Cass. civ. Sez. I, Sent., 23-02-2012, n. 2775 Decreto di espropriazione Dichiarazione di pubblica utilità Occupazione d’urgenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.A., L.M. e L.G. – sull’assunto che i loro terreni erano stati occupati a fini espropriativi dal Comune di Lamezia Terme e dalle soc. cooperative Alba ed Arcobaleno per la realizzazione di edifici di ERP ma che i decreti di esproprio erano stati emessi e notificati solo il 22.3.1989, quando erano scaduti i termini delle occupazioni dei fondi, e sul rilievo della irrisorietà delle indennità offerte – convennero gli esproprianti innanzi al Tribunale di Lamezia Terme per ottenere il risarcimento dei danni cagionati dalla irreversibile trasformazione dei terreni, avveratasi il 29.11.1986. Il Tribunale, costituitisi i convenuti, con sentenza 6.4.2000 condannò il Comune in solido con le cooperative a pagare alle attrici le somme determinate per risarcimento danni, rivalutazione ed accessori. Il Comune propose appello sostenendo la carenza della propria legittimazione passiva, essa a suo avviso spettando alle sole cooperative, deducendo l’errore commesso nel non aver considerato che l’esproprio era intervenuto tempestivamente per avvenuta proroga ex L. n. 47 del 1988 dei termini di occupazione attuata con decreto del Presidente della Provincia 10.3.1988, e censurando l’eccessività della stima. Si costituirono le Cooperative e L.M., erede di Lo.Ma., e, per L. G., l’erede G.G.. La Corte di Appello di Catanzaro con sentenza 13.4.2010 ha rigettato l’appello affermando, per quel che rileva in questa sede:

che non aveva fondamento la censura relativa alla mancata applicazione della proroga ex L. n. 47 del 1988 ed alla correlata disapplicazione del decreto di proroga 10.3.1988 del Presidente della Provincia posto che l’originaria durata triennale della occupazione dell’11.4.1983 aveva visto applicata la proroga D.L. n. 901 del 1984, ex art. 1, comma 5 bis (conv. in L. n. 42 del 1985) per un anno e quindi scadere l’occupazione l’11.4.1987, sì che la proroga di cui al D.L. 29 dicembre 1987, n. 534 (conv. in L. n. 47 del 1988) era intervenuta ad occupazione già divenuta illegittima con la conseguenza per la quale doveva disapplicarsi il decreto del Presidente attuativo della tardiva proroga e ritenersi inutiliter datum il decreto di esproprio 22.3.1989, che delle conseguenze della in tal modo avverata occupazione acquisitiva erano solidalmente responsabili il Comune e le Cooperative Alba ed Arcobaleno delegate L. n. 865 del 1971, ex art. 60;

che, in relazione alle eventuali contestazioni sul valore del terreno, quale determinato dal primo giudice, emergeva che le parti appellate non avevano sollevato problemi con appello incidentale sì che la pronunzia di incostituzionalità di cui alla sentenza 348 del 2007 non poteva avere incidenza in melius;

che nell’appello non veniva formulata alcuna specifica censura sulla determinazione del valore del fabbricato che pertanto, determinato nella somma di L. 40 milioni, dovevasi ritenere coperto da giudicato;

che esaminando le critiche formulate al criterio di stima adottato dal CTU si perveniva, sulla base del valore unitario di lire 62.000 a mq, a somme corrispondenti a quelle liquidate in primo grado, senza che, in difetto di appello incidentale, si potesse comunque pervenire ad una maggior liquidazione per effetto del nuovo criterio introdotto dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89;

che, quanto alle spese, il Comune alla stregua del criterio della soccombenza andava condannato alla refusione in favore di L. M. e G.G..

Per la cassazione di tale sentenza il Comune di Lamezia Terme ha proposto ricorso il 4.11.2010 con quattro motivi ai quali si è opposto il G. con controricorso 10.12.2010 nel mentre non hanno opposto difese gli intimati L.M. e Cooperative Alba ed Arcobaleno, Il Comune ed il G. hanno depositato memorie finali.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere rigettato, nessuna condivisione meritando le proposte censure.

Primo motivo: con esso si denunzia la violazione della L. 865 del 1971, art. 20 e la abnorme disapplicazione del decreto presidenziale 11.4.1983: ad avviso del ricorrente Comune il decreto di esproprio era intervenuto tempestivamente dato che, trattandosi di esproprio di terreni per interventi di ERP nell’ambito del vigente PEEP, la dichiarazione di p.u. aveva la durata di anni 18 come prorogata D.L. n. 901 del 1984, ex art. 1 bis introdotto dalla Legge di conversione n. 42 del 1985. Il motivo è totalmente infondato: la durata diciottennale o prorogata D.L. n. 901 del 1984, ex art. 1 bis (con riguardo al termine di cui alla L. n. 167 del 1962, art. 9) ha rilievo solo per la valutazione di efficacia del decreto di esproprio in relazione alla efficacia della dichiarazione di pubblica utilità insita nel PEEP (da ultimo Cass. 278 del 2011 e Cass. 18984 del 2011, inesattamente invocata in memoria dal Comune) ma non ha alcuna interferenza con la particolare e concorrente condizione di efficacia del decreto di esproprio costituita dalla permanenza della occupazione legittima, nel termine originario od in quello prorogato ex lege (tra le tante Cass. 22399 e 4428 del 2008).

E pertanto, scaduto il termine di tale occupazione (triennale e prorogata ex lege di un altro anno) l’11.4.1987, esattamente è stata dalla Corte di Catanzaro affermata la irrilevanza della tardiva proroga di cui al D.L. 29 dicembre 1987, n. 534, art. 14 (conv. in L. n. 47 del 1988) così come di ogni altra proroga che fosse intervenuta dopo la scadenza del termine originano e/o prorogato, ed esattamente è stata pertanto da tal giudice affermata la inefficacia del tardivo decreto di esproprio 22.3.1989 e la sua disapplicabilità de piano. A nulla rileva infatti che al momento della trasformazione del fondo a termini di occupazione scaduti fosse ancora efficace la dichiarazione di p.u., la tempestività del decreto di esproprio dovendo correlarsi al rispetto di entrambi i termini e semmai tal permanente efficacia avendo residuo rilievo al solo fine di distinguere le occupazioni acquisitive da quelle "usurpative". E pertanto, realizzatasi la condizione di inefficacia assorbente costituita dalla scadenza della occupazione legittima prima del decreto, e quindi avveratasi la vicenda di occupazione acquisitiva, esattamente è stato disapplicato il provvedimento applicativo della ulteriore proroga della occupazione: basti al proposito rammentare che da questa Corte è stata sempre affermata la disapplicabilità del decreto presidenziale attuativo di una proroga tardivamente disposta (Cass. 3177 del 2010, 2811 del 2006, 16204 del 2004).

Secondo motivo: con esso si lamenta la violazione della L. n. 865 del 1971, art. 20 perpetrata facendo decorrere il termine della occupazione legittima e della relativa proroga dalla data del decreto 11.4.1983 di occupazione e non – come dovuto – dalla successiva data (11.6.1983) di immissione in possesso, data mai contestata, con la conseguenza di vedere emessa condanna al pagamento di rivalutazione ed interessi dall’11.4.1987 e non dall’11.6.1987. La censura, astrattamente non implausibile, è però inammissibile perchè non si dice sia stata proposta nei motivi di appello (ed è infatti estranea alle conclusioni del Comune, trascritte in sentenza) dove avrebbe dovuto trovare posto, essendo stata la liquidazione interamente operata dal Tribunale e sol confermata in appello.

Terzo motivo: il Comune con tal motivo lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c. per avere gravato l’Ente , che non era soccombente in appello, delle spese degli appellati. La censura è del tutto infondata dato che le ragioni dell’appello sono state tutte disattese e solo la conferma del petitum, per difetto di appello incidentale, ha imposto la conferma del quantum già liquidato in luogo della maggior somma spettante per l’intervento di Corte Cost.

349 del 2007. La soccombenza vi è pervero stata sia adottando il criterio dell’esito finale della lite (il Comune è stato ritenuto debitore) sia ricorrendo a quello dell’esito del grado (si è deciso il rigetto di tutti i motivi).

Quarto motivo: esso lamenta la erronea affermazione per la quale il valore del fabbricato non sarebbe stato censurato in appello, là dove, a ben leggerne la pagina 8, si chiedeva rinnovazione della CTU al fine di accertare l’esatto valore del bene di proprietà delle appellate, e quindi chiaramente volendosi riferire sia al capannone sia al terreno (il capannone essendo stato stimato dal CTU d’appello nella minor somma di L. 22.704.150). Anche tal motivo è infondato.

La Corte ha interpretato l’appello e ne ha ricavato l’opinione che fosse contestato solo il valore a mq del terreno: il motivo si limita ad affermare che il petitum del gravame coinvolgeva anche il valore del fabbricato, posto che la sentenza del primo giudice aveva "accomunato" i due dati in un unico disposto condannatorio, ma non evidenzia elementi testuali per far ritenere illogica l’interpretazione data dalla Corte al motivo di appello a fronte di un gravame invece diretto a trattare distintamente le questioni.

Respinto il ricorso, il ricorrente Comune dovrà versare al controricorrente le spese di giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente Comune di Lamezia Terme a corrispondere a G.G. la somma di Euro 9.200,00 per spese di giudizio (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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