Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 06-07-2011) 30-09-2011, n. 35657 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 23/9/10 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria confermava il decreto di convalida e sequestro preventivo di diversi beni e attività imprenditoriali, tra le quali la Nuova Edil di Aquino Giuseppe & C sas con sede in Marina di Gioiosa Ionica, emesso il 4/8/10 dal Gip dello stesso Tribunale nei confronti di A. R. e A.G., imputati al riguardo, in concorso tra loro, del reato (il capo O della cd. operazione "(OMISSIS)") di cui all’art. 513-bis c.p. e L. n. 203 del 1991, art. 7, per aver compiuto, nell’ambito di detta attività imprenditoriale, atti di illecita concorrenza con violenza e minaccia, interponendosi, in modo del tutto parassitario e in forza solo del loro nome, nelle forniture di ferro della zona tra le società produttrici (in particolare la Ferriera S.I.L.A. di Catania) e le ditte (costruttrici) acquirenti.

Si accertava in particolare che la ditta era provvista unicamente della sede legale (in comune peraltro con altre due ditte, entrambe riconducibili agli A.), mentre non risultava avere a disposizione un deposito per il materiale approvvigionato o mezzi di trasporto od operai per consegnarlo alle ditte acquirenti, laddove era preoccupazione degli A. a che sulla bolla di consegna destinata all’impresa edile richiedente non fosse mai indicato il prezzo del materiale, che gli A. stessi provvedevano poi a comunicare alla venditrice a mezzo fax o con altra bolla, evidentemente dopo avere calcolato la maggiorazione a loro favore.

Il meccanismo era chiarito da molte conversazioni telefoniche intercettate tra gli A. ( R. e poi anche G.) e soggetti dipendenti delle ditte in rapporti con loro, come C. G. della fornitrice Ferriera S.I.L.A. di Catania (7/4/08, 1/7/08, 2/7/08), l’acquirente B.C. (originario di Taurianova) della Foti Edilizia (23/4/08, 26/9/08, 24/10/08), il fornitore T.P. della Edil Trichilo di Lametia Terme (27/5/08), l’acquirente M.D.A. della Isca Dreams di Isca sullo Ionio (22/7/08); o tra P.M. e C. C. (il 29/8/07), entrambi della Gioiosa SCARL, consorzio di imprese che si era aggiudicato l’appalto per il collegamento tra la Jonio-Tirreno e la variante di Marina di Gioiosa Ionica della SS 106.

Di qui la conferma del sequestro.

Ricorreva per cassazione la difesa di A.G., chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione: 1) eccepiva l’illegittimità dell’ordinanza impugnata in ordine all’asserita confiscabilità delle quote societarie della "Nuova Edil" sas ai sensi dell’art. 416-bis c.p., comma 7; 2) eccepiva del pari l’illegittimità dell’ordinanza in ordine alla ritenuta ricorrenza del reato di cui all’art. 513-bis c.p. e del periculum in mora che avrebbe legittimato il sequestro:

ciò perchè la ricorrenza dell’illecita intermediazione maliosa e parassitaria era stata desunta dal mero contenuto di alcune intercettazioni telefoniche senz’altra indagine a riscontro (in particolare non era stato sentito alcun esponente delle ditte acquirenti che avesse riferito di violenze o di minacce subite; non si era tenuto conto, quanto al preteso monopolio, che erano fiorenti da decenni in Marina di Gioiosa Ionica almeno altre due ditte di fornitura del ferro all’ingrosso; era senza fondamento l’affermazione che il profitto ottenuto dai fratelli A. per la loro intermediazione fosse per ciò solo mafiosa e parassitaria). Ciò posto, la stessa prova intercettiva era stata travisata: venivano riesaminati i contenuti delle varie telefonate sopra ricordate, deducendosene l’assoluta legittimità (ciò valeva per quelle riportate tra A.R. ed il C. della Ferriera S.I.L.A. di Catania, per quella tra P. e C. del consorzio della Gioiosa SCARL, per quelle tra A.R. e G. ed il B., meglio chiarite da altre successive tra loro, o quella di A.R. con il M. dell’Isca Dreams, meglio chiarita da una tra gli stessi interlocutori del mese precedente). A riprova della liceità dei vari contatti venivano riportate anche conversazioni non riprodotte nell’ordinanza impugnata, come quella del 29/4/08 con tale V.E. di Isca sullo Ionio, possibile acquirente che aveva avuto il numero di telefono degli A. dal M., la conseguente a T.P. per la fornitura, altra del 22/5/08 con lo stesso V. che opta infine per una ditta di Cosenza per le migliori condizioni di vendita. Di qui la richiesta di annullamento.

All’udienza camerale fissata per la discussione il PG concludeva per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, i difensori presenti per il suo accoglimento.

Il ricorso è fondato.

Va preliminarmente osservato che il provvedimento ablatorio in questione è stato adottato in relazione al reato (aggravato L. n. 203 del 1991, ex art. 7) di cui all’art. 513-bis c.p., di guisa che di tale fattispecie è chiamato il Collegio ad occuparsi e cioè del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 c.p. (espressamente richiamato nella motivazione nel provvedimento impugnato) in ipotesi di condanna. Tanto premesso, giova richiamare la regola processuale secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in indicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis: Cass., 5, 13/10/09, n. 43068; Cass., 1, 20/10/10, n. 39821).

E nella fattispecie, ad avviso del Collegio, ricorre la violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti, requisito necessario per la legittima adozione del provvedimento in esame.

Nella valutazione del fumus quale presupposto del sequestro preventivo di cui all’art. 321 c.p.p., comma 1, infatti, il giudice non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pure sommariamente, le ragioni che rendono allo stato sostenibile l’impostazione accusatoria (Cass., 3, 05/05/10, n. 26197; Cass., 5, 15/07/08, n. 37695; Cass., 6, 12/01/10, n. 5452, la quale, in particolare, distingue il sequestro preventivo in generale e quello finalizzato alla confisca di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12- sexies, ritenuta figura autonoma rispetto alla fattispecie disciplinata dall’art. 321 c.p.p., comma 1).

Orbene, nel caso di specie i giudici di merito e in particolare quelli del riesame hanno considerato sussistente il fumus circa la ricorrenza dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 513-bis c.p., senza però indicare le condotte violente ovvero minacciose poste in essere dall’indagato ai fini di cui alla norma incriminatrice.

Secondo pacifica lezione ermeneutica, infatti, l’ambito di applicabilità dell’art. 513-bis c.p., che prevede come reato l’illecita concorrenza con minaccia o violenza, è ristretto alle condotte concorrenziali attuate con atti di coartazione che inibiscono la normale dinamica imprenditoriale, per cui vi rientrano i tipici comportamenti competitivi che si prestano ad essere realizzati con mezzi vessatori (quali il boicottaggio, lo storno di dipendenti, il rifiuto di contrattare, etc), rimanendo invece escluse, siccome riconducibili ad altre ipotesi di reato, le condotte di coloro i quali, in relazione all’esercizio di attività imprenditoriali o commerciali, compiano atti intimidatori al fine di contrastare od ostacolare l’altrui libera concorrenza (Cass., 2, 27/06/07, n. 35611). E comunque il delitto ex art. 513-bis c.p. punisce esclusivamente l’alterazione delle regole a presidio della libera concorrenza realizzata mediante minaccia o violenza (Cass., 2, 11/05/10, n. 20647, rv. 247272). Ciò posto, il Tribunale del riesame non ha indicato nella vicenda dedotta in giudizio alcuna condotta minacciosa ovvero violenta, neppure nelle forme note del metus indotto dalla mafiosità notoria dell’agente, specificando i destinatali di un siffatto atteggiamento: l’interposizione commerciale, civilisticamente riferibile al contratto di mediazione ovvero anche a una negoziazione atipica, sorretta però da una causa civile volta al perseguimento di finalità pratiche non contro legem ed anzi riconosciuta in tutte le pratiche di compravendita (mobiliare e immobiliare), non appare idonea ad integrare, sol perchè qualificata parassitaria, una condotta riconducibile al reato in esame, sia perchè oggettivamente esclusa dalla tipizzazione delittuosa sia perchè, nello specifico, consumata senza che il Tribunale ne abbia chiarito i profili violenti o minacciosi.

In tale prospettiva, poi, non soccorrono le conversazioni intercettate tra A.G. (ma soprattutto il fratello R.) ed il B. ed altri soggetti, dalle quali il Tribunale ha infatti omesso di enucleare i profili di interesse – ancorchè nei limiti del fumus – ai fini del riconoscimento in esse dei requisiti richiesti di violenza o minaccia volti all’alterazione della concorrenza.

Conclusivamente, l’impugnata ordinanza va cassata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame, ai fini della corretta individuazione dei profili in fatto idonei ad individuare, nella specie, il fumus del reato contestato.

P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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