Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-07-2011) 30-09-2011, n. 35597Abuso di ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza in data 11 marzo 2008 del Tribunale di Catanzaro, appellata da B.C., condannato, con le attenuanti generiche, alla pena di mesi quattro di reclusione, in quanto responsabile del reato di cui all’art. 323 cod. pen., per avere, esercitando le sue funzioni di Carabiniere della Compagnia Sellia M., imposto alle cittadine extracomunitarie L.M. R. e A.I.R.H. di esibire i documenti di soggiorno per finalità esclusivamente ritorsive e vessatorie e quindi estranee a ragioni di ufficio (in Montauro, il 25 maggio 2005) 2. Osservava la Corte di appello essere stato accertato che il B., trovandosi fuori del servizio nella locale spiaggia, aveva cercato di entrare in confidenza con due ragazze sudamericane da lui notate mentre prendevano delle foto a un cagnolino e con tale intento aveva chiesto loro di farle delle foto. Al rifiuto delle ragazze, che non intendevano entrare in confidenza con uno sconosciuto, vestito in jeans e maglietta, egli si era qualificato come carabiniere ingiungendo loro di scendere dalla macchina con la quale si stavano allontanando e di esibirgli i documenti di identificazione, costringendole ad attendere l’arrivo di una pattuglia radiomobile contestualmente chiamata.

Era dunque integrato il reato contestato che ricorre anche quando l’atto del pubblico ufficiale sia posto in essere non per ragioni di ufficio ma da intenti inutilmente vessatori, con ciò realizzandosi una violazione di legge per sviamento di potere.

2. Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore avv. Luigi Falcone, che, con un unico motivo, denuncia la violazione dell’art. 323 cod. pen., osservando che quale militare dell’Arma dei Carabinieri il B., costantemente operativo, aveva il dovere di controllare la regolarità dei documenti delle due donne che apparivano chiaramente per le loro caratteristiche somatiche come extracomunitarie. Il rifiuto di esibire i documenti, da loro opposto, integrava di per sè un reato, e correttamente il B. aveva sollecitato l’arrivo di una pattuglia.

A fronte di tali obiettive circostanze, la versione fornita dalle due circa una ripicca posta in essere dal B. per non essersi esse prestate a fare con lui amicizia, poteva ben essere considerata come un tentativo di evitare sanzioni per l’omessa esibizione di documenti.

In ogni caso, la condotta contestata non integrava alcuna violazione di legge e non si era inoltre causato alcun danno ingiusto alle persone offese, anche perchè queste avevano atteso senza alcuna costrizione l’arrivo della pattuglia chiamata dal B..

Motivi della decisione

1. Il ricorso appare infondato.

2. Non è qui in discussione il potere-dovere del carabiniere, che si trovi anche in una situazione nella quale egli non è impegnato da ragioni di servizio, di adottare ogni provvedimento inerenti alle sue funzioni di agente di polizia.

Ciò che però rileva, ai fini della legittimità della sua condotta, è stabilire se l’atto di ufficio sia stato posto in essere per esigenze di servizio ovvero per scopi esclusivamente personali, poichè in tale ultimo caso sono violate le norme di legge che attribuiscono il relativo potere al pubblico ufficiale, potendosi configurare, ricorrendone gli estremi, il reato di abuso d’ufficio.

Va infatti ribadito che i poteri del pubblico ufficiale sono collegati a una funzione, e quindi sono esercitabili solo in vista del perseguimento di uno scopo pubblico, che del potere medesimo costituisce la condizione intrinseca di legalità; sicchè si ha violazione di legge, rilevante a norma dell’art. 323 cod. pen., non solo quando la condotta sia svolta in contrasto con le forme, le procedure, i requisiti previsti dall’ordinamento, ma anche quando essa non sia conformata al presupposto da cui trae origine il potere, caratterizzato, a differenza dell’autonomia negoziale, dal vincolo di tipicità e di stretta legalità funzionale; derivandone che il potere esercitato per un fine diverso da quello stabilito dalla legge, e quindi per uno scopo personale od egoistico o comunque estraneo alla pubblica amministrazione, si pone fuori dello schema di legalità e rappresenta uno "sviamento" produttivo di una lesione dell’interesse tutelato dalla citata norma del codice penale (in questi termini, tra le tante, Sez. 6, n. 5820 del 09/02/1998, Mannucci, Rv. 211110; e, nello stesso ordine di idee, Sez. 6, n. 28389 del 19/05/2004, Vetrella, Rv. 229594; Sez. 6, n. 12196 dell’11/03/2005, Delle Monache, Rv. 231194; Sez. 6, n. 38965 del 18/10/2006, Fiori, Rv. 235277; Sez. 6, n. 41402 del 25/09/2009, D’Agostino, Rv. 245287; Sez. 5, n. 35501 del 16/06/2010, De Luca, Rv.

248496).

3. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno accertato, con motivazione adeguata e coerente, che la richiesta di esibizione dei documenti e l’ingiunzione di attendere l’arrivo di una pattuglia dei carabinieri rivolto dall’imputato alle due ragazze non erano state determinate da esigenze di servizio, essendo state poste in essere per "ripicca" a fronte del rifiuto di quelle di farsi ritrarre in foto dal B. mentre le due si trovavano sulla spiaggia di Montemauro, ove, libero dal servizio, si trovava anche l’imputato.

Non è dubbio, poi, che tale comportamento (posto in essere in violazione di legge, per quello che si è sopra detto), abbia prodotto un danno ingiusto alle due ragazze, costrette ad attendere l’arrivo della pattuglia mentre esse stavano lasciando la spiaggia.

Risultano dunque integrati dunque tutti gli elementi considerati dal paradigma dell’art. 323 cod. pen..

4. Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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