T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 27-10-2011, n. 8266

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Preliminarmente esposto il quadro normativo di riferimento, gli odierni ricorrenti – magistrati ordinari – sottolineano che con l’entrata in vigore della legge 30 luglio 2007 n. 111 l’accesso in magistratura è stato diversamente regolamentato, rispetto al previgente assetto, mediante previsione di un concorso di "secondo grado", che presuppone il possesso di specifiche e pregresse esperienze professionali.

Nel soggiungere come la stessa legge 111/2007 abbia espressamente sancito la perdurante operatività delle previsioni già dettate, in materia di progressione stipendiale, dalla legge 6 agosto 1984 n. 425, evidenzia parte ricorrente che i magistrati nominati successivamente all’introduzione della modificazioni in materia di accesso alla magistratura sono destinatari di un cd. "premio di ingresso", consistente nel riconoscimento di un’anzianità convenzionale di cinque anni, valutabile nella misura del tre per cento per ciascun anno.

Assume quindi parte ricorrente che la nuova disciplina riveli profili di illegittimità – con riferimento ai magistrati che abbiano sostenuto il concorso per aggiunto giudiziario – per:

– Violazione e falsa applicazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritto dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, dell’art. 21 (non discriminazione) della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (Nizza – 7 dicembre 2000), della risoluzione del Parlamento Europeo del 13 febbraio 1996 (memorandum sulla parità di retribuzione per i lavori di eguale valore);

– Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 36, 51, 97, 98 e 107 della Costituzione (principi di uguaglianza, imparzialità della Pubblica Amministrazione e parità di retribuzione a parità di lavoro);

– Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241;

– Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 2, della legge 6 agosto 1984 n. 425;

anche in relazione all’art. 51 del D.Lgs. 5 aprile 2006 n. 160, così come modificato dall’art. 2 della legge 30 luglio 2007 n. 111;

ulteriormente denunciando l’eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà, travisamento dei fatti, sviamento di potere, disparità di trattamento, carenza di istruttoria, incongrua ed insufficiente motivazione.

Analoghe censure vengono articolate dai ricorrenti relativamente ai magistrati che non abbiano sostenuto l’esame per aggiunto e siano stati nominati prima della riforma, in ragione dell’identità di funzioni ai medesimi rimesse rispetto ai colleghi ammessi a fruire del beneficio anzidetto per effetto dell’entrata in vigore della legge 111/2007.

Nel sottolineare come la richiesta dell’anzidetto beneficio economico venga temporalmente ricondotta alla data del 31 luglio 2007 (e non a quella di decorrenza delle singole immissioni in ruolo), sostengono i ricorrenti che il complesso delle evocate disposizioni imponga – segnatamente in applicazione dei principi di non discriminazione e di omogeneità retributiva per identiche attività di lavoro – l’equiparazione delle categorie di magistrati sopra indicate rispetto a quelli entrati in servizio successivamente alle modificazioni in tema di accesso di cui sopra.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente accertamento del diritto all’adeguamento retributivo ex art. 4, comma 2, della legge 425/1984 ed accessiva condanna dell’intimata Amministrazione della Giustizia alla liquidazione delle somme a tale titolo spettanti a far tempo dal 31 luglio 2007, accresciute dei maggiori importi a titolo di interessi legali e rivalutazione monetaria.

L’Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte dalla parte ricorrente, conclusivamente insistendo per la reiezione del gravame.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 12 ottobre 2011.

Motivi della decisione

1. Appare opportuno procedere ad una complessiva ricognizione del quadro normativo relativo all’assetto retributivo del personale di magistratura.

1.1 Va innanzi tutto rammentato come la legge 6 agosto 1984, n. 425 (recante "Disposizioni relative al trattamento economico dei magistrati") abbia dettato una disciplina innovativa imperniata sul riconoscimento di un meccanismo di progressione economica degli stipendi di tutto il personale di magistratura (ordinaria, amministrativa, contabile e dell’Avvocatura dello Stato), intesa ad un complessivo riassetto e anche alla chiusura di una serie di contenziosi, alimentati da precedenti disposizioni.

In particolare, l’art. 3 comma 1 ha stabilito che, "con effetto dal 1° luglio 1983 la progressione economica degli stipendi del personale di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27, si sviluppa in otto classi biennali del 6 per cento, da determinarsi sullo stipendio iniziale di qualifica o livello retributivo, ed in successivi aumenti biennali del 2,50 per cento, da calcolare sull’ultima classe di stipendio".

Il successivo art. 4 ha disposto che "la determinazione dei nuovi stipendi di cui all’articolo 3 è effettuata sulla base degli anni di effettivo servizio prestato in magistratura fino al 30 giugno 1983…" secondo le disposizioni di cui ai commi successivi.

Vengono in rilievo, in particolare, i commi 5 e 6, i quali hanno previsto che:

– "I servizi prestati dai magistrati nelle qualifiche inferiori a quelle di appartenenza sono valutati attribuendo, per ogni anno di servizio o frazione superiore a sei mesi del relativo periodo, un beneficio pari al 3 per cento dello stipendio iniziale della qualifica inferiore a quella di magistrato di corte di appello, al 2 per cento dello stipendio iniziale della qualifica di magistrato di corte di appello o equiparato, all’1,50 per cento dello stipendio iniziale della qualifica di magistrato di cassazione e di magistrato di cassazione nominato alle funzioni direttive ed equiparate" (comma 5);

– "L’importo complessivo del beneficio derivante dall’applicazione dei precedenti commi si aggiunge allo stipendio iniziale della qualifica rivestita e all’ammontare così ottenuto si somma l’incremento di stipendio conseguente alla progressione economica relativa al servizio prestato nella qualifica stessa" (comma 6).

Se, sulla base di quanto indicato all’art. 5, "al personale promosso alla qualifica o pervenuto al livello retributivo superiori successivamente al 1° luglio 1983 compete lo stipendio iniziale previsto per la nuova posizione, maggiorato dell’importo corrispondente alle classi o aumenti biennali maturati nella posizione di provenienza", va ulteriormente rammentato come, ai sensi del successivo art. 8, "salvo quanto previsto nell’articolo 10" (concernente l’estinzione di giudizi pendenti e il riassorbimento di importi erogati o da erogare in esecuzione di provvedimenti giudiziali passati in giudicato), "al personale indicato dall’articolo 3, al quale per effetto della presente legge compete, dal 1° luglio 1983, una retribuzione complessiva inferiore a quella goduta a tale data anche a seguito di provvedimenti giudiziali passati in giudicato o di atti amministrativi assunti in applicazione delle disposizioni richiamate nell’articolo 1, è attribuito un assegno personale, pensionabile e riassorbibile con la normale progressione economica di cui agli articoli 3 e 4, pari alla differenza fra le due retribuzioni."

L’art. 11, infine, per quanto qui interessa, ha disposto che "In sede di prima applicazione della presente legge la differenza tra la retribuzione in essere al momento della decorrenza dei nuovi trattamenti retributivi e quella cui si avrebbe diritto a norma degli articoli…3 e 4 della legge stessa viene attribuita: per un terzo a decorrere dal…1° luglio 1983, per quanto riguarda gli aumenti retributivi a norma degli articoli 3 e 4; per un terzo a decorrere dal 1° luglio 1984; per un terzo dal 1° luglio 1985".

1.2 La portata dell’enunciato normativo di cui al comma 6 dell’art. 4 è stata chiarita dall’art. 3 comma 54 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, nel senso che "l’art. 4, sesto comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, si interpreta nel senso che l’incremento di stipendio conseguente alla progressione economica relativa al servizio prestato nella qualifica di appartenenza al 30 giugno 1983, si calcola sulla base degli stipendi iniziali tabellari come previsto dall’art. 3, primo comma, della medesima legge 6 agosto 1984, n. 425".

A sua volta, in riferimento all’art. 5, l’art. 1 commi 4, 5 e 6 della legge 8 agosto 1991, n. 265, ha stabilito che:

– "Per importo corrispondente alle classi o aumenti biennali maturati nella posizione di provenienza, di cui all’articolo 5 della legge 6 agosto 1984, n. 425, deve intendersi l’incremento acquisito per classi ed aumenti periodici derivanti dalla progressione economica relativa alla sola anzianità di servizio effettivamente prestato nella posizione di provenienza" (comma 4);

– "A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’importo previsto dall’articolo 5 della legge 6 agosto 1984, n. 425, è determinato con esclusivo riferimento alle anzianità minime richieste dall’ordinamento di appartenenza o, laddove non previste, alle effettive anzianità di servizio" (comma 5);

– "Gli eventuali maggiori trattamenti spettanti o in godimento, conseguenti ad interpretazioni difformi da quelle stabilite dal comma 4, sono conservati ad personam e sono riassorbiti con la normale progressione economica di carriera o con i futuri miglioramenti dovuti sul trattamento di quiescenza" (comma 6).

1.3 Nel passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento retributivo, il Legislatore ha indicato con chiarezza le modalità di determinazione dello stipendio da attribuire, con il richiamo nei commi 5 e 6 dell’art. 4 ad un meccanismo teso a individuare la posizione economica di ciascun magistrato in funzione degli anni di servizio prestato nelle diverse qualifiche (anno o frazioni superiori a sei mesi), mediante una percentuale variabile (più alta per le qualifiche inferiori e minore per quelle superiori, in chiara proporzione inversa) dello stipendio iniziale di ciascuna qualifica inferiore, ossia computando, per ciascuna qualifica e sino a quella in atto rivestita al 30 giugno 1983, una percentuale (dal 3% e sino all’1,50%) dello stipendio iniziale moltiplicata per gli anni di servizio prestato in ciascuna qualifica.

Così determinato l’ammontare complessivo della progressione economica, ad esso si somma lo stipendio iniziale della qualifica in atto rivestita, e ad essa si aggiunge altresì l’ulteriore incremento relativo alla qualifica rivestita (ossia il numero degli aumenti o scatti computabili su tale qualifica), da calcolare, secondo la norma interpretativa, sulla base degli stipendi iniziali di qualifica.

Per il personale che consegua una nuova qualifica in epoca successiva al 1° luglio 1983, lo stipendio iniziale della nuova posizione è incrementato degli aumenti o scatti maturati nella posizione di provenienza, ossia, come chiarito dall’altra norma interpretativa, ragguagliato alla anzianità di servizio effettivo nella posizione (qualifica) di provenienza.

Con la norma di salvaguardia dell’art. 8 è stato poi disposto che, qualora, a seguito della rideterminazione del trattamento economico, competa una retribuzione inferiore a quella in atto goduta alla data del 1° luglio 1983, la differenza è conservata quale assegno ad personam riassorbibile.

Una giurisprudenza amministrativa ormai consolidata ha ormai chiarito che:

– al personale di magistratura e equiparato, promosso alla qualifica o pervenuto al livello retributivo superiore, deve essere riconosciuto, nella nuova posizione, l’incremento acquisito per classi ed aumenti periodici derivanti dalla progressione economica relativa alla sola anzianità di servizio effettivamente prestato nella posizione di provenienza, intesa come qualifica rivestita all’atto della transizione al nuovo sistema retributivo (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 2003 n. 2715, nonché – con riferimento all’esclusa computabilità di anzianità convenzionali, anche 4 ottobre 1989 n. 672 e 27 ottobre 1988 n. 818);

– l’incremento di stipendio per la progressione economica relativa al servizio prestato nella stessa qualifica, deve essere calcolato sullo stipendio iniziale tabellare della qualifica rivestita, e non già sullo stipendio maggiorato dei benefici derivanti dal computo delle anzianità pregresse (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 agosto 1996 n. 977 e 3 giugno 1996 n. 705, nonché T.A.R. Lazio, sez. I, 24 marzo 1993 n. 495);

– eventuali differenze di trattamento economico, connesse alla diversa data di assunzione o promozione alla qualifica superiore, sono "conseguenza di mero fatto, dovuta alla circostanza del diverso momento di ingresso in magistratura…" e come tali inidonee a supportare una questione di legittimità costituzionale sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza, poiché riconducibili a ragionevole esercizio di discrezionalità legislativa nel quadro del riassetto complessivo delle retribuzioni di tutti i magistrati perseguito dalla legge n. 425/1984 (Cons. Stato, Sez. IV, 20 maggio 2003 n. 2715 e 8 maggio 2000 n. 2633).

1.4 Va poi rammentato, quanto al thema decidendum sottoposto all’attenzione del Collegio con la proposizione dell’odierno gravame, come il comma 1 dell’art. 2 del D.Lgs. 5 aprile 2006 n. 160, come sostituito dall’art. 1 della legge 30 luglio 2007, n. 111, abbia stabilito che "al concorso per esami, tenuto conto che ai fini dell’anzianità minima di servizio necessaria per l’ammissione non sono cumulabili le anzianità maturate in più categorie fra quelle previste, sono ammessi:

a) i magistrati amministrativi e contabili;

b) i procuratori dello Stato che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;

c) i dipendenti dello Stato, con qualifica dirigenziale o appartenenti ad una delle posizioni dell’area C prevista dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro, comparto Ministeri, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, che abbiano costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;

d) gli appartenenti al personale universitario di ruolo docente di materie giuridiche in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;

e) i dipendenti, con qualifica dirigenziale o appartenenti alla ex area direttiva, della pubblica amministrazione, degli enti pubblici a carattere nazionale e degli enti locali, che abbiano costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica o, comunque, nelle predette carriere e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;

f) gli avvocati iscritti all’albo che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;

g) coloro i quali hanno svolto le funzioni di magistrato onorario per almeno sei anni senza demerito, senza essere stati revocati e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;

h) i laureati in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e del diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali previste dall’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni;

i) i laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche;

l) i laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica, al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162.

Il successivo art. 8, al comma 1, ha, poi, previsto che "i concorrenti dichiarati idonei all’esito del concorso per esami… sono nominati, con decreto ministeriale, magistrato ordinario, nei limiti dei posti messi a concorso": laddove il previgente disposto della previsione di legge all’esame stabiliva che gli idonei venissero nominati, sempre nei limiti dei posti messi a concorso, uditori giudiziari.

L’art. 51 del citato D.Lgs. 160/2006, come sostituito dal comma 12 dell’art. 2 della legge 30 luglio 2007 n. 111, ha disposto che "continuano ad applicarsi tutte le disposizioni in materia di progressione stipendiale dei magistrati ordinari e, in particolare, la legge 6 agosto 1984, n. 425, l’articolo 50, comma 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, l’adeguamento economico triennale di cui all’articolo 24, commi 1 e 4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, della legge 2 aprile 1979, n. 97, e della legge 19 febbraio 1981, n. 27, e la progressione per classi e scatti, alle scadenze temporali ivi descritte e con decorrenza economica dal primo giorno del mese in cui si raggiunge l’anzianità prevista; il trattamento economico previsto dopo tredici anni di servizio dalla nomina è corrisposto solo se la terza valutazione di professionalità è stata positiva; nelle ipotesi di valutazione non positiva o negativa detto trattamento compete solo dopo la nuova valutazione, se positiva, e dalla scadenza del periodo di cui all’articolo 11, commi 10, 11 e 12, del presente decreto".

2. Come sopra riassunto il quadro normativo di riferimento pertinente ai fini della delibazione della sottoposta controversia, va rammentato che, come esposto nell’atto introduttivo del giudizio, gli odierni ricorrenti sono entrati nei ruoli della magistratura ordinaria anteriormente all’introduzione della novella apportata dalle disposizioni di cui al citato D.Lgs. 160/2006, con le modifiche di cui alla legge 30 luglio 2007 n. 111 (le quali, come si è avuto modo di constatare, hanno introdotto, per l’accesso ai ruoli della magistratura, una forma di concorso cd. di "secondo grado"); e, taluni di essi, dopo le modifiche apportate alla previgente disciplina (di cui al R.D. 30 gennaio 1941 n. 12) dall’art. 7 della legge 25 maggio 1970 n. 357, che ha abrogato il concorso interno (per aggiunto) che i magistrati dovevano sostenere, dopo un biennio di servizio, per l’ammissione nei ruoli della magistratura.

Tale circostanza, con ogni evidenza, preclude l’applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 4, comma 2, della legge 425/1984, la quale prevede che "i periodi di servizio e di attività professionale, richiesti dai rispettivi ordinamenti per l’accesso alle carriere di magistratura e di avvocatura dello Stato, sono riconosciuti, in favore dei magistrati e degli avvocati dello Stato nominati a seguito di pubblico concorso, nella misura fissa di cinque anni e sono valutati attribuendo un beneficio del 3 per cento per ciascun anno, da calcolare sullo stipendio o livello retributivo iniziali dell’attuale carriera di appartenenza".

La norma della quale viene invocata l’applicazione ai fini del riconoscimento della anzianità convenzionale di cinque anni (e del riveniente adeguamento stipendiale), è rivolta esclusivamente al personale di magistratura che, per l’accesso nei ruoli di appartenenza, abbia effettivamente sostenuto un concorso cd. di "secondo grado" (come si è visto, introdotto innovando il previgente assetto dell’alimentazione dei ruoli della magistratura); di un concorso, cioè, per accedere al quale fosse richiesta, oltre che il titolo di studio, una specifica pregressa esperienza di studio, lavorativa, professionale o didattica.

Il possesso di una specifica esperienza, richiesta espressamente dal D.Lgs. 160/2006 (che all’art. 2 comma 1 elenca i requisiti, oltre il titolo di studio rappresentato dalla laurea in giurisprudenza, che devono possedere gli aspiranti al concorso di magistratura), non era richiesta per quei magistrati, come gli odierni ricorrenti entrati nei ruoli in data anteriore alla novella apportata dalla normativa del 2006: in ciò non distinguendosi la posizione di coloro che abbiano sostenuto la prova per aggiunto, abrogata poi dall’art. 7 della legge 25 maggio 1970 n. 357.

Tale considerazione accede ad una obbligata applicazione dei principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, avuto riguardo alla mancanza, nella nuova disciplina, di una norma che ne abbia espressamente esteso l’applicabilità anche alle posizioni dei magistrati entrati in ruolo anteriormente alle modificazioni come sopra introdotte alle modalità di alimentazione dei ruoli di magistratura.

3. La nuova disciplina, di natura sostanziale, non può quindi trovare applicazione per quei soggetti, come i ricorrenti, che abbiano partecipato ad un concorso di primo grado, per l’accesso al quale era cioè richiesto meramente il possesso del titolo di studio, giacché gli stessi non rientrano nella categoria dei soggetti ai quali è riconosciuto l’invocato beneficio ai sensi dell’art. 4 comma 2 legge n. 425 del 1984.

Né la scelta legislativa di applicare parametri stipendiali differenti al personale di magistratura che abbia fatto ingresso nei ruoli con un concorso di secondo grado – con esclusione dall’ammissione al beneficio di che trattasi di coloro che, invece, hanno avuto accesso ai propri ruoli con un concorso di primo grado – non rivela carattere di illogicità e/o irrazionalità.

Chi sia stato assunto in servizio a seguito di un concorso di primo grado, ha infatti goduto del vantaggio di potervi partecipare prescindendo dal possesso di altri titoli di studio, professionali o didattici: i quali, se richiesti, avrebbero potuto precluderne la partecipazione, laddove non posseduti.

La chiara inassimilabilità della diversa situazione di partenza tra le categorie di magistrati oggetto di esame (gli odierni ricorrenti; e quelli siano entrati in magistratura a seguito dell’introdotta modificazione dei titoli richiesti per l’accesso nei ruoli), adeguatamente integra la presenza di idoneo elemento giustificativo – sul piano della intrinseca logicità, oltre che del rispetto dei parametri costituzionali e sovranazionali dalla stessa parte ricorrente evocati – della scelta operata dal Legislatore.

4. Le considerazioni sopra rassegnate – peraltro omogeneamente espresse dalla Sezione III del T.A.R. Sicilia – Sezione staccata di Catania (sentenza 10 marzo 2011 n. 574) – impongono di disattendere le censure esposte con il presente gravame, che deve conseguentemente essere rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’intimata Amministrazione della Giustizia, per complessivi Euro 1.500,00 (euro mille e cinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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