Cass. civ. Sez. I, Sent., 23-02-2012, n. 2757 Ammissibilità o inammissibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il 12 dicembre 2008 il sig. T.T. propose ricorso al Tribunale di Bolzano contro un provvedimento col quale il giudice del registro delle imprese aveva rigettato la richiesta di far cancellare l’iscrizione in detto registro dell’atto di fusione per incorporazione della Ferrari Auer Verlagsanstalt und Druckerei Gmbh nella Verlagsanstalt Athesia Gmbh (in prosieguo indicata solo come Athesia).

Il ricorso fu notificato alla Athesia, che si costituì chiedendone il rigetto.

Con decreto depositato in cancelleria il 17 novembre 2009 il tribunale dichiarò cessata la materia del contendere, essendo stato nel frattempo revocato il provvedimento cautelare di sospensione della deliberazione assembleare della Athesia sul quale il ricorrente aveva fondato la sua richiesta di cancellazione dal registro. Nel medesimo decreto fu tuttavia accertata la soccombenza virtuale del sig. T., che venne perciò condannato in favore della società resistente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 1.700,00 (oltre agli accessori).

Per la cassazione di tale decreto il sig. T. ha proposto ricorso, sostenendo che la natura non contenziosa del procedimento di reclamo avverso i provvedimenti del giudice del registro impedisce, all’esito di un tale procedimento, la pronuncia di una condanna al pagamento delle spese processuali.

La Athea ha resistito con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso ed, in subordine, la sua infondatezza.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1. L’ammissibilità del ricorso per cassazione in esame dev’essere valutata sotto due distinti profili, afferenti l’uno alla natura ed al contenuto del provvedimento impugnato, l’altro al regime delle impugnazioni cui esso è soggetto.

1.1. Quanto al primo profilo, è appena il caso di ricordare che anche i provvedimenti in forma di decreto, pronunciati all’esito di un procedimento camerale sono suscettibili di ricorso per cassazione, a norma dell’art. 111 Cost., comma 7 ogni qual volta essi rivestano quei caratteri di definitività e decisorietà che consentono di equipararli, dal punto di vista sostanziale, ad una sentenza.

Ora, è ben vero che, come già altre volte in passato questa corte ha avuto occasione di chiarire, i caratteri della definitività e della decisorietà non sono riscontrabili nel decreto emesso all’esito del procedimento di reclamo avverso i provvedimenti del giudice del registro, disciplinato dall’art. 2192 c.c., trattandosi di decreti che non incidono su posizioni di diritto soggettivo e si risolvono in meri atti di gestione di un pubblico registro a tutela di interessi generali: donde l’impossibilità di impugnarli col ricorso straordinario per cassazione (cfr. Cass. 29 gennaio 2009, n. 2219; Cass. 11 marzo 2005, n. 5390; e Cass. 15 novembre 1991, n. 12227; e cfr. altresì, con riferimento all’impugnazione del decreto emesso dal giudice del registro a norma dell’art. 2191 c.c., Sez. un. 9 aprile 2010, n. 8426). Ma, se tale conclusione dev’essere certamente tenuta ferma per quanto attiene all’impugnazione delle statuizioni che si riferiscono, appunto, alla gestione del registro e quindi agli atti da iscrivere o da cancellare, lo stesso non può dirsi per l’eventuale distinta decisione con la quale il giudice, pronunciando sul reclamo, condanni l’una o l’altra parte al pagamento delle spese processuali.

Una siffatta condanna innegabilmente ha carattere decisorio, perchè risolve il conflitto tra le parti in ordine al diritto soggettivo dell’una o dell’altra ad ottenere il rimborso delle spese sostenute nel procedimento, ed ha altresì carattere definitivo, giacchè rientra nell’esclusiva competenza del giudice di quel procedimento e non sarebbe modificabile nè revocabile neppure in un eventuale procedimento diverso. Per le medesime ragioni questa corte, superando alcune precedenti incertezze, è oggi nettamente orientata a ritenere che il decreto con cui il giudice d’appello abbia deciso sul reclamo proposto avverso il provvedimento reso a norma dell’art. 2409 c.c., pur se non impugnabile nel merito con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., lo è invece per la parte in cui rechi condanna alle spese del procedimento, proprio in quanto tale condanna, inerendo a posizioni giuridiche soggettive di debito e credito dipendenti da un rapporto obbligatorio autonomo rispetto a quello in esito al cui esame viene emessa, riveste i caratteri della decisione giurisdizionale e l’attitudine al passaggio in giudicato, indipendentemente dalle caratteristiche del provvedimento cui accede (cfr., tra le altre, Cass. 13 gennaio 2010, n. 403; Cass. 21 gennaio 2009, n. 1571; e Cass. 10 gennaio 2005, n. 293). E nel medesimo senso si sono pronunciate le sezioni unite in ordine all’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso la condanna alle spese processuali contenuta nel provvedimento di revoca dell’amministratore di condominio, benchè anche tale condanna acceda ad un provvedimento di volontaria giurisdizione non altrimenti impugnabile dinanzi al giudice di legittimità (Sez. un. 29 ottobre 2004, n. 20957).

1.2. Occorre però chiedersi se il ricorso per cassazione sia qui eventualmente inammissibile per una ragione diversa, espressamente prospettata dalla società controricorrente. Si tratta di verificare se il decreto col quale il tribunale ha provveduto, a norma dell’art. 2192 c.c., sul reclamo proposto avverso la decisione del giudice del registro sia immediatamente soggetto a ricorso per cassazione o non, piuttosto, ad ulteriore reclamo dinanzi alla corte d’appello.

Ove si dovesse propendere per quest’ultima soluzione, è evidente che anche la statuizione sulle spese processuali contenuta in detto decreto avrebbe potuto – e dovuto – essere impugnata dinanzi alla corte d’appello, risultando perciò inammissibile il ricorso per cassazione direttamente proposto contro di essa.

Sia la prevalente giurisprudenza (peraltro non molto nutrita) delle corti territoriali, sia la dottrina, benchè in modo non unanime, appaiono però propense ad escludere che in questa materia il decreto del tribunale sia reclamabile in appello; e siffatta opinione è da condividere.

Giova anzitutto ricordare che, nella disciplina generale dei procedimenti camerali, il legislatore ha escluso, salvo diversa disposizione di legge in tal senso, la possibilità del reclamo dinanzi alla corte d’appello avverso provvedimenti emessi dal tribunale già in sede di reclamo (art. 739 c.p.c., u.c). Ma nè l’art. 2188 c.c. e segg. nè altra disposizione di legge speciale prevedono che i decreti pronunciati dal tribunale in sede di reclamo avverso i provvedimenti del giudice del registro siano, a propria volta, reclamabili. E’ vero che, nel citato art. 2192, non si parla di "reclamo" al tribunale contro il decreto del giudice del registro, bensì di "ricorso", ma non sembra davvero che se ne possa trarre argomento per negare che la richiesta rivolta al tribunale perchè riveda l’operato del giudice del registro rientra nel novero dei reclami, nell’accezione con cui questo termine è adoperato dal codice di rito, essendo appunto con ricorso che si propongono i reclami in sede camerale (si veda, ad esempio, l’art. 739 c.p.c., comma 1).

E’ d’immediata evidenza, d’altronde, che la regola generale espressa dal citato art. 739, u.c. sull’irreclamabilità dei provvedimenti emessi già in sede di reclamo è ispirata dalla convinzione che, non diversamente da quel che accade per il procedimento ordinario di cognizione, anche nel procedimento camerale due gradi di giurisdizione di merito siano ampiamente sufficienti. Non si saprebbe perciò giustificare la proposizione di un reclamo che abbia ad oggetto un decreto già pronunciato in seconda istanza.

Questo essendo il fondamento logico della regola, esso appare ben calzante anche nella fattispecie in esame, poichè il giudice del registro, pur se deputato all’esercizio di funzioni di vigilanza sul funzionamento dell’ufficio del registro delle imprese (L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 8, comma 2), non è certo assimilabile ad un organo facente parte di detto ufficio. I decreti che egli pronuncia a seguito di reclamo avverso provvedimenti del conservatore non possono perciò esser considerati alla stregua di atti conclusivi di un procedimento meramente amministrativo, ma rientrano a pieno titolo nel novero dei cosiddetti atti di volontaria giurisdizione. Senza voler qui affrontare l’annosa e mai sopita discussione sulla natura di tali atti, basta osservare che, sotto questo profilo, nulla permette di attribuire ai suddetti decreti del giudice del registro una natura diversa da quelli poi emessi dal tribunale in sede di reclamo a norma del citato art. 2192: onde il procedimento dinanzi al tribunale si configura come un procedimento di secondo grado, perciò destinato a metter capo ad un decreto non più suscettibile di ulteriore gravame dinanzi alla corte d’appello.

Il ricorso per cassazione proposto dal sig. T. è quindi da considerare ammissibile.

2. Il medesimo ricorso non è però fondato.

Questa corte, superando un precedente diverso orientamento, negli ultimi anni ha ribadito più volte che, anche in procedimenti camerali destinati – come è il caso di quello in esame – a concludersi con un decreto non direttamente incidente su posizioni di diritto soggettivo, bensì volto alla gestione di un pubblico registro a tutela di interessi generali, è legittima la condanna al pagamento delle spese processuali pronunciata in favore di colui il quale, partecipando al procedimento in forza di interessi giuridicamente qualificati, le abbia anticipate. In simili casi ben può una tale condanna fondarsi sulla soccombenza processuale dei controinteressati, o del ricorrente nei confronti di questi ultimi, nel contrasto delle rispettive posizioni soggettive (in tal senso, tra le altre, Cass. 21 gennaio 2009, n. 1571; Cass. 10 gennaio 2005, n. 293; Cass. 5 luglio 2002, n. 9828; e Cass. 20 settembre 2002, n. 13776).

Siffatto principio, enunciato con riferimento al procedimento per il riassetto contabile o amministrativo delle società previsto dall’art. 2409 c.c., appare del tutto pertinente anche con riguardo al procedimento di reclamo avverso provvedimenti del giudice del registro. Nè può seriamente dubitarsi che in tale ultimo procedimento, quando si discuta della legittimità dell’iscrizione di un atto, la società che quell’atto abbia posto in essere e che intenda perciò renderlo opponibile ai terzi mediante la prescritta pubblicità sia da annoverare tra i soggetti interessati, i quali hanno titolo a partecipare al procedimento camerale. Nel conseguente eventuale contrasto di posizioni processuali con un’altra parte privata, le, spese a tal fine sostenute dalla società, in applicazione, del principio della soccombenza, legittimamente sono perciò poste a carico di detta altra parte che abbia visto rigettata la propria domanda.

3. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente anche al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente, in favore della controparte, al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.200,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2012

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