Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-07-2011) 30-09-2011, n. 35619

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Palermo, adito ex art. 309 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza in data 22 marzo 2011 del Giudice per le indagini preliminari in sede con la quale era stata applicata ad R.A. la misura della custodia in carcere in ordine ai reati di favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena in favore di M.G., aggravati dal fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso "Cosa Nostra" in ambito agrigentino e in particolare di Siculiana (in Favara, in epoca anteriore e prossima al 17 novembre 2009).

2. Rilevava il Tribunale che sulla base dei dati di indagine emergeva che R. aveva messo a disposizione del M. una pertinenza della sua abitazione in (OMISSIS), favorendone la latitanza, essendo il M. raggiunto da ordinanza applicativa della custodia in carcere emessa dal G.i.p. di Palermo in data 30 luglio 2007 per i reati di partecipazione ad associazione mafiosa, concorso in tentato omicidio pluriaggravato e illegale detenzione e porto di armi, e successivamente aiutando il medesimo a sottrarsi alla esecuzione della pena dell’ergastolo di cui all’ordine di carcerazione del 13 ottobre 2004 della Procura generale di Palermo.

Gli elementi indiziari derivavano dall’esito di una perquisizione eseguita il 17 novembre 2009 nel magazzino annesso all’abitazione del R., in cui si rinvenivano tracce di frequentazione abitativa e in particolare vari oggetti personali e tracce biologiche sicuramente riconducibili al latitante M..

3. Ricorre per cassazione l’indagato a mezzo del difensore avv. Angelo Nicotra, che espone i seguenti motivi.

3.1, Violazione dei criteri di apprezzamento probatorio in punto di gravi indizi di colpevolezza.

Sotto un primo profilo, si rileva che l’ordinanza impugnata ha letteralmente riprodotto le considerazioni contenute nella richiesta del P.m. trascurando di considerare che nella stessa ordinanza cautelare il G.i.p. aveva dovuto prendere atto che alcuni degli elementi addotti (dichiarazioni del R.) non erano stati trasmessi.

Sotto altro profilo, si osserva che non si è tenuto conto dei rilievi difensivi circa la inattendibilità dei risultati di laboratorio attinenti al profilo genetico dei campioni esaminati, trattandosi, come riconosciuto nella ordinanza impugnata, di un profilo genetico parziale, il cui campione è andato distrutto, e nulla dicendosi sull’esito rappresentato dall’elettroferogramma, che rappresenta graficamente la base per determinare il profilo genetico dell’individuo, tradotto in tabella numerica.

Quanto agli oggetti rinvenuti nel magazzino, scarpe, candeline, da esse sono state tratte nulla più che congetture circa l’appartenenza al M..

3.2 Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di configurabilità della ipotesi di cui all’art. 390 cod. pen., non essendosi data dimostrazione circa il fatto che la data indicata in imputazione relativamente al provvedimento di emissione dell’ordine di esecuzione (17 aprile 2010) fosse frutto di un errore materiale.

3.3. Vizio di motivazione e violazione di legge in punto di ritenuta configurabilità dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, in mancanza di elementi idonei a indicare che la condotta contestata fosse finalizzata ad agevolare l’associazione mafiosa, operante nel territorio di Siculiana, località distante da quella di Favara.

3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di sussistenza di esigenze cautelari, non essendosi tenuto in alcun conto che il fatto risale al 17 novembre 2009.

Motivi della decisione

1. Il ricorso appare manifestamente infondato o per altro verso inammissibile.

2. Va subito precisato che l’ordinanza impugnata non si fonda affatto, neppure in minima parte, sulle dichiarazioni rese dall’indagato, limitandosi solo a notare che a fronte del corposo materiale indiziario il R. non aveva ritenuto di offrire spiegazioni.

3. Quanto alla dedotta inattendibilità dei risultati di laboratorio aventi ad oggetto le tracce biologiche rinvenute nella pertinenza dell’abitazione dell’indagato e ritenute riconducibili al latitante M., va osservato che si tratta di osservazione correttamente valutata nell’ordinanza impugnata, che ha riconosciuto che la ritenuta "compatibilità" dei reperti con il DNA del M. non era elemento da solo idoneo a condurre a un giudizio di certezza in tal senso.

Il ricorrente non considera però che la ratio decidendi si fonda essenzialmente su altri elementi di fatto (essenzialmente i reperti ritrovati nel nascondiglio (cartoline, oggetti personali, riviste, e altro) motivatamente ritenuti collegabili senza ombra di dubbio alla presenza nel locale del latitante: elementi, questi, specificamente illustrati nella loro portata indiziaria e liquidati genericamente nel ricorso come mere congetture.

4. Manifestamente infondata appare poi la deduzione, relativa alla contestazione di cui all’art. 390 cod. pen., circa l’erroneità della data indicata nell’atto di addebito (17 aprile 2010) relativamente al provvedimento di emissione dell’ordine di esecuzione, posto che, come messo egregiamente in risalto dall’ordinanza impugnata, tale indicazione è evidentemente il frutto di un errore materiale, che non poteva determinare alcuna incertezza sull’addebito, dato che nel relativo capo si fa riferimento all’ordine di esecuzione n. 623/04 SIEP della Procura generale di Palermo (emesso in data 13 ottobre 2004).

5. Del tutto generico appare il motivo relativo alla contestata aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Correttamente l’ordinanza impugnata ha osservato che dato il ruolo apicale rivestito dal M. nel sodalizio mafioso, l’aiuto prestato dal R. a sottrarsi alle ricerche dell’autorità costituiva oggettivamente agevolazione dell’associazione.

6. Infine, l’ultimo motivo, relativo alle esigenze cautelari, non tiene in alcun conto le considerazioni svolte dal Tribunale circa la gravita della condotta posta in essere dal R., di per sè indicativa di una propensione alla reiterazione di analoghe condotte.

7. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in relazione alle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro mille.

La Cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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