Cassazione civile 7468/2011 Se c’è truffa, il contratto così determinato è annullabile e non nullo.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato l’8 gennaio 2001 G.E. evocava, dinanzi al Tribunale di Alba, M.G. e premesso di svolgere l’attività di antiquario, esponeva che nei primi mesi del 1998 aveva ricevuto in conto vendita da un cliente un dipinto da attribuirsi al Pa. dal titolo "Lo svenimento di Ester", da valutarsi intorno a L. 35.000.000 – 40.000.000, per il quale aveva raggiunto un accordo per la vendita con tale avv.to P. A., pattuendo il prezzo di L. 42.000.000; successivamente il quadro veniva ritirato da una terza persona, tale P.L., qualificatosi come P.M. e nipote dell’avv.to P., il quale esibiva una carta d’identità contraffatta e consegnava a titolo di acconto due assegni dell’importo di L. 15.000.000 ciascuno; verificata la non esigibilità di dette somme, l’attore responsabile del bene in quanto custode, versava al proprietario del dipinto, C.F., l’intero prezzo a titolo di acquisto. Aggiungeva che il 21 giungo 1998 veniva telefonicamente raggiunto da un anonimo interlocutore, che qualificatosi come antiquario della (OMISSIS), gli comunicava di avere visionato il quadro trafugato in alcuni locali di proprietà di M.G. in (OMISSIS), per cui lo contattava immediatamente e questi gli confermava di possedere il quadro.

Presentata denunzia, la Procura della Repubblica di Alba disponeva perquisizione domiciliare nei confronti del M. ed il quadro veniva sottoposto a sequestro, unitamente ad un documento rinvenuto a tergo del dipinto a firma del prof. A., studioso d’arte; il Tribunale di Alba – Sez. distaccata di Bra condannava P. L. per i reati di cui agli artt. 110, 640, 61 n. 7, 495, 482 e 477 c.p., per cui l’attore chiedeva al GIP il dissequestro del quadro, richiesta che, unitamente a quella presentata dal M., veniva respinta con ordinanza del 7.3.2000, rimettendo le parti innanzi al tribunale civile per la risoluzione della controversia. Ciò precisato, il G. chiedeva che venisse accertato il suo diritto alla restituzione del bene.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, che in via riconvenzionale chiedeva la riconsegna del dipinto da lui regolarmente acquistato da D.G., con la partecipazione di un mediatore (tale Pr.Sa.), con il pagamento di L. 30.000.000, il Tribunale adito, all’esito dell’istruzione della causa, respingeva la domanda attorea e dichiarava che M. G.P. aveva diritto alla restituzione del dipinto in questione, attualmente in sequestro nell’ambito del procedimento penale n. 1444/98, con condanna dell’attore alla rifusione delle spese.

In virtù di rituale appello interposto dal G., con il quale egli lamentava l’erroneità della sentenza del giudice di prime cure che aveva ritenuto la buona fede del M. al momento dell’acquisto, mentre andava esclusa sulla base di una serie di indizi gravi, precisi e concordanti (comportamento del M. in sede di perquisizione dei Carabinieri che inizialmente aveva negato il possesso del dipinto; le dichiarazioni rilasciate dal D., venditore del quadro; il prezzo pagato, sensibilmente inferiore al valore de bene;…), nonchè la circostanza di non avere provveduto ad una compensazione delle spese di lite a fronte di una legittima iniziativa del G., la Corte di Appello di Torino, nella resistenza dell’appellato, accoglieva l’appello e in totale riforma della sentenza impugnata, dichiarava il G. legittimo proprietario del dipinto in contesa.

A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che l’eccezione di difetto di legittimazione attiva ad causarti sollevata da parte appellata era infondata (e non inammissibile ex art. 346 c.p.c. perchè solo meglio specificata in secondo grado), traducendosi in una contestazione dell’effettiva titolarità sostanziale del diritto fatto valere in giudizio, posto che il G. aveva affermato di esserne il titolare per acquisto fattone dal C.; del pari riteneva infondata l’eccezione di non titolarità del bene da parte dell’attore anche nel merito, avendo lo stesso G., responsabile del dipinto ex recepto (per la custodia) ed ex mandatu (perchè ricevuto in conto vendita), corrisposto al C. il prezzo di cessione, come confermato dalla scrittura a sua firma del 20.7.1998, essendo irrilevante che al momento della cessione il venditore non disponesse del possesso del bene. Ciò premesso, affermava che la condotta del M. al momento della perquisizione effettuata dalle Forze dell’Ordine aveva compromesso la linea difensiva della sua totale estraneità e solo successivamente aveva ripiegato sulla linea difensiva dell’acquisto fatto in buona fede; del pari, quanto al secondo elemento indiziario, quale l’episodio della visita del C., ne aveva reso una versione del tutto inattendibile; infine, quanto a terzo elemento indiziario, il comportamento del M. al momento della conclusione del contratto con il D., osservava che, proprio per la poca attendibilità delle dichiarazioni rese dal D. circa la provenienza del dipinto, aveva richiesto di formalizzare la vendita come effettuata dal D. quale legittimo proprietario e non già mandatario del B.. Per tutte dette circostanze riteneva dimostrata la mala fede dell’appellato al momento dell’acquisto o quanto meno la sua colpa grave, ritenuto assorbito l’ulteriore motivo sulle spese processuali, che andavano rideterminate. Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Torino ha proposto ricorso per cassazione il M., che risulta articolato su due motivi, al quale ha resistito il G. con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 81 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per avere la Corte di merito ritenuto che il versamento del prezzo da parte del G. al C. – dopo la consumazione della truffa – fosse avvenuto a titolo di controprestazione di un contratto di compravendita e non già a titolo di risarcimento per inadempimento di un contratto complesso. In altri termini, il giudice del gravame erroneamente avrebbe ritenuto che il G. fosse proprietario del dipinto al momento della proposizione dell’azione, mentre l’assenza della proprietà era stata accertata dalla sentenza penale di secondo grado con la condanna del P. per truffa consumata ai danni del G..

La tesi sostenuta in sentenza secondo cui il versamento del prezzo da parte del G. all’originario proprietario del quadro, il C. (che precedentemente glielo aveva affidato conferendogli un mandato alla vendita), abbia consacrato e perfezionato un contratto di vendita, a prescindere dalla disponibilità del bene da parte dello stesso venditore, che nel frattempo, a mezzo del mandatario (lo stesso G.), lo aveva consegnato, a titolo di acquisto, a P.L. (sebbene qualificatosi come P.M. e nipote dell’avv.to P., già interessato all’acquisto del bene), non è condivisibile.

Questa corte ha sempre ritenuto che il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell’altro non è radicalmente nullo (ex art. 1418 c.c. in correlazione all’art. 640 c.p.), ma annullabile, ai sensi dell’art. 1439 c.c., atteso che il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente diverso, neanche sotto il profilo dell’intensità, da quello che vizia il consenso negoziale, risolvendosi entrambi in artifici o raggiri adoperati dall’agente e diretti ad indurre in errore l’altra parte e quindi a viziare il consenso allo scopo di ottenere l’ingiusto profitto mediante il trasferimento della cosa contrattata (v. Cass. 26 maggio 2008 n. 13566; Cass. 10 dicembre 1986 n. 7322).

Si ha così che il dolus malus, anche se penalmente accertato, non può mai di per sè essere causa di nullità del negozio, meno che mai di inesistenza, sotto il profilo della sua illiceità, ma, inteso come vizio della volontà, può portare soltanto all’annullamento del negozio viziato (v. Cass. 8 maggio 1969 n. 1570) ed ai sensi dell’art. 1427 c.c., il negozio resta in vita sino a quando, ad iniziativa della parte interessata, non sia posto nel nulla mediante sentenza costitutiva (v. Cass. 20 febbraio 1962 n. 343).

Tutto ciò comporta, con riguardo alla vendita, che il soggetto attivo il quale riceve la cosa, col consenso sia pure viziato, dell’avente diritto, ne diviene effettivo proprietario, con il connesso potere di trasferirne il dominio al terzo e con la conseguenza che, a sua volta, quest’ultimo ove acquisti in buona fede ed a titolo oneroso, resta al riparto degli effetti dell’azione di annullamento, da parte del deceptus, ai sensi e nei limiti di cui all’art. 1445 c.c. (in relazione all’art. 2652 c.c., n. 6 e art. 2690 c.c., n. 3).

Dai principi suesposti la sentenza gravata si è discostata allorchè ha affermato la validità ed efficacia del contratto di vendita intervenuto tra il G. ed il mandante C.; pertanto il motivo va accolto.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1147, 1153, 2727, 2729 e 2697 c.c., nonchè dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la Corte di merito ritenuto l’acquisto avvenuto in mala fede sulla base delle dichiarazioni sospette rese dal D., del tutto irrilevanti ai fini del trasferimento. Aggiunge che quanto alla visita del C., anche le dichiarazioni di quest’ultimo risultano del tutto incongrui e contraddittorie, nè la reazione avuta dal ricorrente in sede di perquisizione dei Carabinieri è circostanza che possa incidere sulla buona fede, essendo espressione di un normale "metus" del cittadino di fronte ad una improvvisa perquisizione.

Le plurime censure denunciate con il motivo in esame, con e quali vengono prospettate doglianze che sotto diversi profili investono l’accertamento sulla buona fede del ricorrente al momento dell’acquisto, in considerazione dell’accoglimento del primo motivo del ricorso, debbono ritenersi superate, trattandosi di doglianze necessariamente collegate alla questione pregiudiziale.

In conclusione, accolto il primo motivo del ricorso ed assorbito il secondo, la sentenza va cassata con rinvio a diversa sezione della stessa Corte di Appello di Torino affinchè provveda in ordine al motivo concernente la qualificazione della dazione di denaro effettuata dal G. in favore del mandante C., dopo la consegna del quadro al P., e perchè si pronunci, nel rispetto degli enunciati principi, sugli effetti degli artifici e raggiri (dolus malus) sulla vendita e nei successivi rapporti legati alla cessione del medesimo bene.

Il giudice del rinvio provvederà alla regolamentazione delle spese anche di questa fase del giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Torino anche per le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere lega

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