Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-02-2012, n. 2561 Responsabilità civile dei magistrati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

N.A. propone ricorso per cassazione L. n. 117 del 1988, ex art. 5, comma 4, affidato a nove motivi, avverso il decreto della Corte di appello di Roma che ha rigettato il reclamo contro il decreto di inammissibilità emesso dal Tribunale di Roma, ai sensi della L. n. 117 del 1988, art. 2, riguardo all’azione di risarcimento del danno proposta dal N. nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri per l’attività giudiziaria del magistrato D.G.M., all’epoca dei fatti sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, ed all’azione diretta svolta, in via alternativa e subordinata, ai sensi dell’art. 13 della legge, nei confronti dello stesso D.G..

Si è costituito con memoria difensiva D.G.M. mentre la Presidenza del Consiglio dei Ministri, non costituitasi nei termini di legge, ha depositato un mero atto di costituzione.

Motivi della decisione

1.- Con i primi sette motivi di ricorso si lamenta in generale l’insufficiente motivazione del decreto di inammissibilità dell’azione della L. n. 117 del 1988, ex art. 2.

In particolare:

a) con il primo motivo il ricorrente si duole dell’affermazione, secondo la quale "non ritiene la Corte di dover confutare una per una le numerose deduzioni difensive del reclamante, fondate sull’equivoca interpretazione di frasi di per sè assolutamente chiare oppure su sottili quanto irrilevanti sottigliezze lessicali";

b) con il secondo motivo si duole dell’affermazione della Corte di Appello secondo cui le censure mosse da esso reclamante all’operato di D.G.M. "hanno prevalentemente ad oggetto ad oggetto proprio l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di vantazione del fatto e delle prove" e, per la parte residua, sono manifestamente infondate;

c) con il terzo motivo il ricorrente denuncia insufficienza e contraddittorietà della motivazione, tale da configurare anche omissione di pronuncia, in quanto la Corte di Appello avrebbe fondato la propria motivazione su altre decisioni, una delle quali (la delibera del CSM) di carattere amministrativo ed un’altra (la sentenza penale di primo grado) totalmente riformata in appello;

d) con il quarto motivo si duole che la Corte di merito abbia eluso "l’esame dei singoli e plurimi aspetti donde andava affermata la responsabilità del dr. D.G. nei sensi prospettati in giudizio";

e) con il quinto motivo lamenta travisamento di fatto quanto all’affermazione secondo la quale "non è vero che il giudice di appello (penale) abbia argomentata mente affermato l’inesistenza della prova delle circostanze di fatto che il primo giudice, con motivazione ampia ed articolata, ha ritenuto provati, essendo vero, invece, che le menzionate circostanze non sono state ritenute idonee a realizzare gli estremi del reato contestato all’imputato";

f) con il sesto motivo denuncia contraddittorietà di motivazione sul punto relativo all’addebito, a lui mosso da D.G.M., di aver seguito nelle proprie decisioni un orientamento difforme da quello manifestato in precedenza da altri giudici della stessa sezione, trattandosi di circostanza smentita dagli atti;

g) con il settimo motivo denuncia vizio di motivazione e violazione delle norme e principi in tema di giudicato penale, assumendo che il decreto impugnato non avrebbe tenuto conto dei contenuti della sentenza assolutoria, in sede penale, della Corte di Appello di Napoli, "che davano atto della carenza di qualsiasi presupposto giuridico e fattuale dell’azione penale avviata a carico del dr. N. dal PM D.G. incorso quindi in (provata) colpa essendosi fondato su fatti inesistenti". 1.1.- Il ricorso è infondato.

Premesso che, nel caso di provvedimenti emessi nella forma del decreto, la motivazione può anche essere "soltanto sintetica" (si veda, al riguardo, Cass. 4 febbraio 2003 n. 1600, in tema di decreto della Corte di Appello sulla domanda di equa riparazione per mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001), è assorbente il rilievo che questa Corte ha affermato che "la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, e l’osservanza degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non richiedono che il giudice del merito dia conto di tutte le prove dedotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente e necessario che egli esponga in maniera concisa gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione" (Cass. 28 ottobre 2009 n. 22801).

Venendo ai motivi di ricorso, il primo, il secondo e il quarto sono inammissibili, non essendo possibile, nella prospettazione del ricorrente, individuare uno o più fatti (e non argomentazioni difensive) controversi e decisivi per il giudizio su cui la motivazione sarebbe insufficiente.

Il terzo motivo è infondato sotto entrambi i profili dedotti.

Non vi è, in primo luogo, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. – anche a voler ritenere ammissibile la censura, benchè non formulata con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, bensì al n. 3 – in quanto la Corte di Appello si è comunque pronunciata sul reclamo proposto e d’altro canto non sussiste un difetto assoluto di motivazione, ben potendo la motivazione essere formulata per relationem (ex multis, Cass. 11 febbraio 2011 n. 3367) ed anche con riguardo a "provvedimenti amministrativi" (Cass., SS.UU. 12 luglio 2010 n. 16277, in tema di impugnazione di sentenza disciplinare del CSM).

Non sussiste nemmeno vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, dovendosi riconoscere agli atti amministrativi il valore quanto meno di indizi di cui il giudicante può ben fare uso ai fini del proprio convincimento e rilevandosi in particolare, quanto alla decisione del CSM, che il ricorrente non deduce di averla impugnata, cosicchè il suo valore probatorio è rafforzato dalla acquiescenza prestata. Per quanto riguarda, poi, la sentenza penale di primo grado, nel decreto si da atto che essa è stata riformata in appello, ma si assume, con congrua motivazione, "che i fatti ritenuti certi dal PM D.G. e dai tre diversi organi decidenti sono i medesimi e che, ciò nonostante, a tali fatti viene attribuita rilevanza (o irrilevanza) penale completamente diversa". Il ricorrente, d’altro canto, neppure indica dove si trovi, tra gli atti del processo, detta sentenza, in spregio della pressione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

Il quinto motivo è inammissibile, ex art. 366 c.p.c., n. 6, fondandosi sulla sentenza di appello in sede penale senza indicazione – come già rilevato – del luogo in cui essa si trovi (alle pag. 16 e 19 del ricorso si da atto che essa sarebbe prodotta "sub 4", ma non si precisa se nel fascicolo di primo o di secondo grado).

Il sesto motivo è inammissibile, in quanto non è denunciabile con il rimedio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, la pretesa contrarietà della motivazione del provvedimento impugnato con gli atti del processo, non competendo del resto al giudice di legittimità procedere ad una nuova valutazione del materiale probatorio sottoposto al giudice del merito.

Il settimo motivo è infondato, non essendo provata dal solo rigetto della prospettazione accusatoria la colpa del PM procedente.

2.- Con l’ottavo motivo il ricorrente si duole della pronuncia di inammissibilità del reclamo proposto contro il diniego di ammissibilità dell’azione diretta svolta, in via alternativa e subordinata, ai sensi dell’art. 13 della legge, nei confronti dello stesso D.G..

2.1.- L’ottavo motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non essendo indicati i motivi, fra quelli indicati dall’art. 360 cod. proc. civ., per i quali si chiede la cassazione del decreto impugnato. Nel merito giova comunque ricordare che l’assoluzione dell’imputato, pur con sentenza passata in giudicato, non costituisce prova della colpa del PM procedente.

3.- Con il nono motivo il ricorrente si duole della mancata compensazione delle spese.

3.1.- Il nono motivo è inammissibile. Questa Corte ha infatti affermato che "in tema di compensazione delle spese processuali ex art. 92 cod. proc. civ., (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263), poichè il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite" (Cass. 6 ottobre 2011 n. 20457).

4.- Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna del ricorrente al rimborso delle spese in favore di D.G.M., liquidate in Euro 4.200, di cui Euro 4.000 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore di D.G.M., liquidate in Euro 4.200, di cui Euro 4.000 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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