Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-07-2011) 30-09-2011, n. 35599

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Agrigento che aveva condannato B.A. per il delitto di cui all’art. 388 cod. pen. alla pena di mesi uno di reclusione.

All’imputata era addebitato di aver eluso l’esecuzione del provvedimento del Tribunale di Agrigento che stabiliva le modalità dell’affidamento del figlio minore L., non consentendo a A.M. di visitare e tenere il figlio.

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione il difensore dell’imputata, chiedendone l’annullamento per la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

La sentenza avrebbe obliterato una circostanza decisiva in ordine alle ragioni per le quali l’imputata non aveva consentito all’ A. di tenere il figlio, ovvero che, nel mese di febbraio precedente, il padre non aveva somministrato al bambino la prescritta cura farmacologica e la donna temeva che l’episodio si ripetesse. La Corte di appello avrebbe ritenuto questa circostanza vaga, travisando quanto dichiarato dall’imputata circa la collocazione temporale dell’episodio.

Inoltre, la Corte di merito, a riprova del dolo, avrebbe richiamato pregresse elusioni, nonostante che per queste l’imputata sia stata assolta.

In ogni caso, il ricorrente lamenta che dagli elementi raccolti non può ritenersi provata la volontà dell’imputata di sottrarsi al provvedimento del giudice civile, in quanto motivata da un eccesso di zelo a tutela delle condizioni di salute non stabili del minore e per la paura che il padre non somministrasse la prescritta medicina.

Pertanto, la condotta dell’imputata doveva ritenersi motivata dalla necessità di tutelare il figlio in uno stato di salute non stabile.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. La Corte d’appello ha ritenuto priva di rilevanza la giustificazione addotta dall’imputata circa il rifiuto di far incontrare l’ A. con il minore, posto che la donna non aveva saputo indicare i particolari degli episodi nei quali costui avrebbe trascurato di curare la salute del bimbo. Secondo i giudici di merito, non poteva essere escluso il dolo, vista la reiterazione delle condotte dell’imputata che aveva costretto l’ A. più volte a rivolgersi alla polizia per poter esercitare il diritto di visita.

A questa ricostruzione, espressa con argomentazioni immuni da incongruenze di sorta, avendo la Corte di appello dato prova di una valutazione delle risultanze di causa del tutto in linea con i canoni della logica comune, la ricorrente oppone argomentazioni che non possono essere prese in considerazione in sede di legittimità.

La ricorrente deduce infatti l’incompatibilità della conclusione cui è prevenuta la Corte d’appello con le dichiarazioni rese in dibattimento, che, tuttavia, non illustra adeguatamente, attraverso la loro integrale trascrizione o allegazione, così da rendere il ricorso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze, non consentendo la citazione di alcuni passaggi delle medesime l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto (tra le tante, Sez. 4 n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023). Non avendo la ricorrente assolto tale preliminare onere, il motivo è pertanto inammissibile.

Quanto alla precedente assoluzione, anche in tal caso le argomentazioni logiche sottese alle censure rivolte al ragionamento probatorio sono prive della necessaria autosufficienza, posto che la Corte di appello ha richiamato a dimostrazione della dolosità della condotta varie precedenti denunce sporte dall’ A. per episodi analoghi commessi dall’imputata, in ordine alle quali la ricorrente non ha fornito dimostrazione alcuna in questa sede che le stesse siano coperte da giudicato assolutorio e dalla sentenza impugnata non risulta affatto tale correlazione (la Corte ha infatti soltanto affermato l’irrilevanza della assoluzione per "fatti analoghi", non correlandola direttamente alle pregresse condotte di cui sopra).

In ogni caso, il passaggio motivazionale censurato non appare decisivo ai fini della sussistenza del dolo del reato in esame. E’ principio consolidato che, per dimostrare l’elemento psicologico, occorre stabilire se il genitore affidatario, nell’impedire al genitore non affidatario il diritto di visita, sia stato eventualmente mosso dalla necessità di tutelare l’interesse morale e materiale del minore medesimo, soggetto di diritti e non mero oggetto di finalità esecutive perseguite da altri. E nel caso in esame, la Corte di appello ha accertato la volontà cosciente dell’imputata di eludere la esecuzione di un provvedimento del giudice civile, non avendo trovato fondamento alcuno la giustificazione addotta circa il timore dello stato di salute del figlio.

3. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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