Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 20-04-2011) 30-09-2011, n. 35647 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 19 agosto 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ex art. 309 cod. proc. pen., ha respinto la richiesta di riesame presentata nell’interesse di F.A. e F. R. avverso l’ordinanza del 24 maggio 2010 del G.i.p. dello stesso Tribunale, che aveva applicato al predetti la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione al delitto loro contestato al capo TT), di cui all’art. 61 c.p., n. 6, art. 416-bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, e L. n. 575 del 1965, art. 7 (rectius: n. 203 del 1991), commesso in (OMISSIS) e in corso, per avere preso parte, nell’ambito dell’associazione di tipo mafioso denominata "ndrangheta, alla cosca denominata ‘ndrina Gallico, operante nel comune di Palmi, e inserita nel territorio compreso nella fascia tirrenica della provincia reggina, come accertato giudiziariamente in plurimi processi.

Nella subimputazione z) a F.A. e F.R. era, in particolare, contestato di essere imprenditori di riferimento della cosca Gallico, perchè, il primo quale titolare di fatto e il secondo quale intestatario formale dell’impresa individuale F. R., costituente copertura di quella già intestata a F. A. e F.G., sottoposta a sequestro preventivo nell’operazione "(OMISSIS)", e che riusciva a ottenere gli appalti relativi ai lavori di ammodernamento dell’autostrada A3 nella zona di competenza e altri contratti di appalto nel comune di Palmi con metodo mafioso, erano al costante servizio dell’associazione mafiosa per la realizzazione dei suoi interessi, ricevano disposizioni dal latitante G.R. e dal detenuto G. D., e agivano in stretto contatto con i sodali M. F. e Ga.Vi..

2. Il Tribunale argomentava la decisione, partendo dall’esame preliminare delle eccezioni processuali, formulate dalla difesa con la richiesta di riesame e/o con le memorie difensive, di inefficacia della misura cautelare, per decorrenza del termine di cui all’art. 309 c.p.p., commi 9 e 10, e di nullità dell’avviso di fissazione dell’udienza del 18 agosto 2010, per violazione del termine di cui all’art. 309 c.p.p., comma 8. 2.1. Con riguardo alla prima eccezione, il Tribunale premetteva che;

– F.A. e F.R., contestualmente alla proposta di riesame, avevano chiesto, in quanto detenuti fuori distretto, di essere tradotti o comunque di essere sentiti per i fini della procedura incidentale de libertate;

– all’udienza dell’11 agosto 2010, fissata nel termine di dieci giorni con decorrenza dalla data di trasmissione degli atti a esso Tribunale, era stato disposto, a seguito di eccezione difensiva, che gli indagati fossero sentiti dal Magistrato di sorveglianza competente per territorio, con sospensione del termine di cui all’art. 309 c.p.p., comma 10, ai sensi dell’art. 101 disp. att. c.p.p., comma 2;

– in data 14 agosto 2010, pervenuti gli atti dal Magistrato di sorveglianza, era stata fissata l’udienza del 18 agosto 2010 per la trattazione del riesame.

Tanto premesso, il Tribunale riteneva infondata l’eccezione d’inefficacia della misura cautelare formulata dalla difesa, che escludeva che la pronuncia interlocutoria dello stesso Tribunale dell’11 agosto 2010 potesse determinare l’effetto di cui all’art. 101 disp. att. cod. proc. pen., non applicabile nella specie.

Secondo il Tribunale dalla lettura coordinata degli artt. 127 e 309 cod. proc. pen. e dell’art. 102 disp. att. c.p.p. (rectius: art. 101 disp. att. c.p.p., comma 2) si traeva, infatti, il principio per cui, in deroga eccezionale alla regola generale del rispetto del termine di dieci giorni di cui all’art. 309 cod. proc. pen. e in vista della tutela delle esigenze difensive espresse con la richiesta di audizione dei detenuti fuori distretto, il termine di dieci giorni, quando l’audizione prevista dal predetto art. 101, comma 2, fosse stata disposta, decorreva ex novo e per l’intero (senza che rilevasse il termine di sintesi, sospensione o interruzione, utilizzato dal Tribunale nell’indicare tale effetto), dal momento del pervenimento degli atti da parte del magistrato di sorveglianza.

2.2. Con riguardo alla seconda eccezione di nullità dell’avviso di fissazione dell’udienza del 18 agosto 2010 per violazione del termine di cui all’art. 309 c.p.p., comma 8, il Tribunale richiamava giurisprudenza pertinente di questa Corte a conforto della ritenuta infondatezza dell’eccezione, per il carattere dilatorio del termine di tre giorni, e della irrilevanza processuale della coincidenza di uno dei tre giorni con un giorno festivo.

3. Nel merito, il Tribunale riteneva l’infondatezza delle richieste difensive volte a contestare la sussistenza del quadro indiziario e delle esigenze cautelari, per essere specifici e gravi gli elementi indiziar, circa la sussistenza della fattispecie criminosa oggetto di addebito e la sua riferibilità agli indagati, e sussistenti le esigenze cautelari.

3.1. La vicenda sottoposta a esame era inquadrata nel contesto, ampiamente descritto, delle infiltrazioni mafiose negli appalti relativi ai lavori di ammodernamento dell’autostrada A3, della persistente attività delle ‘ndrine interessate ai diversi tratti autostradali e soprattutto della esistenza e operatività della cd. cosca Gallico, consorteria criminale armata, operante con il metodo di cui all’art. 416-bis cod. pen. in Palmi fin dagli anni 70, e tesa al controllo delle attività imprenditoriali e alla perpetrazione di estorsioni nel territorio di riferimento.

Di tale cosca era evidenziata la persistente organizzazione a base familiare, imperniata sui capi cosca storici (i fratelli G. G. e D.), detenuti in espiazione della pena dell’ergastolo, e titolari del loro potere criminale esercitato impartendo gli ordini nel territorio, e sui fratelli G. C., R. e T., ed erano rappresentati anche i rapporti criminali con le altre ‘ndrine e l’elevata capacità d’Intimidazione attraverso un capillare sistema di estorsioni e controllo del territorio.

3.2. Secondo il Tribunale la ricostruzione della posizione degli indagati all’interno della cosca Gallico doveva partire dal procedimento denominato "(OMISSIS)" nei confronti, tra gli altri, dei fratelli F.A., odierno Indagato, F. G. e F.R., definito con sentenza del 5 maggio 2005 della Corte d’appello di Reggio Calabria, non ancora irrevocabile, di condanna dei primi due per il reato di partecipazione alla cosca Gallico e di estorsione aggravata, in quanto imprenditori di riferimento della consorteria criminale, sulla base delle dichiarazioni di S.G., delle sue registrazioni di colloqui e delle intercettazioni relative, e di assoluzione di F.R..

In quel procedimento era stata sottoposta a sequestro preventivo l’impresa del F., che il custode giudiziario aveva concesso in locazione il 12 aprile 2002 a F.R. che, rimasto estraneo al procedimento, aveva costituito il 1 luglio 2002 l’omonima impresa e assunto il 26 ottobre 2006, quale operaio di secondo livello, il fratello A..

Tale impresa, formalmente intestata a F.R. e avente i medesimi beni aziendali e oggetto (soprattutto movimento terra) e parziale identità soggettiva (permanendo la guida di F. A.) di quella sequestrata, era, ad avviso del Tribunale, un "mero strumento, stabilmente e organicamente asservito ai fini criminali della cosca Gallico". 3.3. Le fonti degli elementi indiziari a carico di F.R. e F.A. erano rappresentate dalle intercettazioni di riferimento di valenza auto ed etero accusatoria di elevata attendibilità, riscontrate dalle dichiarazioni di S. G. e dai suoi colloqui registrati, dalle sommarie informazioni testimoniali di P.V. e S. e dalle note di P.G. (Capitaneria di porto di Gioia Tauro del 25 ottobre 2007 e Commissariato P.S. di Palmi del 26 ottobre 2009), e verificate con riferimento a sei episodi enucleabili, specificatamente riportati nell’ordinanza:

– la vicenda relativa a lavori di consolidamento del terreno antistante la villetta sul mare di M.F.;

– la vicenda relativa al progetto di G.A. di effettuare trasporti di merce facendosi prestare un camion da Ga.Vi. o dai fratelli F., detti Contitani, previa autorizzazione dello zio G.R. latitante;

– l’episodio relativo alla lamentela di G.I. in merito all’assunzione del fidanzato, N.D., presso un’impresa che lavorava sull’autostrada;

– l’episodio attinente ai lavori di spianamento del terreno per installare il chiosco alla Tonnara di Palmi, affidati da G. A. all’impresa di F.R.;

– l’episodio attenente ai lavori di rifinitura della casa di G. I.A.;

– l’episodio relativo ai lavori in favore della G.P. Immobiliare s.r.l. dei fratelli P..

3.4. Da tali emergenze erano desumibili, secondo il Tribunale, gravi indizi di colpevolezza degli indagati in ordine al reato associativo ascritto al capo TT), nei termini indicati sub z).

I sei episodi In particolare evidenziavano che i Gallico, anche dopo l’operazione "(OMISSIS)", avevano continuato a disporre stabilmente e naturalmente dell’impresa dei F., considerata come propaggine imprenditoriale della cosca e consentivano di escludere che i F. fossero imprenditori – vittima costretti a prestare servizio in favore di una determinata consorteria criminale.

In particolare, F.R. era il titolare formale dell’impresa, era stato sorpreso dalla Capitaneria di Porto mentre eseguiva i lavori di consolidamento della villetta di M. F. ed era risultato dalle intercettazioni telefoniche impartire disposizioni, inerenti all’impresa, al fratello R..

F.A., assunto come operaio di secondo livello il 26 ottobre 2006 da F.R., aveva tuttavia pieni poteri gestori dell’Impresa: era presente nel corso del controllo svolto da personale del Commissariato di Palmi il 19 novembre 2009 presso il capannone dei fratelli P. e dalla relazione di P.G. era emerso che supervisionava i lavori e si era dichiarato responsabile dell’impresa; era risultato esercitare pieni poteri gestori accanto al fratello R. dalle conversazioni intercettate tra il 4 e l’8 giugno 2010 sulle utenze intestate agli stessi; l’impresa era stata indicata in diverse intercettazioni come impresa dei Contitani, e cioè dei fratelli F..

4. Le esigenze cautelari trovavano fondamento nella presunzione di perlcolosità sociale, fissata dall’art. 275 c.p.p., comma 3, nei confronti dell’indagato del delitto di associazione di tipo mafioso, superabile con la dimostrazione della stabile rescissione da parte dell’associato dei legami con l’organizzazione criminosa e/o della cessazione della consorteria criminale, nella specie non provate, tenuto anche conto della emersa perdurante operatività del sodalizio, della convinta e salda adesione a esso degli indagati e della condotta tenuta, probativa di pericolosità concreta talmente elevata da poter essere in frenata solo con la custodia cautelare in carcere.

5. Avverso detta ordinanza reiettiva della richiesta di riesame, hanno proposto ricorso per cassazione congiunto, a mezzo dell’unico difensore di fiducia, avv. Armando Veneto, F.A. e F.R., che ne chiedono l’annullamento, censurandola sulla base di due motivi.

5.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), in relazione all’art. 309 c.p.p., commi 9 e 10, e art. 127 c.p.p., e art. 101 disp. att. cod. proc. pen., che presiedono alla celebrazione dell’udienza camerale e ai tempi per essa previsti a pena di nullità.

Secondo i ricorrenti, a seguito della richiesta, formulata da essi stessi, detenuti fuori distretto, con l’istanza di riesame, di partecipare personalmente al procedimento o di essere sentiti dal Magistrato di sorveglianza competente, il Tribunale del riesame, che ha omesso il loro dovuto interpello e ha fissato la trattazione del riesame, non poteva, a fronte della formulata eccezione di nullità dell’udienza, sospendere i termini ai sensi dell’art. 127 c.p.p., comma 4, e art. 101 disp. att. cod. proc. pen. e disporre la loro audizione.

La procedura adottata, riconoscendo la legittimità della richiesta avanzata, con erroneo richiamo alla disciplina del rinvio dell’udienza prevista per il caso dell’impedimento a comparire dell’indagato, detenuto nel distretto, che abbia chiesto di essere sentito, per sopperire all’omesso doveroso esame degli indagati prima dell’udienza e con sospensione inammissibile del termine perentorio di dieci giorni prossimo alla scadenza, è, secondo i ricorrenti, illegittima e travolge tutti gli atti successivi.

Nè, contrariamente a quanto assunto, l’obbligo di far sentire gli indagati era sorto in udienza, essendo stata in udienza solo eccepita la nullità della stessa per inosservanza dell’obbligo pregresso di chiedere non solo al G.i.p. la trasmissione degli atti, ma anche al Giudice di sorveglianza di sentire gli indagati, e di fissare l’udienza entro I dieci giorni successivi alla ricezione degli atti.

5.2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), in relazione agli artt. 125 e 192 c.p.p. e art. 416-bis cod. pen., per le illegittimità evidenti incorse nel provvedimento Impugnato, in relazione al merito degli addebiti contestati a essi ricorrenti, per essere state riproposte le argomentazioni del provvedimento originario, omettendosi l’analisi delle censure mosse con la richiesta di riesame.

In particolare, secondo i ricorrenti, il contenuto delle conversazioni intercettate costituenti gli esclusivi elementi di prova a loro carico, in quanto di natura etera accusatoria attingendo soggetti estranei alle conversazioni captate, supponeva un’attività di riscontro che ne certificasse l’attendibilità, la cui mancanza era stata segnalata al Tribunale.

Dagli atti probatori offerti dal Pubblico Ministero in prossimità dell’udienza era, anzi, rimasto confermato che F.A. era semplice dipendente di F.R., che curava i rapporti con i committenti e la gestione aziendale, come confermato anche dagli stessi colloqui intercettati e relativi ai lavori di consolidamento in favore di tale M., effettuati, peraltro, da F. R. per esservi stato costretto.

Nè, ad avviso dei ricorrenti, erano sintomatici della loro intraneità nella cosca Gallico la richiesta di G.D. a G.T. di incaricare un legale per F.R., denunziato per l’intervento richiesto, e di acquisire informazioni sullo stato del procedimento a carico dello stesso F., mentre la scelta della ditta di F.R. per le opere di consolidamento era dipesa dalla casuale assenza della ditta già individuata.

Nè la dimostrazione dell’appartenenza dei F. al presunto clan poteva essere data dal contenuto della conversazione intercorsa tra G.A. e G.G., attinente alla progettazione della sottrazione di un camion a titolo gratuito alle ditte F. o Ga., e dimostrativa della circostanza che non solo si voleva sopraffare l’imprenditore destinatario della richiesta, ma anche che non si conosceva l’entità e la disponibilità dei mezzi della ditta, ritenuta "paradossalmente" propaggine della cosca.

Anche sull’episodio relativo ai lavori di sbancamento per conto della ditta P. la motivazione inadeguata dell’ordinanza tendeva a tratteggiare come estorsivo l’affidamento di lavori, fatto invece in favore della ditta F. per ragioni di convenienza economica, verificate anche dall’avv. La Capria incaricato dai committenti di svolgere una ricerca di mercato, senza che la provocatoria disponibilità di S.G. a fare i lavori gratuitamente, dopo la revoca dell’impegno orale con lo stesso assunto di fare i lavori, comportasse convenienza dell’affidamento dei lavori alla sua impresa.

La motivazione della Corte era anche del tutto carente con riferimento a F.A. per il quale si era affermata la gravità del quadro indiziario in assenza di alcun indizio specifico, essendo risultato il fratello R. titolare formale e sostanziale della ditta di movimento terra, unico interlocutore dei committenti e deputato a partecipare alle trattative e a formulare preventivi di spesa.

Nè, secondo la difesa, il Tribunale aveva riscontrato gli argomenti prospettati con le memorie dell’11 agosto e 18 agosto 2010, allegate al proposto ricorso per cassazione, e attinenti, la prima, al merito e al contenuto delle conversazioni intercettate e, la seconda, alle eccezioni di nullità dell’avviso di fissazione dell’udienza del 18 agosto 2010 e di inefficacia della misura cautelare per decorrenza dei termini per la decisione del riesame.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo è fondato.

2. Questa Corte ha costantemente affermato che il termine di dieci giorni decorrente dalla ricezione degli atti, entro il quale, ai sensi dell’art. 309 c.p.p., commi 9 e 10, il Tribunale deve decidere sulla richiesta di riesame delle ordinanze che dispongono una misura cautelare, pena l’immediata perdita di efficacia dell’ordinanza che dispone la misura coercitiva, ha carattere perentorio (tra le tante, Sez. F, n. 2662 del 04/09/1990, dep. 20/09/1990, Belluno, Rv 185385;

Sez. 5, n. 811 del 20/08/1991, dep. 09/09/1991 Mercuri ed altro, Rv.

188136; Sez. 5, n. 30248 del 13/06/2003, dep. 18/07/2003, Liscai, Rv.

226382; Sez. U, n. 14 del 18/06/1993, dep. 21/07/1993, Dell’Orno, Rv.

194309; Sez. F, n. 29344 del 10/08/2006, dep. 18/08/2006, Alampi, Rv.

234371).

2.1. Da tale perentorietà discende che il termine non è suscettibile nè di sospensione nè di interruzione, non essendo consentita alcuna dilazione al di fuori dei casi espressamente e tassativamente previsti dall’art. 127 c.p.p., comma 4, richiamato dall’art. 101 disp. att. c.p.p., comma 1, che, costituendo eccezione alla norma generale, non sono passibili di Interpretazione estensiva (Sez. 1, n. 678 del 11/02/1992, dep. 16/03/1992, Santonocito, Rv.

189510), in conformità alla ratio della previsione normativa che, nello stabilire un termine perentorio breve per il riesame delle ordinanze limitative della libertà ha voluto evitare che lo stesso venisse eluso procrastinandone il dies a quo.

Tale termine non può essere superato neanche quando l’Imputato, detenuto in un luogo posto fuori dalla circoscrizione del tribunale abbia chiesto di essere sentito e a tale atto sia delegato il giudice di sorveglianza del luogo di detenzione (Sez. 6, n. 2013 del 25/06/1993, dep. 07/09/1993, Torto, Rv. 195520; Sez. 1, n. 563 del 30/01/1996, dep. 04/04/1996, Ruga, Rv. 205047), sia perchè tele effetto non è previsto espressamente dalla legge, sia perchè non sarebbe comunque possibile far ricadere sull’indagato l’inosservanza imputabile all’ufficio di precise disposizioni normative, e procrastinare oltre il ragionevole il momento del controllo al punto di renderlo in gran parte inefficace proprio perchè privo della necessaria tempestività (Sez. 6, n. 2013 del 25/06/1993, dep. 07/09/1993, Torto, Rv. 195519).

2.2. Si è anche osservato che, poichè la sospensione del decorso del termine di cui all’art. 309 c.p.p., comma 10, fino alla ricezione degli atti assunti dal magistrato di sorveglianza, è disposta nell’esclusivo interesse dell’indagato, detenuto in un luogo posto fuori della circoscrizione del giudice, a essere sentito e dare giustificazioni e chiarimenti in ordine alla sua posizione attraverso un atto del detto magistrato e che presenti tutti i crismi della legalità, e che ne abbia fatto richiesta (Sez. 6, n. 1377 del 10/05/1993, dep. 22/09/1993, Polloni, Rv. 195527; Sez. 5, n. 1006 del 03/03/1997, dep. 30/04/1997, Bennoua Mokhtar, Rv. 207396; Sez. 5, n. 3910 del 15/07/1999, dep. 29/09/1999, Conti F., Rv. 214479; Sez. 4, n. 12761 del 13/02/2003, dep. 19/03/2003, Di Monte, Rv. 224109), l’atto assunto dal magistrato di sorveglianza, che per qualsiasi causa non sia valido, deve necessariamente essere rinnovato non potendo essere posto a base del provvedimento del giudice del riesame, sicchè il rinvio dell’udienza camerale per l’espletamento degli incombenti previsti dall’art. 101 disp. att. c.p.p., comma 2, comporta il prolungamento del termine di sospensione, sino al momento in cui non pervengano al tribunale del riesame gli atti nuovamente e validamente assunti dal magistrato di sorveglianza.

Sotto altro profilo si è anche rilevato che, poichè in tema di procedimento di riesame, la richiesta dell’indagato detenuto fuori dalla circoscrizione del tribunale di "essere tradotto in udienza per presenziare", esprime la volontà del medesimo di essere tradotto per essere sentito nella procedura alla quale è interessato, in quanto la comparizione in udienza è – di norma – funzionale all’audizione, correttamente gli atti sono trasmessi in tale situazione dal tribunale del riesame al giudice di sorveglianza del luogo di detenzione, a norma dell’art. 127 c.p.p., comma 3. In tal caso il termine per la decisione in ordine alla richiesta di riesame decorre dal giorno in cui gli atti sono restituiti al tribunale anche se l’indagato si sia rifiutato di comparire davanti al giudice di sorveglianza (Sez. 6, n. 2903 del 07/10/1998, dep. 22/12/1998, Motta, Rv. 212901).

3. L’esame della questione di diritto posta dai ricorrenti deve, ad avviso del Collegio, procedere dall’analisi della previsione normativa dell’art. 127 c.p.p. e art. 101 disp. att. cod. proc. pen. in rapporto a quella dell’art. 309 cod. proc. pen..

L’art. 127 cod. proc. pen., nel dettare la disciplina generale per il procedimento in camera di consiglio, si riferisce al comma 3 alla necessaria audizione prima del giorno dell’udienza; da parte del magistrato di sorveglianza del luogo, dell’interessato che "è detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice e ne fa richiesta", e al quarto comma al rinvio dell’udienza, se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato o del condannato, che ha chiesto di essere sentito personalmente, e che "non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice".

Tale norma deve raccordarsi, in materia di riesame delle misure cautelari personali, con la previsione normativa dell’art. 101 disp. att. cod. proc. pen., che si riferisce al termine di cui all’art. 309 c.p.p., comma 10 per la decisione sulla richiesta di riesame, tenendo conto delle due diverse ipotesi prese in considerazione dall’indicato art. 127 cod. proc. pen., e prevedendo al primo comma che, se l’udienza è rinviata a norma dell’art. 127 c.p.p., comma 4, e quindi per impedimento dell’indagato detenuto nel distretto che abbia chiesto di essere sentito, tale termine "decorre nuovamente dalla data in cui il giudice riceve comunicazione della cessazione dell’impedimento o comunque accerta la cessazione dello stesso", e al secondo comma che, se l’imputato è detenuto fuori dal circondario del tribunale, il predetto termine "decorre dal momento in cui pervengono al tribunale gli atti assunti dal magistrato di sorveglianza a norma dell’art. 127 c.p.p., comma 3" (Sez. 6, n. 1461 del 30/04/1992, dep. 29/10/1992, Caterino, Rv. 192306; Sez. 6, n. 1634 del 01/06/1993, dep. 25/08/1993, Rossi, Rv. 194939; Sez. 6, n. 1312 del 06/05/1993, dep. 25/08/1993, Portare, Rv. 194930).

3.1. La coerente lettura del principio normativo, secondo il quale l’indagato detenuto fuori distretto deve essere sentito dal magistrato di sorveglianza del luogo, ove ne ha fatto richiesta, prima del giorno dell’udienza, e del principio normativo, secondo cui il termine per la decisione decorre da momento in cui pervengono gli atti, con il meccanismo dei termini previsto dall’art. 309 c.p.p., commi 9 e 10, per la decisione sulla richiesta di riesame, comporta che la ricezione da parte del Tribunale degli atti assunti dal magistrato di sorveglianza, unitamente alla ricezione degli atti trasmessi dall’autorità giudiziaria procedente, rappresenta il dies a quo per la decorrenza del termine di dieci giorni per la decisione.

3.2. A tale conclusione non ostano i principi derivanti dagli indirizzi interpretativi di questa Corte, assunti in apparente difformità dal principio che questo Collegio condivide e riafferma della non dilazionabilità del termine per la decisione (salvi i casi tassativi espressamente previsti e rigorosamente interpretati), poichè con le già richiamate decisioni da un lato si è fatto riferimento alla necessità della rinnovazione dell’atto assunto dal magistrato di sorveglianza, che per qualsiasi causa non sia valido, indicandosi come consequenziale, senza ulteriore specificazione e in modo generico, il prolungamento del termine di sospensione, fondato sulla previsione dell’art. 101 disp. att. c.p.p., comma 2, sino al momento in cui non pervengano al tribunale del riesame gli atti nuovamente e validamente assunti dal magistrato di sorveglianza, e dall’altro lato si è considerata la diversa Ipotesi in cui la richiesta di audizione avanzata dall’interessato, dopo la ricezione dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale di riesame, era stata accolta all’udienza con trasmissione degli atti al competente giudice di sorveglianza perchè raccogliesse le dichiarazioni dell’Indagato, nell’ottica della tutela dell’interesse dell’indagato, presidiata dalla perentorietà del termine.

4. Alla luce di questi principi le censure difensive di cui al primo motivo appaiono fondate.

I ricorrenti, detenuti fuori distretto, hanno chiesto con l’istanza di riesame di partecipare personalmente al processo o di essere sentiti dal competente Magistrato di sorveglianza. L’esame dell’istanza e l’accoglimento della richiesta di audizione dopo l’eccezione di nullità, avanzata dalla difesa nel corso della udienza camerale fissata per la trattazione del riesame, è stata accompagnata dal provvedimento di sospensione del termine di cui all’art. 309 c.p.p., comma 10, ai sensi dell’art. 101 c.p.p., comma 2, con conseguente fissazione dell’udienza del 18 agosto 2010, dopo che il 14 agosto 2010 erano pervenuti gli atti assunti dal Magistrato di sorveglianza.

La decorrenza ex novo e per l’intero del termine per la decisione, indicata dal Tribunale come coerente con il principio normativo, tratto dalla lettura coordinata degli artt. 127 e 309 cod. proc. pen. e art. 101 disp. att. c.p.p., comma 2, e dalla necessaria tutela delle esigenze difensive espresse con la richiesta di audizione, trascura il dato fattuale di partenza rappresentato dalla circostanza che la richiesta di audizione è stata avanzata con la stessa istanza di riesame, antecedente al decreto che ne ha fissato la trattazione camerale, e la sua fondatezza è stata riconosciuta dallo stesso Tribunale che, a fronte della eccepita nullità, l’ha tardivamente accolta, omettendo il rispetto del termine perentorio della decisione, cui è collegata l’efficacia della misura.

5. La fondatezza del primo e assorbente motivo esime, per la sua pregiudizialità, dal procedere alla disamina di tutti gli altri.

L’ordinanza Impugnata deve, conseguentemente, essere annullata senza rinvio essendo divenuta inefficace l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere.

La Cancelleria provvederà all’adempimento di cui all’art. 626 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e quella del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria in data 24.5.2010 nei confronti di F.A. e F.R., di cui ordina liberazione se non detenuti per altra causa.

Si provveda ai sensi dell’art. 626 cod. proc. pen..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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