 106 e 107 cod. proc. Amm. – e dell’art. 395, n. 4 c.p.c., la revocazione della testè descritta decisione n. 2292 del 2008, deducendo al riguardo, à sensi del medesimo art. 395 n. 4 c.p.c. e del già vigente art. 81, n. 4, del R.D. 17 agosto 1907 n. 642, la sussistenza di "errore assoluto su una dirimente circostanza di fatto presupposta alla base della decisione" assunta da questo giudice.

Secondo C., infatti, il Collegio che ha emanato la decisione qui impugnata avrebbe errato in fatto laddove non ha ravvisato la sussistenza dei presupposti per considerare l’area sulla quale sono state edificate le opere assentite dai titoli edilizi annullati quale lotto intercluso.

La qualità di lotto intercluso non potrebbe essere negata, secondo la tesi di C., sulla base del rilievo che l’area di intervento non è totalmente circondata da altri edifici, posto che nella specie essa è delimitata su due lati -rispettivamente – da una strada provinciale e da una gola rocciosa a strapiombo sul torrente Sentino.

Per quanto attiene ai residui due lati dell’area medesima C. afferma che la produzione fotografica e le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio effettuata in sede penale innanzi alla Corte d’Appello di Ancona evidenzierebbero la sussistenza di una sufficiente edificazione, tale – per l’appunto – da configurare nella specie l’ipotesi di un lotto intercluso, in quanto tale non abbisognevole di pianificazione secondaria per realizzare su di esso la costruzione di edifici.

C. afferma – altresì -che convincente comprova di tale circostanza sarebbe pure costituita dalla susseguente programmazione nel sito, avvenuta con altra variante di P.R.G., di interventi di recupero edilizio e urbanistico à sensi dell’art. 27 della L. 457 del 1978, i quali – per l’appunto – presupporrebbero ex se la preesistenza di un tessuto urbanistico risalente da riqualificare.

C. ha inoltre riproposto, a beneficio dell’eventuale giudizio rescissorio, le medesime censure da essa già svolte in sede di giudizio di appello.

2.2. Si è costituita in giudizio la Provincia di Ancona, chiedendo la reiezione dell’impugnazione.

2.3. Alla pubblica udienza del 24 maggio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

3.1. Tutto ciò premesso, il ricorso in revocazione proposto da C. va dichiarato inammissibile, posto che la deduzione del preteso errore di fatto nel quale questo giudice sarebbe incorso si sostanzia – per contro – nella parziale riproposizione del terzo motivo di ricorso in appello, laddove – per l’appunto – l’appellante aveva dedotto che il proprio intervento edilizio, a differenza di quanto già affermato dal giudice di primo grado, sarebbe compatibile con l’art. 24 delle N.T.A. della variante del 1993, ricadendo l’intervento medesimo in un lotto intercluso.

La Sezione, a tale riguardo, si è esplicitamente pronunciata confermando sul punto quanto già affermato dal T.A.R., ossia rilevando – come detto innanzi – che "al di là della individuazione delle aree golenali, la particolarità del lotto, che non è inserito nell’ambito di un’area totalmente edificata, esclude la qualità della stessa di lotto intercluso, essendo evidente che una tale qualità, in tanto sussiste in quanto lo stesso si trovi circondato da altri lotti edificati in un’area totalmente urbanizzata, mentre è fuori discussione che qualsiasi intervento edificatorio nella zona, per le norme di salvaguardia, andava preceduto da uno specifico piano attuativo, che non c’è stato" (cfr. pag. 7 della decisione qui impugnata); e, come è ben noto, al fine della stessa ammissibilità dell’istanza revocatoria, la stessa non deve riguardare un punto controverso sul quale il giudice si sia espressamente pronunciato (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 23 febbraio 2011 n. 1145, secondo cui l’errore di fatto idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395 n. 4, c.p.c. deve consistere in un travisamento di fatto costitutivo di quell’ "abbaglio dei sensi" che cade – per l’appunto – su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa.: la ratio di tale condivisibile orientamento si fonda sulla necessità di evitare che tale mezzo straordinario di impugnazione si trasformi in un gravame, teoricamente reiterabile più volte e idoneo a condizionare sine die il passaggio in giudicato di una pronuncia giurisdizionale).

3.2. Comunque sia, è ben noto che – in linea di principio – l’esonero dalla previa formazione dello strumento di pianificazione attuativa pur contemplato dal piano regolatore generale comunale può avvenire riguardo nell’ipotesi del c.d. "lotto intercluso", nel quale – per l’appunto – nessuno spazio si rinviene per un’ulteriore pianificazione (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 1 dicembre 2003 n. 7799) e che va conseguentemente identificato quale lotto residuale ubicato in area completamente urbanizzata (così, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 25 maggio 2002 n. 2592), fermo restando che – come del resto prospetta la stessa ricorrente – può essere al caso considerato intercluso anche il lotto affacciante sulla pubblica via e compreso tra edifici che sorgono su almeno due lati (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. V, 21 ottobre 1985 n. 339).

La giurisprudenza, pertanto, con riguardo alla disciplina legislativa edilizia attualmente in vigore, correntemente afferma che a’sensi dell’art. 9 del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 380, nella aree per le quali non sono stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi di quello generale è inibita qualsiasi attività edilizia, a meno che questa non debba essere svolta all’interno di un lotto intercluso (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 21 dicembre 2009 n. 8531), precisando peraltro, allo stesso tempo, che la relativa fattispecie costituisce una deroga eccezionale al divieto per le amministrazioni comunali di rilasciare un permesso di costruire in assenza della preventiva approvazione dei piani attuativi previsti dallo strumento urbanistico generale (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 10 giugno 2010 n. 3699).

In conseguenza di ciò, non è comunque sufficiente un qualunque stadio d’urbanizzazione di fatto per eludere l’obbligatorietà della pianificazione attuativa, essendo – semmai – doveroso il ricorso a quest’ultima fino a quando essa conservi una qualche utile funzione anche in aree compromesse o urbanizzate (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. V, 6 ottobre 2000 n. 5326), e fermo altresì restando che l’Amministrazione Comunale, prima di assentire l’edificazione diretta nel presupposto della sussistenza del lotto intercluso, deve accertare, motivando adeguatamente sul punto, che la pianificazione esecutiva non conservi un’utile funzione e non sia in grado di esprimere scelte programmatorie distinte rispetto a quelle contenute nel piano regolatore generale (Cons. Stato, Sez. IV, 10 giugno 2010 n. 3699).

Nel caso di specie ciò non è assodatamente avvenuto.

Ma anche in linea di mero fatto, se è vero che il lotto intercluso non è ravvisabile nelle ipotesi di zone solo parzialmente urbanizzate, oppure esposte al rischio di compromissione di valori urbanistici e nelle quali pertanto la pianificazione attuativa può ancora conseguire i propri effetti (così, ad es., la già citata decisione di Cons. Stato, Sez. V, n. 7799 del 2003), nel caso in esame non solo le pur eloquenti produzioni fotografiche presenti e gli stralci delle planimetrie e delle tavole del P.R.G. presenti nel fascicolo processuale di primo grado convincono sull’insussistenza dei requisiti richiesti per poter affermare che l’edificazione realizzata da G. – C. abbia riguardato un lotto intercluso: e ciò in quanto anche un’attenta lettura della stessa consulenza tecnica d’ufficio acquisita agli atti dell’anzidetto processo penale tenutosi innanzi alla Corte d’Appello di Ancona – e riproposta dalla parte ricorrente nella presente sede di giudizio – conduce alla medesima conclusione.

Da tale lettura, segnatamente di pag. 24 e ss., si ricava infatti che l’area in questione prospetta invero da un lato sulla Strada Provinciale di Frasassi e da un altro sulla forra del torrente Sentino, nel mentre sui due residui lati eventualmente rilevanti agli effetti dell’asserita interclusione prospettano una costruzione definita come "fienile" e dubitativamente configurata come adibita ad abitazione al primo piano, altra costruzione definita fienile e una rimessagarage aderente al muro di cinta del lotto occupato dalla discoteca.

Dalla stessa relazione si ricava che tali edificazioni sono comunque isolate anche rispetto al centro della stessa frazione di Pontebovesecco, dichiaratamente costituito da due sole abitazioni, corrispondenti "a un complesso edilizio articolato su tre livelli in due corpi di fabbrica…. Questo edificio passa dalla piccola piazza (poco più di uno svincolo) sul lato della provinciale ad una piazzetta a quota più elevata… nella quale si nota anche la pubblica illuminazione. Giungendo in tale spazio la strada cessa di essere asfaltata e prosegue semplicemente inghiaiata" (cfr. ibidem, pag. 28 e 29).

E’ dunque ben evidente che, anche in considerazione della stessa descrizione di tale contesto, non può ragionevolmente sostenersi che il lotto di proprietà di G.C. sia circondato nei suoi due lati "liberi" da aree totalmente edificate: dimodochè non può che concludersi per la necessità della previa formazione della pianificazione secondaria prevista dalla disciplina di piano come conditio sine qua non (nella specie, per l’appunto, disattesa)per il susseguente rilascio del titolo edilizio.

4. Le spese e gli onorari del giudizio seguono la regola della soccombenza, e sono liquidate nel dispositivo.

Va, inoltre, dichiarato irripetibile il contributo di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso in revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio, complessivamente liquidati nella misura di Euro 10.000,00.- (diecimila/00), oltre ad I.V.A. e C.P.A.

Dichiara irripetibile il contributo di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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