Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-10-2011, n. 5759 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia i signori C. G. e M. A. agivano per l’annullamento della concessione edilizia rilasciata in favore del sig. V. G. per la realizzazione di un fabbricato nel centro urbano di Polignano a Mare, nonché dei precedenti atti, compresi i pareri endoprocedimentali e la precedente concessione edilizia n.145 del 26 agosto 1992.

Nel ricorso veniva dedotto che nel progetto allegato alla domanda lo stato dei luoghi non era stato rappresentato in maniera corretta, che le opere autorizzate distavano meno di dieci metri dall’edificio antistante e che erano violate le regole sulle distanze minime stabilite per cortili ampi e per i patii.

Il giudice di primo grado con la sentenza impugnata provvedeva nel seguente modo:

riteneva sussistente il difetto di legittimazione a ricorrere in via principale della signora M., ma riteneva di convertire l’atto della medesima in intervento ad adiuvandum rispetto al ricorso del coniuge convivente G. C.; rigettava la eccezione di irricevibilità formulata con riferimento alla concessione edilizia n.145 del 1992; nel merito, accoglieva il ricorso per illegittimità della concessione n.44 del 1995, riscontrando la violazione della distanza minima imposta dall’art. 9, primo comma, d.m.1444/1968, che prescrive in tutti i casi per gli edifici in zone territoriali diverse dalla zona A la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Venivano assorbite le altre censure e ritenute non invocabili in senso contrario le richiamate circolari regionali (circolare del 4.5.1972, che reca mere istruzioni).

Avverso tale sentenza propone un primo appello il signor V. G., deducendo con un primo motivo la inammissibilità del ricorso originario, per mancata impugnativa della concessione n.145 del 1992; deduce inoltre la inapplicabilità alla fattispecie poiché la norma si riferisce alle costruzioni nuove e non alle sopraelevazioni di edifici esistenti. Inoltre, il PRG vigente all’epoca dei fatti faceva unicamente riferimento ai limiti di altezza e non di distanze; inoltre, il primo giudice ha errato nell’escludere l’applicabilità della deroga di cui al secondo comma dell’art. 9 su menzionato; il TAR non ha riconosciuto alla delibera comunale la natura di piano particolareggiato ma di mero studio urbanistico, travisando dalla intitolazione.

In ogni caso, secondo l’appello, i ricorrenti avrebbero dovuto anche impugnare in modo congiunto il PRG vigente per contrasto con il dm 1444/1968; si sostiene la erroneità della tesi della valenza di mera istruzione della circolare; in ordine alle censure assorbite se ne sostiene la infondatezza.

Si sono costituiti gli appellati C. e M. chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.

Avverso la stessa sentenza propone appello anche il Comune di Polignano a Mare che sostiene che la delibera approvata dalla Regione, diversamente da quanto sostenuto dal primo giudice, era un piano attuativo di secondo livello, che permetteva di derogare alla regola del limite di 10 metri indicato dal DM 1444/1968, con natura di strumento esecutivo e non già di mero studio. Il piano di cui si tratta costituisce strumento urbanistico di secondo livello che nella zona B ha consentito e consente di operare in deroga a quanto previsto dall’art. 9 DM 1444/1968 quanto a distanza tra pareti finestrate. Viene sostenuta anche la valenza vincolante della circolare, a differenza di quanto sostenuto dal primo giudice.

Con altro motivo di appello si sostiene la erroneità della sentenza impugnata laddove non ha ritenuto inammissibile o irricevibile il ricorso originario, per omessa impugnazione degli atti di pianificazione vigenti, per mancata impugnativa della precedente concessione del 1992.

Alla udienza pubblica dell’11 ottobre 2011 le due cause sono state trattenute in decisione.

Motivi della decisione

1.In via preliminare vanno riunite le due cause, perché si tratta di due appelli proposti avverso la medesima sentenza (n.2979 del 2007), ai sensi dell’art. 335 c.p.c., applicabile al processo amministrativo.

2. E’ infondato il primo motivo di appello (proposto con entrambi gli appelli), con il quale viene dedotta la inammissibilità del ricorso originario per mancata impugnativa della precedente concessione, risalente all’anno 1992, sopra indicata.

Infatti, oggetto reale della impugnativa era la concessione edilizia n.44 del 15 maggio 1995, rilasciata dal Comune "in sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge 47/1985 per le opere edilizie realizzate in difformità a piano terra e in variante alla concessione edilizia n.145 del 26.8.1992 per le opere da realizzarsi a primo e secondo piano e lastrico solare".

La lesione effettiva derivava, quindi, al ricorrente originario, dal secondo titolo abilitativo, per le violazioni addotte; del tutto irrilevante doveva quindi ritenersi la tuzioristica impugnativa della primitiva concessione.

3. E’ da rigettarsi anche l’altro motivo di appello, con il quale si deduce la inapplicabilità alla fattispecie del richiamato art. 9, comma 2 D.M. 2 aprile 1968 n.1444, perché esso sarebbe applicabile alle sole nuove costruzioni e non anche alle sopraelevazioni.

Infatti, è vero il contrario, secondo consolidata giurisprudenza (si veda, tra tante, in tal senso, Cassazione civile, sezione II, 27 marzo 2001, n.4413) che ritiene che la regola delle distanze legali tra costruzioni di cui al comma 2 dell’art. 9 sia applicabile anche alle sopraelevazioni.

4. Sono infondati anche gli altri motivi, sostenuti in entrambi gli appelli, con i quali si sostiene la erroneità della sentenza impugnata perchè: a) il PRG vigente all’epoca dei fatti faceva unicamente riferimento ai limiti di altezza e non di distanze; b) era ammessa la deroga di cui al secondo comma dell’art. 9 su menzionato; c)la delibera comunale avrebbe natura di piano particolareggiato e non di mero studio urbanistico, travisando dalla intitolazione.

Infatti, ad opinione del Collegio nella suddetta materia deve ritenersi che in tema di distanze tra costruzioni, applicabile, come detto, anche alle sopraelevazioni, l’adozione da parte dei Comuni di strumenti urbanistici contenenti disposizioni illegittime perché contrastanti con la norma di superiore livello dell’art. 9 DM 2 aprile 1968 n.1444 – che fissa in dieci metri la distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti – comporta l’obbligo per il giudice di applicare, in sostituzione delle disposizioni illegittime, quelle dello stesso strumento urbanistico, nella formulazione derivate, però, dalla inserzione in esso della regola sulla distanza fissata nel decreto ministeriale (così Cassazione civile, II, 27 marzo 2001, n.4413 su richiamata; così anche Consiglio di Stato, IV, 12 giugno 2007, n.3094).

La disposizione di cui all’art. 9, comma 1, n. 2, d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, essendo tassativa ed inderogabile, impone al proprietario dell’area confinante col muro finestrato altrui di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metri da quello, senza alcuna deroga, neppure per il caso in cui la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di queste conforme alle previsioni dell’art. 907 comma 3, c.c.

Le prescrizioni di cui al d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 integrano con efficacia precettiva il regime delle distanze nelle costruzioni, sicché l’inderogabile distanza di 10 m. tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici.

Conseguentemente, ogni previsione regolamentare in contrasto con l’anzidetto limite minimo è illegittima e va annullata ove oggetto di impugnazione, o comunque disapplicata, stante la sua automatica sostituzione con la clausola legale dettata dalla fonte sovraordinata.

L’art. 9 d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, che detta disposizioni in tema di distanze tra costruzioni, stante la natura di norma primaria, sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione.

La prescrizione di cui all’art. 9 d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 relativa alla distanza minima di 10 m. tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti è volta non alla tutela del diritto alla riservatezza, bensì alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienicosanitarie, ed è, dunque, tassativa ed inderogabile (per tali principi consolidati, ex plurimis, Consiglio Stato, sez. IV, 12 giugno 2007, n. 3094).

Sulla base dei su richiamati principi, ne deriva che, a differenza di quanto sostenuto con i motivi di appello:

a) non rileva la mancata impugnazione dello strumento urbanistico vigente perché in ogni caso prevale la regola di cui al richiamato decreto ministeriale in tema di distanze;

b) non rileva in tal senso né la asserita vincolatività della circolare regionale del 1972, né la eventuale natura di strumento urbanistico, piuttosto che di mero studio, della delibera regionale del 1974, in quanto, anche laddove si fosse trattato di uno strumento urbanistico, in ogni caso esso non sarebbe stato in grado di prevalere sulla regola di cui al richiamato decreto ministeriale in tema di distanze, in virtù della inderogabilità della regola e dell’effetto di sostituzione o disapplicazione richiamato sistematicamente dalla giurisprudenza.

5.Per le considerazioni sopra svolte, previa riunione, entrambi gli appelli vanno respinti, con conseguente conferma della impugnata sentenza.

La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sui ricorsi in appello in epigrafe, così provvede:

previa riunione, rigetta entrambi gli appelli, confermando la impugnata sentenza. Condanna le parti appellanti alla condanna delle spese del presente grado di giudizio in favore degli appellati C. e M., liquidandole in complessivi euro seimila, di cui tremila a carico del primo appellante e tremila a carico del secondo appellante,oltre, naturalmente, agli accessori di legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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