Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 06-07-2011) 30-09-2011, n. 35660

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 14/8/10 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 30/6/10 dal Gip di quello stesso Tribunale nei confronti di C.S. per i reati di favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena in favore di B.G., aggravati ex L. n. 203 del 1991, art. 7.

L’accusa a carico del C. era di aver fornito al latitante, nei giorni precedenti la sua cattura avvenuta in (OMISSIS), viveri e generi di prima necessità. La prova in undici conversazioni intercettate tra il 28/6 ed il 26/7/07 tra il C. e la moglie (nove), la sorella R. e il cognato V.F. (una, la quarta) ed un soggetto non identificato (l’ultima). Il B., peraltro, era catturato in un bunker ricavato all’interno di una stalla (o "pagliaio", nel lessico della famiglia) in un fondo nella disponibilità del C. sito in località (OMISSIS) della frazione (OMISSIS) del comune di (OMISSIS), dove il (OMISSIS) era stata osservata la presenza (oltre al F. del V., che in seguito sarebbe arrestato con il catturando) del camion dello stesso C..

Le intercettazioni telefoniche, sia dei giorni anteriori che dei minuti dopo la cattura del B. e del giorno successivo, dimostravano il coinvolgimento del C., prima allusivo di cose e cibi da portare dove egli si trovava, con accenni altrove alla "nonna M." ((OMISSIS)) ed al "pagliaio", poi convulso nelle comunicazioni ed infine timoroso per la propria posizione. Di qui la complessiva gravità del quadro indiziario e le esigenze cautelari.

Ricorreva per cassazione il C. con atto a sua firma, deducendo violazione di legge penale sostanziale e processuale e vizio di motivazione: la gravità indiziaria era stata desunta da elementi equivoci interpretati dal giudice in maniera apodittica.

Allo stesso modo era stata affermata l’aggravante mafiosa e desunta da ciò l’esistenza di esigenze cautelari a suo carico. Chiedeva l’annullamento.

All’udienza camerale fissata per la discussione il PG concludeva per la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Nessuno compariva per il ricorrente.

Il ricorso, manifestamente infondato, è inammissibile.

E’ giurisprudenza pacifica di legittimità che in tema di misure cautelari personali (Cass., S.U., sent. n. 11 del 22/3/00, rv.

215828, ric. Audino), allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza (ciò che al presente si registra, anche la dedotta violazione di legge identificandosi con il vizio di motivazione), alla Suprema Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento dei risultati probatori.

Nel caso in esame ciò è avvenuto, il giudice di merito avendo rappresentato in modo adeguato, logico e corretto la gravità del quadro indiziario a carico del ricorrente, che appare peraltro di particolare evidenza: la sequenza delle conversazioni intercettate prima e dopo il clou della vicenda costituito dalla cattura del latitante danno del loro contenuto la sola possibile lettura logica, suffragata dalla personalità degli attori e dai loro reciproci rapporti anche familiari e dal loro collegamento anche di presenza coi luoghi in cui la latitanza si era protratta. L’identità del personaggio protetto e la sua posizione apicale nella famiglia di appartenenza, note entrambe a chi lo proteggeva, costituiscono l’aggravante sotto il profilo logicamente conseguente dell’agevolazione mafiosa.

Prevista ex lege (una volta accertato il quadro indiziario e apprezzato il suo spessore) la disposta misura cautelare ( art. 275 c.p.p., comma 3).

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue per legge ( art. 616 c.p.p.) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una congrua sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende. Trattandosi di soggetto in custodia cautelare in carcere va disposto ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa della ammende. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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