Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 06-07-2011) 30-09-2011, n. 35659

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 7/12/10 il Tribunale di Reggio Calabria rigettava l’istanza di riesame presentata da P.R. cl. (OMISSIS) avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti dal Gip di quello stesso Tribunale il 15/11/10 per il reato di associazione di tipo mafioso.

L’ordinanza custodiate seguiva ad una vasta indagine di Pg nei confronti della cosca Pesce di Rosarno, di cui P.R. era indicato come promotore ed organizzatore unitamente al fratello A. e al figlio di questo, F.. Storica ed accertata da sentenze passate in giudicato l’esistenza e l’operatività in (OMISSIS) della cosca Pesce, federata a quelle parimenti storielle dei (OMISSIS), pure di Rosarno, e dei M. e Piromalli di Gioia Tauro, tutte volte al controllo del territorio e delle sue attività economiche, primariamente quelle relative al porto commerciale di (OMISSIS). Capo cosca P.A., classe (OMISSIS), a lungo latitante. Le indagini traevano nuova linfa dalla collaborazione, datata 14/10/10, di P.G., figlia di P.S., fratello di A.; nipote pertanto del capo oggi detenuto e cugina del figlio ed erede F., latitante. La collaborazione seguiva quella, di qualche anno addietro, di F.R., a lungo convivente della famiglia di P.S., autoaccusatasi di essere una prestanome dei P.; era stata accertata la volontà di eliminarla da parte di e.F., dissuaso da ciò dal padre, la donna appartenendo a sua volta ad una potente famiglia alleata ed anche imparentata con il detto P.S. per via della moglie. Era seguito, ciononostante, l’omicidio di S. D., fidato killer dei Pesce.

Nel quadro la figura di P.R.. L’odierno indagato, fratello di P.A., si trova attualmente detenuto presso la casa circondariale di Viterbo, condannato alla pena dell’ergastolo per omicidio e associazione mafiosa. La nuova imputazione nasce da una conversazione ambientale intercettata in carcere tra P. A., il figlio F. e un nipote, pure di nome F. (cl. (OMISSIS), figlio del fratello Gi.). Parlano dell’acquisto a prezzo stracciato di un immobile di valore ed A. dice al figlio di spendere con il proprietario (ad evidenti fini persuasivi) il nome del fratello R., con il quale egli aveva già parlato.

Altro segno della perdurante appartenenza associativa nel colloquio in carcere tra F.A., moglie di P.S., ed il fratello F.G.. Nel corso della conversazione la donna riferisce le parole della suocera, B.G., secondo la quale in uno scritto a lei indirizzato il figlio A., detenuto, le diceva di dire ai fratelli (gli altri figli della B.) di fidarsi di suo figlio ( F.), che lui badava a tutta la famiglia e anche al fratello R. (zio di F.), al quale in particolare doveva pagare l’avvocato per farlo andare al carcere. A ciò si aggiungevano le dichiarazioni della collaboratrice P.G., che di P.R., che riconosceva in fotografia, ricordava il nomignolo di "(OMISSIS)" per via della benda portata su un occhio dal quale non vedeva. L’uomo, pur non avendo un ruolo specifico nella cosca, si avvantaggiava dei suoi proventi illeciti: gli erano pagati gli avvocati e "(OMISSIS)" ( P. F.) gli manteneva i figli (due gemelli). Su questa base, nei confronti del detto P.R., la gravità del quadro indiziario e le esigenze cautelari.

Ricorreva per cassazione il P. con distinti atti di due difensori. Il primo (ricorso datato 4/2/11) deduceva violazione di legge e vizio (apparenza) di motivazione: ciò sia per la pretesa estorsione nella compravendita del terreno, di cui non erano note le condotte nè se la compravendita vi fosse stata, sia per l’assistenza economica, del tutto lecita, prestata dai parenti al familiare detenuto e ai suoi figli. L’assenza di un ruolo associativo di P. R., e tanto meno come promotore ed organizzatore, veniva infine proprio dalle parole di P.G., citate in favore della tesi di accusa.

Il secondo difensore (ricorso datato 6/2/11) deduceva a sua volta violazione di legge penale sostanziale e processuale e vizio di motivazione per la mancata risposta dell’impugnata ordinanza del riesame a tutte le deduzioni difensive. Ad esempio nell’interrogatorio di garanzia P.A. aveva spiegato che il terreno di cui parlava col figlio F. si apparteneva a M.R. (nella circostanza chiamato suo "fratello" R.), allora detenuto nel carcere di Secondigliano. Nè aveva senso logico per lui spendere il nome del fratello R. che gli era subordinato e con cui, essendo entrambi detenuti, non aveva certo potuto parlare.

Allo stesso modo l’aiuto allo zio detenuto non era per P. F. un atto dovuto, tanto che la cognata di R. esprimeva il disagio dei parenti per dover elemosinare da lui i soldi per pagare gli avvocati. Assente comunque, anche dalle parole di P. G., un qualsiasi ruolo associativo di P.R., mai indagato fino ad oggi dalla sua ormai remota carcerazione, risalente al 1991.

All’udienza camerale fissata per la discussione il PG concludeva per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Nessuno compariva per il ricorrente.

Il ricorso, infondato, va respinto.

E’ giurisprudenza pacifica di legittimità che in tema di misure cautelari personali (Cass., S.U., sent. n. 11 del 22/3/00, rv.

215828, rie. Audino), allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza (ciò che al presente si registra, anche le dedotte violazioni di legge identificandosi con il vizio di motivazione), alla Suprema Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento dei risultati probatori.

Nel caso in esame ciò è avvenuto, il giudice di merito avendo rappresentato in modo adeguato, logico e corretto la gravita del quadro indiziario a carico del ricorrente. Per contro le difese hanno potuto solo dare una diversa lettura degli spunti indiziari in esame, che non scalfisce quella motivatamente data degli stessi dal giudicante. Fondamentale in proposito la spendita del nome di P. R. (evidentemente di persistente prestigio, nonostante la condanna a vita e la detenzione) da parte del pur autorevole fratello A. nella vicenda della possibile compravendita a prezzo particolarmente vantaggioso dell’immobile oggetto della conversazione. Implausibile che il proprietario da convincere (nella spiegazione data dell’episodio da P.A. nel suo interrogatorio di garanzia) fosse un personaggio altrettanto autorevole come M.R. e non si vede come la pretesa impossibilità di parlare con il fratello Rocco, detenuto a Viterbo, non valesse anche per il M., allora detenuto (secondo la stessa prospettazione difensiva) a Secondigliano.

Sulla liceità dell’aiuto economico prestato da P.F. allo zio condannato all’ergastolo e ai suoi figli (ma l’argomento è a questo punto secondario) si potrebbe convenire (e ciò vale in linea generale per tutti i casi consimili) laddove i proventi economici utilizzati a tal fine fossero stati altrettanto leciti o se della loro liceità il beneficiario (trattandosi in questo caso della sua attuale adesione associativa ed in posizione di perdurante preminenza) fosse ragionevolmente persuaso. Conseguente per legge (una volta accertato il quadro indiziario e apprezzato il suo spessore) la disposta misura cautelare ( art. 275 c.p.p., comma 3).

Al rigetto del ricorso segue ( art. 616 c.p.p.) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo.

Trattandosi di soggetto in custodia cautelare in carcere va disposto ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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