Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-02-2012, n. 2740 Divisione

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 23-10-2002 O.B., O.D. e O.M. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino O.G. e Or.Ma. chiedendo lo scioglimento della comunione ereditaria venutasi a creare a seguito della morte del padre delle parti O.P. (tenendo conto della successiva estinzione dell’usufrutto generale vitalizio con cui quest’ultimo aveva disposto in favore della moglie B.M.) nonchè la condanna di O.G. al pagamento di un’indennità per l’occupazione da parte sua dell’immobile caduto in successione.

Gli attori assumevano che O.P., deceduto il (OMISSIS), aveva disposto dei propri beni con testamento pubblico del 5-4-1970 con il quale aveva lasciato alla moglie B.M. l’usufrutto generale vitalizio su tutti i suoi beni, ai figli la quota di riserva ed inoltre la nuda proprietà della disponibile al figlio G.; aggiungevano che si era aperta anche la successione , legittima, non avendo il testatore disposto della legittima della moglie, che le quote ereditarie erano pari al 35% per O.G. (ovvero la nuda proprietà del 25% + un quinto del 50%) ed al 10% per gli altri figli, mentre alla moglie competeva la quota di riserva del 25%; rilevavano che B.M., che aveva acquistato non solo l’usufrutto, ma anche la piena proprietà di tale 25%, era deceduta "ab intestato" in data 2-7-2001 determinando l’estinzione dell’usufrutto e la devoluzione della quota del 25% in parti uguali ai cinque figli, e che erano caduti nella successione di O.P. prima e di B.M. poi degli immobili siti in (OMISSIS), detenuti dal solo O.G., che li aveva utilizzati per la propria attività di coltivatore diretto rifiutandosi di acconsentire alla divisione; essi quindi chiedevano determinarsi le quote di ciascuno dei condividenti (in misura pari al 40% quanto a O.G. ed al 15% ciascuno quanto a Or.Ma., O.B., O.D. e O.M.), dandosi atto che la prima aveva donato nelle more la propria quota a O.G. (che era quindi titolare di una quota complessiva pari al 55%) e provvedersi conseguentemente alla divisione, condannando O.G. al pagamento di una indennità per l’occupazione dell’immobile a decorrere dal 3-7-2001.

Si costituiva in giudizio soltanto O.G. contestando sotto diversi profili il fondamento delle domande attrici di cui chiedeva il rigetto.

Il Tribunale adito con sentenza non definitiva del 14-5-2006 accertava che le quote ereditarie, calcolate sulla nuda proprietà, erano pari a 2/20 per ciascuno dei tre attori ed a 14/20 per O.G., disponeva la separazione della causa relativamente alla domanda attrice avente ad oggetto l’indennità di occupazione ed alle conseguenti contestazioni del convenuto fondate sulla costituzione di un contratto di affittanza agraria, e disponeva con separata ordinanza in merito alla prosecuzione del giudizio.

Con successiva sentenza definitiva del 18-1-2008 il Tribunale di Torino disponeva lo scioglimento della comunione ereditaria secondo le suddette quote di 6/20 per gli attori e di 14/20 per il convenuto, assegnava agli attori il lotto 1, di valore pari ad Euro 55.000,00, ed al convenuto il lotto 2, di valore pari ad Euro 240.000,00, e condannava quest’ultimo a corrispondere agli attori la somma di Euro 33.500,00 a titolo di conguaglio, subordinando l’efficacia delle assegnazioni dei lotti al suo versamento.

Proposto gravame avverso entrambi dette sentenze da parte di O. B., O.D. e O.M. cui resisteva O. G. la Corte di Appello di Torino con sentenza del 17-3-2010 ha rigettato l’impugnazione.

Per la cassazione di tale sentenza O.B., O.D. e O.M. hanno proposto un ricorso articolato in cinque motivi cui O.G. ha resistito con controricorso; M. O. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione dell’art. 2909 c.c., sostengono che la Corte territoriale ha disatteso il giudicato che si era formato sulla sentenza non definitiva del Tribunale di Torino, affermando che tale sentenza si era limitata a statuire l’entità delle rispettive quote ereditarie, senza affrontare gli aspetti relativi alla formazione delle porzioni concretamente spettanti a ciascun erede, nonchè i profili divisionali.

I ricorrenti rilevano che in particolare si era formato il giudicato sulle seguenti statuizioni:

a) ciascuno degli esponenti aveva diritto a conseguire una quota pari 2/20 del valore della piena proprietà degli immobili caduti in successione, ma da attribuire in porzioni di nuda proprietà (quindi una porzione proporzionalmente maggiore, pari ad 1/6 della nuda proprietà);

b) il legato in sostituzione di legittima, lasciato alla moglie B.M., ai sensi dell’art. 551 c.c., comma 3 gravava sulla quota riservata alla stessa, e per la parte eccedente gravava sulla disponibile, cosicchè nella specie, poichè la quota riservata a B.M. si era accresciuta alla disponibile, l’usufrutto gravava interamente su detta disponibile (dai 10/20 del valore della piena proprietà doveva quindi dedursi il valore dell’usufrutto, stimato il 40% della piena proprietà, pari a 8/20;

pertanto a O.G. residuavano a titolo di disponibile 2/20 della piena proprietà, pari ad 1/6 della nuda proprietà);

c) quindi, mentre a ciascuno dei tre esponenti doveva essere assegnata la quota di 1/6 della nuda proprietà, all’erede G. O. dovevano essere attribuiti 2/6 della nuda proprietà (compresa la donazione da parte della sorella Or.Ma.) a titolo di riserva, ed 1/6 a titolo di residua disponibile. In totale 3/6 della nuda proprietà; in seguito alla morte della beneficiaria, ed al consolidamento dell’usufrutto con piena proprietà, le medesime quote già attribuite in nuda proprietà dovevano essere attribuite in piena proprietà, e dunque agli attuali ricorrenti dovevano essere attribuiti 3/6 del patrimonio in piena proprietà.

I ricorrenti aggiungono che le espressioni contenute nel dispositivo o nella motivazione della sentenza non definitiva di primo grado che siano suscettibili di diversa lettura debbono essere precisate o rettificate nei seguenti termini:

a) dove si determina in 10/20 la quota disponibile lasciata in nuda proprietà a O.G., deve essere precisato che dalla stessa deve essere dedotto il valore dell’usufrutto, e che pertanto la residua disponibile consiste in 2/20 del valore della piena proprietà, pari ad 1/6 della nuda proprietà;

b) in dispositivo si deve precisare che le quote di eredità, pari a 2/20 ciascuno in favore di O.B., O.D. e O.M., non debbono essere calcolate sulla nuda proprietà, come erroneamente scritto, bensì sul valore della piena proprietà, ed attribuite in quote di nuda proprietà;

c) in motivazione, laddove era stato scritto che "ciascun coerede, in sede di progetto di divisione, riceverà una porzione materiate di beni, corrispondente al valore della sua quota in nuda proprietà, come sopra determinata, in piena proprietà", appare evidente che il Tribunale intendeva scrivere "riceverà una porzione materiale di beni in nuda proprietà, corrispondente al valore della sua quota in piena proprietà, come sopra determinata; porzione consolidata nella piena proprietà in seguito all’estinzione dell’usufrutto".

Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 551 c.p.c., comma 3, premesso che la menzionata sentenza non definitiva del Tribunale di Torino aveva statuito che alla moglie B.M. il testatore aveva lasciato l’usufrutto generale a titolo di legato in sostituzione di legittima, che la legataria non aveva acquisito la qualità di erede ed aveva rinunciato all’azione di riduzione, e che la quota ad essa riservata si era accresciuta alla disponibile, affermano che sembrava chiaro che il giudice di primo grado avesse ritenuto che ai sensi dell’art. 551 c.c., comma 3 l’usufrutto in sostituzione di legittima lasciato a B.M. gravasse sulla quota alla stessa riservata e, per l’eccedenza, gravasse sulla disponibile e che anzi, poichè detta quota riservata era stata rinunciata e si era accresciuta alla disponibile, il valore dell’usufrutto doveva gravare interamente sulla disponibile così determinata; ebbene, nonostante che il punto era stato oggetto di espressa doglianza nel primo motivo di appello sul rilievo della discrasia tra sentenza non definitiva e sentenza definitiva, che non ne aveva tenuto conto, la Corte territoriale non ha trattato tale questione.

I ricorrenti aggiungono che, qualora si dovesse ritenere che al riguardo non si fosse formato il giudicato, e che quindi il giudice di appello non si sia pronunciato sul punto, la sentenza non definitiva del Tribunale dovrebbe essere riformata affermando il principio che l’usufrutto in sostituzione di legittima ai sensi dell’art. 551 c.c., comma 3 grava sulla quota riservata all’usufruttuario e per l’eccedenza sulla quota disponibile.

Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo vizio di motivazione, assumono che il giudice di appello ha errato nel ritenere corrette le quote assegnate agli esponenti in 2/20 ciascuno della piena proprietà, senza rilevare che esse dovevano invece essere attribuite in porzioni di nuda proprietà di pari valore, e nel calcolare aritmeticamente il rapporto tra valore di piena proprietà e porzione dì nuda proprietà: infatti 2/20 di piena proprietà corrispondono ad 1/6 di nuda proprietà, pertanto l’errore consiste nella disapplicazione di elementari criteri di calcolo.

Con il quarto motivo i ricorrenti, denunciando violazione dell’art. 2909 c.c. e vizio di motivazione, sostengono che la Corte territoriale ha ribadito che le quote spettanti agli esponenti come determinate dalla sentenza non definitiva del Tribunale di Torino sarebbero pari a 2/20 (per complessivi 6/20), mentre le quote spettanti a O.G. sarebbero pari a 14/20 complessivi, ed ha ritenuto corretto che dette quote siano attribuite in porzioni di piena proprietà, valutata al momento della divisione, senza tener conto dell’incidenza dell’usufrutto.

Essi assumono che in tal modo è stato disatteso il giudicato formatosi sulla sentenza non definitiva, che aveva statuito:

a) che le quote debbono essere determinate con riferimento al valore degli immobili al momento dell’apertura della successione;

b) che deve tenersi conto dell’incidenza dell’usufrutto generale, c) che la morte dell’usufruttuaria non incide sulla misura della partecipazione di ciascun erede, posto che essa non modifica le quote, ma determina solamente il consolidamento dell’usufrutto in capo alla nuda proprietà;

d) che pertanto a ciascuno degli attuali ricorrenti spettava una quota pari a 2/20 del valore della piena proprietà, ma da assegnare in porzioni di nuda proprietà, e che detta nuda proprietà, con l’estinzione dell’usufrutto, si era consolidata nella piena proprietà.

Con il quinto motivo i ricorrenti, denunciando violazione dell’art. 556 c.c., rilevano che erroneamente il giudice di appello ha sostenuto che non ha più alcun senso fare riferimento all’usufrutto in sede di divisione, perchè le quote sono attribuite in porzioni di piena proprietà valutate al momento della divisione quando ormai l’usufrutto si era estinto; in realtà nella specie, essendo controversa la determinazione delle quote, da effettuare ai sensi della norma ora citata con riguardo al valore dell’asse all’atto dell’apertura della successione, doveva ritenersi che a quel momento l’intero asse era gravato da usufrutto; pertanto la valutazione delle quote riservate non poteva prescindere dall’usufrutto.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

Il giudice di appello ha premesso che la sentenza non definitiva sopra menzionata, procedendo alla determinazione delle quote ereditarie sulla base delle disposizioni contenute nel testamento pubblico di O.P., mediante il quale quest’ultimo aveva attribuito alla moglie B.M. l’usufrutto generale su tutti i suoi beni, ai figli B., D. e M. la quota di riserva ed al figlio O.G. anche la nuda proprietà della disponibile, qualificata la disposizione in favore della B. come legato in sostituzione di legittima, e ritenuto che il legittimario, conseguendo il legato in sostituzione di legittima, doveva essere tenuto presente per il calcolo delle riserva, aveva statuito che nella specie, ricorrendo il concorso del coniuge e di cinque figli, le quote di riserva corrispondevano a 2/10 per ciascun figlio e ad 1/4 per il coniuge, quota quest’ultima che, trattandosi di porzione individuale e non collettiva, si accresceva alla disponibile; a tal punto la Corte territoriale, condividendo il convincimento del giudice di primo grado, e richiamato l’art. 542 c.c., comma 2 (secondo cui quando i figli sono più di uno ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio ed ai coniuge supersite spetta 1/4), ha rilevato che pertanto ai figli spettavano i 10/20 ed alla B. i 5/20, mentre i residui 5/20 corrispondevano alla disponibile; ha quindi concluso sul punto che la quota di O.G. era pari a 2/20 (sua quota di riserva) + 2/20 (ovvero la quota di riserva pervenutagli dalla sorella Ma.) + 10/20 a titolo di disponibile (pari ai 5/20 ed agli ulteriori 5/20 che costituivano la legittima della B., confluita nella disponibile secondo l’espressa statuizione del giudice di primo grado non oggetto di censura) per un totale di 14/20, mentre a ciascuno degli appellanti spettava una quota di legittima di 2/20 (come da essi espressamente richiamata nelle loro conclusioni), pari a complessivi 6/20.

La sentenza impugnata ha poi sottolineato, quanto all’usufrutto generale della B., che non era stata proposta alcuna domanda volta a far dichiarare la nullità o ad ottenere la riduzione della relativa disposizione testamentaria da parte di coloro che avrebbero potuto esserne pregiudicati; pertanto la pretesa degli appellanti di ampliare le proprie quote di diritto rispetto a quanto previsto dall’art. 542 c.c., comma 2 tenendo conto dell’usufrutto del coniuge superstite e di mantenerle ampliate anche dopo la sue estinzione, era infondata.

Infine il giudice di appello ha evidenziato che, ferme le quote di diritto dei condividenti come sopra determinate, considerato che la formazione dei lotti era stata eseguita dopo la morte dell’usufruttuaria, non aveva alcun senso far riferimento alla nuda proprietà, dovendosi avere riguardo alla situazione esistente al momento in cui la divisione viene attuata.

Orbene alla luce di tali corrette argomentazioni le censure sollevate dai ricorrenti sono prive di fondamento.

Premessa la palese contraddittorietà dell’assunto sostenuto con il primo ed anche con il quarto motivo di ricorso, laddove, mentre da un lato si invoca il giudicato in ordine alle statuizioni della sentenza non definitiva del Tribunale di Torino nella parte in cui aveva determinato le quote di spettanza per ciascun condividente, dall’altro si sostiene che in realtà le quote avrebbero dovuto essere diversamente determinate in 1/6 per ciascuno degli attuali ricorrenti, occorre rilevare che la determinazione delle suddette quote come sopra effettuata dalla Corte territoriale non è oggetto di censure specifiche, in particolare non essendo stato sindacato il rilievo del giudice di appello secondo cui la statuizione della sentenza non definitiva del Tribunale, che aveva stabilito che la legittima già spettante alla B. doveva confluire nella disponibile, non era stata censurata.

D’altra parte non è comprensibile come, secondo la tesi dei ricorrenti, l’estinzione dell’usufrutto conseguente alla morte della B. potesse incidere sulla determinazione delle quote correttamente effettuata al momento dell’apertura della successione e potesse comportare un ampliamento delle quote di loro spettanza fino a raggiungere la metà dell’intero asse ereditario (ovvero 3/6 in piena proprietà, secondo le deduzioni dei ricorrenti); una volta invero non contestato che la quota di legittima di cui era titolare la B. dopo la sua morte era confluita nella disponibile, è agevole affermare che il decesso dell’usufruttuaria ha determinato solamente il consolidamento dell’usufrutto con la nuda proprietà, con la conseguenza che la divisione doveva essere realizzata tenendo conto delle quote come già determinate non già in nuda proprietà, ma in piena proprietà, come in effetti aveva statuito la sentenza definitiva del Tribunale di Torino.

In definitiva la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto che, mentre la determinazione delle quote dei coeredi deve essere determinata all’epoca di apertura della successione (tenendo quindi conto, nella fattispecie, dell’usufrutto allora sussistente in favore della B. su tutti i beni costituenti l’asse ereditario), all’atto dello scioglimento della divisione con la formazione delle porzioni deve essere considerata l’incidenza di eventuali vicende nel frattempo intervenute, come nella specie l’estinzione dell’usufrutto per morte dell’usufruttuaria con il consolidamento dell’usufrutto stesso con la nuda proprietà riguardo alle quote come già determinate al momento dell’apertura della successione.

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla natura della controversia, per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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