Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 06-07-2011) 30-09-2011, n. 35658 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Reggio Calabria investito ex art. 309 c.p.p., della richiesta di riesame proposta dall’indagato F.A., ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari della sede, che in data 4 agosto 2010 aveva applicato al ricorrente la custodia cautelare in carcere per il reato di partecipazione ad associazione per delinquere di tipo mafioso.

Secondo l’ipotesi accusatoria il F. doveva ritenersi, infatti, associato alla ‘ndrangheta, quale attivo partecipe della "società" di Siderno.

1.1. – Il Tribunale – riassunta la storia delle indagini, la ricostruzione dell’organizzazione criminale nelle sue varie articolazioni, le emergenze relative alla "società di Siderno", del mandamento Ionico ed esposti i principi di diritto cui intendeva ispirarsi – ha evidenziato che a carico del F., individuato con il soprannome di "(OMISSIS)", militavano, essenzialmente, i contenuti di conversazioni ambientali effettuate a partire dal mese di luglio del 2009 presso la lavanderia "(OMISSIS)", riconducibile a C.G. detto "(OMISSIS)" – ritenuto dai numerosi indagati un luogo ideale per discutere di argomenti illeciti, in quanto non raggiunto da copertura radiomobile il cui inequivoco tenore consentiva di ritenere raggiunta una grave e solida prova indiziaria.

Nel corso di una di tali conversazioni (la n. 1710), stando a quanto riportato nel provvedimento impugnato, C.G., parlando con B.G. ed E.R. – quest’ultimo un partecipe all’associazione residente all’estero (Canada) – aveva rilevato al suo interlocutore proveniente da (OMISSIS) "la copiata" (id est l’organigramma del locale di Siderno), precisando che il F., fratello del sindaco, era "capo società"; che " (OMISSIS)"-, identificato come M.V., ricopriva la carica di contabile, mentre G.A., quella di "mastro di giornata".

Con riferimento alle esigenze cautelari, i giudici del riesame, nel richiamare le condivisibili affermazioni svolte sul punto dai giudice che aveva disposto la misura, ha valorizzato, per un verso, l’elevato allarme sociale promanante dal reato associativo e dall’altro la piena operatività della presunzione relativa di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, che non poteva ritenersi superata, in assenza di elementi indicativi dell’avvenuta rescissione del vincolo associativo.

2. – Ma proposto ricorso l’indagato, il quale, per il tramite del suo difensore, ne ha richiesto l’annullamento, anche mediante apposita memoria difensiva, redatta il 4 luglio 2011. 2.1. – Con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denunzia violazione di legge in relazione all’attribuzione alla conversazione tra presenti captata il 31 luglio 2009, di valore di elemento indiziario di per sè sufficiente a giustificare l’adozione di una misura cautelare e non già di mera notizia di reato che richiede l’acquisizione di adeguati elementi di riscontro individualizzanti analogamente a quanto previsto dall’art. 192 c.p.p., comma 3 per la chiamata in correità, e ciò a ragione della ritenuta applicabilità del principio del contraddittorio, di rango costituzionale, nella materia delle intercettazioni.

2.2. – Con il secondo motivo si denunzia travisamento del fatto, mancata assunzione di prova decisiva nonchè mancanza e illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza.

Illogicamente e apoditticamente il Tribunale aveva attribuito grave valenza indiziaria a delle conversazioni tra terzi, nelle quali si sarebbe fatto riferimento, da parte di uno dei colloquianti, alla circostanza che il F. aveva una carica di ‘ndrangheta, quella di "capo società" e che in vista dello scioglimento del "locale" e della fondazione di un nuova "società sidernerse" era sua ferma intenzione opporsì al riconoscimento di tale carica all’indagato, sui cui conto esprimeva una valutazione negativa, senza adeguatamente valutare che, come evidenziato dal consulente di parte nella conversazione in questione, la parola (OMISSIS) non era stata in realtà pronunciata, riferendosi tali commenti ad altra persona (tale compare R.).

In particolare da parte del ricorrente si deduce che i giudici del riesame avevano totalmente travisato il contenuto delle memorie depositate, anche di natura tecnica, incongruamente definendo le argomentazioni difensive "un’operazione di ortopedia semantica" diretta a traplantare la parola "’Ngilla" nel corpo delle Intercettazioni, laddove la tesi difensiva consisteva nel dimostrare che il termine "Topo" non era stato mai pronunciato.

2.3. – Con il terzo motivo il ricorrente denunzia, infine, violazione dell’art. 275 c.p.p., comma 3, e vizi di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, affermate "in automatico" e senza neppure considerare l’evanescenza dei profili indiziali, atteso che non v’era traccia in atti di un concreto apporto personale dell’indagato all’organizzazione delittuosa e che mancavano indicatori fattuali sia della sua oggetti va partecipazione sia della sua condivisione del programma criminoso e che in ogni caso, del tutto incongrua risulta l’attribuzione all’Indagato di un ruolo di vertice fino al 31 luglio 2009, allorquando dal complesso delle conversazioni emergeva che da tempo la società era stata da chiusa con esclusione dell’indagato nei cui confronti il C. aveva formulato, oltretutto, giudizi assai poco lusinghieri.

2.4. – Quanto poi al contenuto della memoria difensiva, nella stessa si deduce, per un verso, l’estinzione ovvero l’inefficacia della misura cautelare disposta nei confronti dell’indagato il 4 agosto 2010, in quanto emessa "dal giudice naturale" (il GIP del Tribunale di Reggio Calabria), dopo più di venti giorni dalla notifica all’indagato di una precedente ordinanza cautelare emessa da giudice incompetente (il GIP del Tribunale di Locri); sotto altro profilo la contraddittorietà esistente tra la contestazione mossa al F. nel presente giudizio (l’essere stato il capo di un "locale") e le emergenze di altro procedimento pure promosso nei confronti del ricorrente (la così detta operazione "Recupero"), nel quale l’indagato era indicato come "partecipe" e "concorrente non associato".

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di F.A. è inammissibile perchè basata su motivi manifestamente infondati.

1.1. – Quanto all’eccezione di inefficacia della misura cautelare ex art. 27 c.p.p., va rilevato, anzitutto, che tale questione risulta prospettata dal ricorrente, per la prima volta, solo nella memoria redatta il 4 luglio 2011 e che la giurisprudenza di questa Corte è univoca nel ritenere "che il disposto dell’art. 606 c.p.p., comma 3, che prevede l’inammissibilità del ricorso se proposto per violazione di legge non dedotta con i motivi di appello, è applicabile anche nel caso di mancata deduzione in sede di riesame, poichè il relativo procedimento, avendo carattere sostanziale di Impugnazione del merito, si presenta equiparabile all’appello" (in termini, ex multis, Sez. 4, Sentenza n. 839 del 24/06/1993, dep. il 21/10/1993, Rv.

195324, imp. Foti).

Anche nel merito, per altro, l’eccezione di inefficacia della misura cautelare si rivela manifestamente infondata, ove si consideri che la norma invocata prevede una espressa sanzione di inefficacia solo per le misure cautelari disposte dal giudice che si dichiara incompetente e che la prevalente giurisprudenza di questa Corte ritiene che "l’inefficacia della misura coercitiva disposta dal giudice dichiaratosi incompetente è la sola conseguenza che la legge fa discendere dall’inutile decorso del termine di venti giorni di cui all’art. 27 c.p.p.,", avendo espressamente precisato che "tale inefficacia non impedisce al giudice competente per il procedimento di provvedere successivamente in modo autonomo all’applicazione della misura coercitiva sulla base degli stessi elementi" (in tal senso, ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 1291 del 25/03/1992, dep. il 20/05/1992, Rv. 190369, imp. Iannelli, e più di recente, Sez. 5, Sentenza n. 1146 del 21/10/2008, dep. il 13/01/2009, Rv. 242552, imp. Bisesti).

Sul punto non è superfluo rimarcare, del resto,che questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha da tempo affermato che il provvedimento cautelare emesso dal giudice competente si caratterizza per la completa "autonomia" rispetto al precedente ad effetti interinali e, quindi, non può essere definito di "conferma" o di "reiterazione" di quello precedente, in quanto appunto emesso da altro giudice sulla base di un’autonoma valutazione delle stesse condizioni legittimanti, ancorchè desunte dagli stessi fatti (in tal senso si veda Sez. U, Sentenza n. 15 del 18/06/1993, dep. il 29/07/1993, Rv. 194315, imp. Silvano).

1.2 – Anche le ulteriori deduzioni sviluppate dal ricorrente e volte a confutare, nelle loro poliformi articolazioni, la sussistenza di gravi indizi a carico del F., si rivelano manifestamente infondate.

L’indicazione di F.A., detto (OMISSIS), come "capo" della società di (OMISSIS) è fatta da C.G., coindagato nel medesimo procedimento come esponente apicale della ‘ndrangheta, nell’ambito di una conversazione con altro presunto sodale, B.G., emigrato in Canada e appartenente alla locale della città di Thunder Bay, ivi operativa.

La dichiarazione accusatoria nei riguardi dell’attuale ricorrente non proviene, quindi, da una chiamata in correità soggetta ai necessari riscontri anche individualizzanti In sede di valutazione cautelare della gravità indiziaria, a norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, e art. 192 c.p.p., comma 3, ma emerge dal contenuto di un colloquio tra altre persone che, sebbene vada anch’esso attentamente interpretato, costituisce comunque elemento indiziario che non richiede conferme esterne e, perciò, soggetto alla valutazione del giudice secondo gli ordinar criteri di apprezzamento (conformi: Sez. 5, n. 38413 del 07/02/2003, dep. 09/10/2003, Alvaro, Rv. 227411; Sez. 5, n. 13614 del 19/01/2001, dep. 04/04/2001, Primerano, Rv. 218392;

Sez. 1, n. 1683 del 17/12/2003, dep. 21/01/2004, Barillà, Rv.

227128).

Ciò posto, la contestazione della gravità indiziaria della predetta indicazione del F. come membro di rilievo della ‘ndrangheta, così come formulata negli scritti difensivi del ricorrente, risulta fondarsi vuoi su deduzioni in fatto (mancata pronuncia della parola "Topo" nel corso di un colloquio intercorso tra il C. e tale M.C. il (OMISSIS)) che oltre a confutare la rilevanza indiziaria di una soltanto delle plurime intercettazioni valorizzate dai giudici di merito, si fondano comunque su di un dato probatorio (una perizia trascrittiva di parte) ritenuta non attendibile dal giudici del riesame; vuoi su generiche asserzioni circa la povertà di contenuto della chiamata, esaurendosi essa nella mera indicazione della carica e grado criminale attribuiti all’indagato, senza che sia emerso il concreto contributo operativo apportato dallo stesso alla presunta associazione mafiosa; vuoi infine sulla mancanza di alcun ulteriore elemento che suffraghi e storicizzi la predetta indicazione accusatoria, come ad esempio dati di frequentazione, controlli di polizia, pregresse denunce o, comunque, sospetti oggettivabili circa l’asserito, organico inserimento dell’Indagato nell’ipotizzato sodalizio di stampo mafioso.

Al contrario l’ordinanza impugnata ha dato ragione, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, dell’identificazione della persona evocata nel colloquio tra terzi nell’attuale indagato, che risulta indicato, nella medesima conversazione, con modalità incontrovertibile (il soprannome (OMISSIS); e l’ulteriore qualificazione del sindaco).

Anche il contenuto della conversazione intercettata, con specifico riguardo all’indagato, è di sicura pregnanza contrariamente alla censura proposta e risulta adeguatamente illustrato nell’ordinanza impugnata. E ciò dicasi sia per il tenore intrinseco del colloquio, sia per il contesto in cui esso si svolge.

Quanto al contenuto, C.G., detto "(OMISSIS)", personaggio di sicuro rilievo nell’organigramma criminale mafioso della provincia reggina, versante ionico, come emerge dal richiami contenuti nell’ordinanza impugnata che non sono stati oggetto di specifica contestazione, informa il compaesano emigrato in Canada, B.G., a sua volta intraneo alla ‘ndrangheta operante in quel paese, dell’attuale situazione organizzativa del sodalizio nel territorio di (OMISSIS), menzionando i personaggi locali di maggiore rilievo, tra cui, appunto, l’indagato, al quale attribuisce un ruolo apicale.

Quanto al contesto della conversazione esso assicura, secondo la puntuale e ancora una volta ineccepibile motivazione dell’ordinanza impugnata, della genuinità e spontaneità del colloquio che si svolge in un locale non raggiunto neppure dal segnale di telefonia mobile, in un contesto di assoluta e sicura riservatezza, nel quale gli interlocutori non avevano alcuna remora a parlare liberamente e a scambiarsi le riservate notizie che sono state captate e che trovano giustificazione nel fatto che il B., sebbene intraneo alla cosca secondo i dati investigativi raccolti, essendo residente in Canada e arrivato a Siderno solo da pochi giorni, come da lui stesso dichiarato, era interessato ad apprendere dal qualificato e informato C., l’attuale situazione della "società" mafiosa di Siderno.

Parimenti, infondate devono ritenersi le censure di genericità dell’indicazione accusatola, consistente nel mero richiamo del grado criminale rivestito dal F. senza che sia emerso alcun concreto contributo apportato dall’indagato al presunto sodalizio mafioso, e di mancata storidzzazione ovvero oggettivazione della medesima indicazione, non risultando altri elementi obiettivi attestanti i pretesi vincoli criminali dell’indagato e il ruolo dallo stesso rivestito nell’ipotizzato sodalizio mafioso.

Ritiene al contrario la Corte, In linea con quanto affermato nell’ordinanza impugnata, pienamente plausibile che sussista l’alta probabilità di commissione del reato, in cui consiste la gravità indiziaria, a carico di una persona che, nel contesto di una riservata conversazione tra terzi, oggetto di captazione ambientale, sia spontaneamente indicata come appartenente alla ‘ndrangheta, con la specificazione del grado rivestito e del ruolo esercitato, ove l’indicazione sia diretta, provenendo da un membro di rango del medesimo sodalizio a conoscenza dell’organigramma criminale, e sia effettuata in termini di attualità e concretezza, per i richiamati coevi contatti dei conversanti con la persona indicata come esponente di rilievo della cosca locale, restando irrilevante la mancata attribuzione di specifici reati-fine alla persona chiamata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, ai fini dell’affermazione di responsabilità di taluno in ordine al reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, non occorre la prova che egli abbia personalmente posto in essere attività di tipo mafioso, essendo, al contrario, sufficiente la sola sua aggregazione a un’organizzazione le cui obiettive caratteristiche siano tati da farla rientrare nelle previsioni dell’art. 416 bis c.p. (Sez. 1, n. 13008 del 28/09/1998, dep. 11/12/1998, Bruno, Rv. 211897), essendo configurabile come partecipazione effettiva, e non meramente ideale, ad una associazione per delinquere di tipo mafioso, anche quella di chi si sia limitato a prestare la propria adesione, con impegno di messa a disposizione, per quanto necessario, della propria opera, all’associazione anzidetta, giacchè anche in tal modo il soggetto viene consapevolmente ad accrescere la potenziale capacità operativa e la temibllità dell’organizzazione delinquenziale (Sez. 1, n. 6992 del 30/01/1992, dep. 16/06/1992, Altadonna, Rv. 190643).

1.3. – La confermata gravità indiziaria con riguardo al delitto previsto dall’art. 416 bis c.p., priva di fondamento, infine, il terzo motivo di ricorso che nega la ricorrenza delle esigenze cautelari relativamente presunte ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, proprio sul presupposto, escluso nel caso in esame, di indizi di partecipazione al delitto di associazione di tipo mafioso non assurgenti alla soglia di gravità richiesta per l’applicazione della misura cautelare personale.

2. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente, per legge, al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), di una somma, congruamente determinabile in Euro 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *