Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-02-2012, n. 2551 Affitto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 28/1/2009 la Corte d’Appello – sezione specializzata agraria – di Salerno, in parziale accoglimento del gravame interposto dal sig. G.S. nei confronti della pronunzia Trib. Vallo della Lucania sezione specializzata agraria – 28/11/2007, dichiarato insussistente il giudicato dal giudice di prime cure ravvisato essersi formato in ordine alla decisione App. Salerno 15/3/2007, rigettava nel merito la domanda dal medesimo spiegata di corresponsione di indennità L. n. 203 del 1982, ex art. 17 per eseguiti miglioramenti sul fondo rustico sito in (OMISSIS) località (OMISSIS) di proprietà del sig. A.S. e da lui condotto in affitto giusta contratto per scrittura privata del 1971.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il G. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 11 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il Fallimento A.S..

Anteriormente all’udienza il sig. A.S. ha depositato in Cancelleria atto di nomina e di costituzione, deducendo essere stato il fallimento dichiarato chiuso il 9/2/2011 e di voler intervenire nel pendente giudizio.

L’intimata società Russo Restauri s.r.l. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Va pregiudizialmente dichiarata l’inammissibilità dell’intervento del sig. A.S., rispondendo ad orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità che l’intervento volontario del terzo, come esso deve qualificarsi non avendo l’ A. rivestito la qualità di parte nel giudizio di merito (cfr. Cass., 7/7/2004, n. 12448), non è invero consentito nel giudizio di cassazione, mancando una espressa previsione normativa, indispensabile nella disciplina di una fase processuale autonoma, e riferendosi l’art. 105 c.p.c. esclusivamente al giudizio di cognizione di primo grado, senza che, peraltro, possa configurarsi una questione di legittimità costituzionale della norma disciplinante l’intervento volontario, come sopra interpretata, con riferimento all’art. 24 Cost., giacchè la legittimità della norma limitativa di tale mezzo di tutela giurisdizionale discende dalla particolare natura strutturale e funzionale del giudizio dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione. Nè risulta, d’altro canto possibile la conversione in ricorso incidentale dell’atto con il quale il terzo pretenda di intervenire nel giudizio di legittimità, attesa la necessaria coincidenza fra legittimazione, attiva e passiva, all’impugnazione ed assunzione della qualità di parte nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata (v. Cass., Sez. Un., 23/1/2004, n. 1245, e, da ultimo, Cass., 17/5/2011, n. 10813).

Non è a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese, non risultando l’atto notificato ad alcuno.

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 16 e 17, art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito non abbia considerato i documenti prodotti, e in particolare l’"atto datato 30/10/71 (in cui è formalizzata l’espressione "si conviene")", ove risulta contemplata "l’autorizzazione – anzi l’onere – per il G. di mettere a coltura detto fondo".

Con il 2 motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 16, artt. 1362, 1322 e 1346 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole che la corte di merito non abbia considerato che "la scrittura del 31/10/71 soddisfaceva la previsione di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 16, comma 11 in forza anche della clausola "per cui le "piantagioni di essenze fruttifere" sarebbero state quelle "più indicate al terreno che verrà in superficie".

Lamenta non essersi esaminato il "comportamento delle parti" nonchè la relativa "valenza ermeneutica", come prospettato "in atto di appello – sia pure in replica alle avverse eccezioni", essendo pertanto la corte di merito incorsa in error in procedendo, ovvero, in subordine nella violazione dell’art. 112 c.p.c….".

Con il 3 motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 16, artt. 1362, 1708, 1710 e 1711 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Lamenta non essersi dalla corte di merito esaminata "la questione circa la valenza del mandato conferito dal concedente al fittavolo… prospettata in atto di appello.

Con il 4 motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 16 e 17, artt. 1362, 1708, 1710 e 1711 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che la corte di merito "ha erroneamente applicato la norma (e la giurisprudenza) in esame nella parte in cui la condizione del preventivo consenso viene prevista senza ulteriori specificazioni, sicchè deve intendersi soddisfatta ogniqualvolta la natura dell’intervento (appunto a trasformazione dei luoghi) e la finalità dell’intervento stesso (messa in produzione) implichino necessariamente tutte quelle modalità di esecuzione in cui si atomizza il concordato miglioramento".

Si duole non essersi da tale giudice considerato che ai sensi della L. n. 203 del 1982 la necessità della comunicazione di natura, caratteristiche e finalità delle opere sussiste solo in caso di richieste di parere all’Ispettorato Provinciale dell’agricoltura, e non anche in caso di accordo tra le parti.

Con il 5 motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato il giudicato esterno costituito dall’accertamento contenuto nella sentenza App. Salerno n. 186 del 30/3/2007.

Con il 6 motivo denunzia insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta la contraddittorietà della motivazione dell’impugnata sentenza laddove, da un canto, viene riconosciuta la sussistenza di alcuni miglioramenti nella "scrittura autorizzativa", e, per altro verso, non si liquida per essi alcuna indennità.

Con il 7 motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 16 e 17, art. 116 c.p.c., L. n. 15 del 1968, art. 4, artt. 2700, 2702 e 2720 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta non essersi dai giudici di merito idoneamente valorizzata la "dichiarazione dell’ A.S. in data 16/12/97".

Con l’8 (indicato come 7 bis) motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 2700 e 2702 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta non essersi idoneamente valutato il "materiale probatorio" acquisito, e in particolare "la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di cui alla L. n. 15 del 1968, art. 4".

Con il 9 (indicato come 8) motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 44 L.F., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta non essersi idoneamente considerato che la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di cui alla L. n. 15 del 1968, art. 4 resa dal fallito non è inefficace ex art. 44 L.F..

Con il 10 (indicato come 9) motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 16 e 17, art. 2724 c.c., art. 244 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che erroneamente non è stata dai giudici di merito ammessa l’articolata prova testimoniale.

Con l’11 (indicato come 10) motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 2736 c.c., art. 337 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; "error in procedendo", in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che le emergenze processuali non siano state dalla corte di merito considerate idonee a deferirsi d’ufficio da parte del giudice il giuramento suppletorio.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

L’art. 366-bis c.p.c. dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel non osservare i requisiti richiesti dallo schema delineato in giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), i quesiti recati dal ricorso risultano formulati in termini difformi dal suindicato schema, non recando la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti, del modo in cui i giudici del merito li hanno rispettivamente decisi (ovvero inammissibilmente tali indicazioni contemplando solo in parte, sostanziandosi nella richiesta di declaratoria di generici principi di diritto, a tale stregua privi di riferibilità al caso concreto in esame e di decisività tale da consentire, in base alla loro sola lettura (v.

Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519;

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che essi debbano richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr. Cass., 23/6/2008, n. 17064).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria ( art. 366-bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366-bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione "specificamente destinata" (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso i motivi 6 e 7 non recano la "chiara indicazione" – nei termini più sopra indicati – delle relative "ragioni", inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto e la sintesi de quibus possano, e a fortiori debbano, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658;

Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Va in ogni caso ribadito che l’interpretazione del contratto e degli altri atti negoziali è riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione (v. Cass. 21/4/2005, n. 8296).

Il sindacato di legittimità può avere cioè ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti bensì solamente la individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (v. Cass., 29/7/2004, n. 14495).

Orbene, nel caso il ricorrente denunzia vizio di violazione di norme di diritto, senza nemmeno dedurre in particolare nel quesito relativo al 1 motivo e all’8 (indicato come 7 bis) in ordine al criterio legale d’interpretazione asseritamente violato, e sotto quale profilo, nonchè al diverso criterio legale d’interpretazione che il giudice del merito avrebbe dovuto adottare per pervenire a diversa conclusione; ovvero senza compiutamente argomentare in ordine ai criteri ermeneutici di cui denunzia la violazione, laddove si limita a sostanzialmente riproporre le tesi non accolte dal giudice del gravame di merito, ovvero a formulare censure di carattere assolutamente generico o del tutto apodittiche.

A tale stregua viola invero il principio in base al quale la denunzia di violazione delle regole di ermeneutica contrattuale esige la specifica indicazione non solo dei canoni in concreto inosservati ma anche del modo mediante il quale si è realizzata la violazione, laddove la denunzia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice del merito (v. Cass., 16/1/2007, n. 828; Cass., 25/10/2006, n. 22899).

Nessuna delle due censure può infatti come nella specie risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice sostanziantesi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione.

L’odierno ricorrente trascura invero di considerare che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare v. Cass., 20/3/2006, n. 6091; Cass., 25/2/2004, n. 2803).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti – salvo i casi tassativamente previsti dalla legge – (v. Cass., 16/1/2007, n. 828; Cass., 25/10/2006, n. 22899; Cass., 8/5/2006, n. 10503; Cass., Sez. Un., 11 giugno 1998, n. 5802).

Il motivo di ricorso per cassazione con il quale alla sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non può essere d’altro canto utilizzato per far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, non valendo esso a proporre in particolare un pretesamente migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice, e non ai possibili vizi del relativo iter formativo (v.

Cass. 9/5/2003, n. 7058).

Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti come nella specie a risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Nè ricorre per altro verso vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433;

Cass., 28/6/1969, n. 2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190;

Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n. 1537).

Secondo risalente orientamento di questa Corte, al giudice di merito non può infatti imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo.

In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse.

Sotto altro profilo, risponde a principio del pari consolidato nella giurisprudenza di legittimità che quella data dal giudice al contratto non deve essere d’altro canto l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto ma una delle possibili e plausibili interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (v. Cass., 2/5/2006, n. 10131; Cass., 25/10/2006, n. 22899).

Orbene, a parte il rilievo che l’impugnata sentenza risulta invero correttamente informata al principio dell’assoluta irrilevanza, in sede giudiziaria, ai fini del decidere, delle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà specie allorquando provengono da una delle parti o dal dante causa di questa (cfr. Cass., 28/9/2011, n. 19789), non è da sottacersi che nella specie il ricorrente non coglie in realtà la ratio decidendi sulla quale si fonda al riguardo l’impugnata decisione, consistente nell’essere la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà in argomento successiva invero all’esecuzione delle opere in cui si sostanziano i contestati miglioramenti de quibus (cfr. Cass., 28/9/2011, n. 19789).

Quanto al 2, al 3, al 7, all’8 (indicato come 7 bis) e al 9 (indicato come 8) motivo va ulteriormente osservato che il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato non rimane invero violato allorquando il giudice pronunzi in base a ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti (v. Cass., 30/8/1997, n. 8258), laddove la mancata o erronea valutazione di atti e documenti va debitamente denunziata con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Orbene, a fronte di denunzie di violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 non risultano invero sviluppati argomenti in diritto con i contenuti richiesti dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, la critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel decidere le questioni giuridiche poste dalla controversia risultando dal ricorrente invero operata sul piano dell’asseritamente erronea valutazione dell’asserto probatorio, senza che risulti peraltro proposta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass., 7/5/2007, n. 10295; Cass., 16/1/2007, n. 828. Cfr. altresì Cass., 27/7/2006, n. 17145), in tali limiti essendo siffatta violazione apprezzabile in sede di ricorso per cassazione (e non già in termini di violazione di legge come dal ricorrente indicato al 7 e all’8 motivo), dovendo emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.

In ordine in particolare al 5 motivo, va posto in rilievo che la doglianza concernente la mancata considerazione da parte della corte di merito del giudicato esterno costituito dall’accertamento contenuto nella sentenza App. Salerno n. 186 del 30/3/2007 è inammissibile, (anche) in ragione della decisiva circostanza che la sentenza prodotta in atti dal ricorrente non reca invero, al fine di dare la prova della relativa formazione, l’attestazione di cancelleria ex art. 124 disp. att. c.p.c. dell’intervenuto passaggio in giudicato, in defettibilmente necessaria perchè questo possa fare stato (pure) in questo giudizio (v. Cass., 8/5/2009, n. 10623; Cass., 24/11/2008, n. 27881; Cass., 2/4/2008, n. 8478; Cass., 22/5/2007, n. 11889; Cass., 3/11/2006, n. 23567).

Relativamente all’1 (indicato come 10) motivo va infine sottolineato coinè esso si ponga in contrasto, senza che risultano dedotti argomenti che inducano a rimeditarlo, con il consolidato orientamento, cui la corte di merito si è nella specie invero conformata, in base al quale essendo il giuramento suppletorio un mezzo di prova eccezionalmente sottratto alla disponibilità delle parti e ammissibile d’ufficio, la valutazione della relativa opportunità è completamente rimessa al prudente criterio discrezionale del giudice del merito, e l’istanza di parte volta alla sua ammissione non costituisce presupposto necessario della decisione istruttoria al riguardo, ma ha valore di semplice sollecitazione dell’esercizio del potere.

Pertanto, se il giudice del merito non ritiene di disporlo, non è tenuto a spiegarne le ragioni, vi sia o meno istanza di parte; mentre se lo dispone la sua decisione è sindacabile in sede di legittimità (solo) sotto il profilo dell’adeguatezza e logicità della motivazione in ordine alla sussistenza della indispensabile condizione della semipiena probatio e alla scelta della parte cui deferirlo, trattandosi di valutazioni implicanti indagini di fatto al medesimo spettanti (v. Cass., 11/6/1999, n. 5752; Cass., 22/7/1999, n. 7886; Cass., 19/06/1995, n. 6917; Cass., 13/4/1987, n. 3672).

Emerge dunque evidente, alla stregua di tutto quanto sopra rilevato ed esposto, come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr.

Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente Fallimento A.S., seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore dell’altra intimata società Russo Restauri s.r.l., non avendo la medesima svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge. Dichiara inammissibile l’intervento del sig. A.S..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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