Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-07-2011) 30-09-2011, n. 35614 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Cagliari, adito con richiesta di riesame, confermava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale che aveva applicato il 28 dicembre 2010 a A.R. la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di concorso nell’acquisto di cocaina.

Secondo l’ordinanza cautelare, l’ A. si era accordato con il cugino A.S. per acquistare un chilo di cocaina da un cittadino belga, Ae.Fr., stanziando la somma di 12.000 Euro, sostanza che non giungeva agli acquirenti per effetto della condotta infedele dei corrieri.

Il Tribunale evidenziava che l’indagato, condannato per rapina ad un furgone portavalori, si era reso latitante sin dal 2002, mantenendo i contatti con sua cerchia familiare. Nonostante la mancanza di risorse reddituali lecite e la modesta situazione economica della famiglia di appartenenza, il predetto riusciva a costruire nell’agosto 2008 una villetta a Talana, che gli veniva sequestrata, in base alla L. n. 356 del 1992, art. 12-sexies.

In tale contesto, il cugino A.S. concludeva il 15 agosto 2008 un accordo con il belga Ae., che prevedeva la cessione di un chilo di cocaina dietro il pagamento di 12.000 Euro, finanziati da una terza persona. Peraltro, l’acquisto si era rivelato un pessimo affare per la scarsa qualità della droga. Il S. aveva pertanto cercato di recuperare dall’ Ae. il denaro pagato, anche perchè doveva restituirli al finanziatore, ricevendone nel gennaio 2009 solo una parte e insistendo per ottenerne la restante, sempre rappresentando alla controparte l’obbligo di restituzione dei soldi al finanziatore.

In particolare, l’ Ae., sentito per rogatoria internazionale, aveva ammesso l’operazione di vendita, dichiarando altresì di essere a conoscenza che il finanziamento proveniva da un amico del A. S. che aveva utilizzato una somma di danaro (conservata in una busta sotto vuoto) che in origine intendeva destinare per l’acquisto di infissi per una casa in via di costruzione.

Quanto al ruolo del A.R., emergeva dalle conversazioni intercettate la presenza di un finanziatore al quale dovevano essere restituiti i soldi investiti dal S., anche perchè a metà del mese di marzo 2009 aveva avuto un problema e doveva fare "delle perizie", ragion per cui doveva rientrare "per forza" del danaro. Era risultato che, in quello stesso periodo, A.R. aveva avuto necessità economiche, dovute alla nascita della figlia i primi di aprile e allo svolgimento di un accertamento tecnico irripetibile, in merito ad un processo per rapina ed omicidio in corso a Grosseto nel quale era indagato, per il quale la convivente del A.R. aveva ricevuto la relativa notifica da parte della Procura della Repubblica. Era emerso inoltre dalle indagini eseguite dai ROS che la convivente dell’indagato in quel periodo stava eseguendo i lavori di costruzione della villetta, chiedendo i preventivi per gli infissi che ammontavano a 12.000 Euro.

Quanto alla consapevolezza di A.R. della destinazione della somma all’acquisto di droga, il Tribunale evidenziava che, dalle comunicazioni intercettate, risultava che i protagonisti dell’operazione, mentre definivano i dettagli, si riferivano ad un "terzo" innominato, ma conosciuto da entrambi, da identificarsi nel finanziatore.

2. Avverso la suddetta ordinanza, ricorre per cassazione il difensore dell’indagato, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), in relazione agli artt. 125, 273 e 274 cod. proc. pen., in quanto il quadro indiziario tracciato a carico dell’ A. difetterebbe della necessaria gravita ed univocità, fondandosi su mere ipotesi indimostrate. Non risulterebbe nel corso di una complessa e prolungata indagine nè la presenza dell’indagato nè contatti diretti o indiretti di costui con gli altri indagati.

Motivi della decisione

1. Il ricorso non merita accoglimento, in quanto infondato.

2. E’ necessario premettere che, in relazione alla natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, questa Corte Suprema ha il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione, riguardante la valutazione degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate.

Quanto ai limiti del controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze in tema di procedimenti incidentali, relativi alla libertà personale, va poi ribadito che esso non può riguardare la verifica della rispondenza delle argomentazioni, poste a fondamento della decisione impugnata alle acquisizioni processuali, provvedendosi così ad una rilettura degli elementi di fatto, atteso che la relativa valutazione è riservata in via esclusiva al giudice del merito. Nè è possibile prospettare in sede di legittimità una interpretazione del significato di una intercettazione, diversa da quella proposta dal giudice di merito, salvo che in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile. Evenienza quest’ultima non dedotta nè rilevabile nel caso in esame.

3. Ciò posto, infondate sono anzitutto le doglianze di insussistenza dei "gravi indizi di colpevolezza", che l’art. 273 c.p.p., comma 1, pone quale condizione generale per l’applicazione di misure cautelari personali. Tale condizione postula un’obiettiva precisione dei singoli elementi indizianti i quali, nel loro complesso, devono consentire di pervenire logicamente ad un giudizio che, senza raggiungere il grado di certezza richiesto per un’affermazione di condanna, sia di alta probabilità dell’esistenza del reato e della sua attribuibilità all’indagato.

In coerenza con tale postulato, nella fattispecie in esame sono stati anzitutto indicati gli elementi di fatto da cui gli indizi sono stati desunti. Tali indizi, poi, sono stati valutati dal Tribunale nella loro essenza ed è stato verificato, in particolare, come gli elementi emersi dalle telefonate intercettate, dalle indagini di p.g. e dalle dichiarazioni del coindagato Ae., conducano razionalmente a ravvisare il coinvolgimento dell’indagato nella contestata attività illecita.

Il complesso di indizi indicati nell’ordinanza sorreggono adeguatamente l’accusa formulata nei confronti di A.R., identificandolo nella persona che aveva fornito consapevolmente la somma di danaro impegnata nell’acquisto di stupefacente. Il relativo percorso argomentativo è completo, logicamente corretto e privo di aporie.

La motivazione dell’ordinanza impugnata supera pertanto il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, in quanto gli argomenti sviluppati dal Giudice del riesame – come in narrativa esposti in sintesi nei punti più salienti – danno adeguatamente conto dell’esistenza dell’ipotesi criminosa contestata all’indagato e del ruolo svolto dal predetto nello svolgimento dell’attività criminosa.

Deve a tal riguardo precisarsi che, contrariamente all’assunto della difesa, il giudice, nella valutazione della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, non deve prendere in considerazione ciascuno degli elementi emersi nel corso delle indagini preliminari, parcellizzando la valenza significativa di ciascun elemento emerso, analizzandolo e valutandolo separatamente e in modo atomizzato dall’intero contesto probatorio, bensì deve verificare se detti elementi, ricostruiti in sè e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante, che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, e soprattutto delle connessioni tra essi esistenti, di attingere quella "gravità" che giustifica il provvedimento cautelare.

A tale principi si è puntualmente attenuto il Giudice del riesame, nell’analizzare le risultanze probatorie disponibili, evidenziando la sussistenza, pure alla luce delle argomentazioni sviluppate dalla difesa, di un quadro indiziario univocamente convergente, allo stato del procedimento, verso l’ipotesi accusatoria.

Per quanto riguarda le altre censure rivolte all’ordinanza, se ne deve constatare l’inammissibilità, trattandosi di doglianze volte a sollecitare una diversa lettura delle risultanze probatorie, attraverso una loro rivisitazione in chiave interpretativa alternativa, non proponibile in sede di legittimità, a fronte di una motivazione del Tribunale del riesame esente da vizi di manifesta illogicità. 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Devono disporsi, infine, gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *