Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 20-04-2011) 30-09-2011, n. 35646 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 8 ottobre 2010 il Tribunale di Lecce, costituito ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., ha rigettato la richiesta di riesame presentata nell’interesse di L.S.E. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso, ai sensi dell’art. 321 cod. proc. pen. e D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies, dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale il 1 ottobre 2010, con riferimento all’intero capitale sociale della POLMAR s.r.l..

1.1. Il Tribunale premetteva che:

– il sequestro preventivo era stato disposto nel procedimento penale n. 6305/09 R.G.N.R. e n. 4725/10 R.G.G.I.P. pendente nei confronti di P.S., + ALTRI OMESSI ;

– in detto procedimento, in particolare, P.S., + ALTRI OMESSI erano indagati per il reato di cui all’art. 416 cod. pen. e L. n. 401 del 1989, art. 4, commi 1, art. 4-bis e art. 4-ter; P.S. era indagato per il reato di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12-quinquies, comma 1, e D.L. n. 152 del 1991, art. 7; P.F., + ALTRI OMESSI erano indagati per il reato di cui all’art. 648-bis cod. pen., e Q.S. era indagata per il reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 4, commi 1, artt. 4-bis e 4-ter.

1.2. Il Tribunale, tanto premesso, richiamati i principi affermati da questa Corte in tema di sequestro preventivo e di confisca, rilevava che, nella specie, il sequestro atteneva a beni e utilità di soggetto terzo rispetto alla compagine familiare dei P., e che l’istanza di riesame proposta da L.S.E. non poteva essere esaminata autonomamente per l’intersecazione delle sue vicende patrimoniali con quelle della indicata compagine familiare e per la sua partecipazione, con il titolo formale di socia di minoranza, alla vita della società sorta per reinvestire in attività imprenditoriali proventi illeciti.

1.3. Sotto il profilo del fumus, inteso come astratta sussumibilità dei fatti contestati, come ipotesi di accusa, in determinate fattispecie di reato, il Tribunale osservava, richiamando per relationem il provvedimento genetico e gli atti di P.G. allo stesso prodromici, che P.S. era stato condannato con sentenza dell’11 febbraio 1999, irrevocabile il 7 ottobre 2000, alla pena di anni undici e mesi quattro di reclusione per i reati di cui agli artt. 81 e 416-bis c.p., artt. 81 e 110 cod. pen., D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74, artt. 81 e 110 cod. pen. e L. n. 895 del 1967, art. 2, e che la contestata interposizione fittizia di P. F. a P.S., dominus dell’affare connesso alla società Goldbet, fondava la fattispecie di reato contestata a P.S., ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12- quinquies, comma 1, e quella di cui agli artt. 648-bis e 648-ter cod. pen., contestata a P.F. e altri, che sostanziavano il disegno e la finalità dell’associazione per delinquere, finalizzata all’esercizio abusivo di attività di gioco e scommesse raccolte telematicamente, e giustificavano il disposto sequestro preventivo.

1.4. Quanto al periculum, il Tribunale, che ampiamente ricostruiva gli investimenti operati dalla famiglia P. a partire dal primo, effettuato il 10 febbraio 1999, con riguardo all’impresa individuale denominata Caffetteria Bubu, da parte di P.F., con posizione reddituale con saldo negativo non compensata da quella del padre P.G., analizzava le vicende, definite sospette, della società POLMAR, costituita il 19 febbraio 2001 dallo stesso P.F. e da M.G., soci al 50%.

Gli investimenti, iniziali e successivi, ad avviso del Tribunale, non erano dimostrati dal M. e non erano giustificati per P. F. con il ricavato della rivendita della caffetteria e degli utili dalla stessa realizzati, nè con il contratto di mutuo, nè con le entrate correnti in rapporto alla dotazione delle strutture aziendali e all’impianto merceologico, avuto anche riguardo al contenuto del contratto di affiliazione commerciale intercorso con la LILLO s.p.a..

1.5. La posizione di L.S.E. era emersa quando si era completata la modifica della compagine della società POLMAR, già iniziata, subito dopo la sua costituzione, con la cessione a P. D. dell’intera quota sociale da parte di M.G., proseguita con la cessione alla stessa del 10% della sua quota sociale da parte di P.F., e definita con la cessione, avvenuta nel 2003, da parte di quest’ultimo del residuo 40% della sua quota alla predetta L.S., la fittizietà della cui partecipazione era tradita dalla entità della quota, mentre la deduzione della sua possidenza non era legittimata dalla sua "qualifica di già dipendente della società".

La società POLMAR nella ricostruzione operata dall’ordinanza, a fronte di costi ingenti, aveva conseguito utili in saldo negativo nei primi due anni, modesti fino al 2006, significativi, ma non esorbitanti, nel 2007 quando aveva acquistato un immobile dal Tribunale di Lecce per l’importo di duecentosettantamila Euro, non giustificato nella sua lecita provenienza.

1.6. L’operatività del disposto sequestro nei confronti del terzo trovava, quindi, sicuro fondamento, secondo il Tribunale, nella divergenza tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, provata dalla più che sospetta locupletazione della società con l’acquisto della proprietà dell’immobile poi oggetto di leasing, e provento in tal modo di ulteriore lecita liquidità, e dal forte sospetto del ricorso alla interposizione fittizia da parte del gruppo imprenditoriale dei P..

Erano, infatti, comprovati non solo il coinvolgimento della ricorrente nei reati contestati agli indagati, ma anche la sproporzione, fondata sulle stesse condotte di reato, tra redditi da lavoro dipendente e investimenti effettuati per l’acquisto delle quote e per i discussi successivi conferimenti, ponendosi anche l’interposizione societaria come efficace strumento di ripulitura dei proventi delle condotte di reato, così da essere suscettibili di sequestro non solo le quote sociali dei P. ma l’intero capitale sociale e i beni acquistati dalla società con i conferimenti illeciti sproporzionati alle entrate lecite.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, L.S.E., che ne chiede l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale lamenta inosservanza o erronea applicazione del D.L. n. 306 del 1992, art. 12- sexies, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), e motivazione meramente apparente in violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e art. 125 cod. proc. pen., da intendersi come violazione di legge ai sensi dell’art. 325 c.p.p., comma 1.

Secondo la ricorrente, l’ordinanza ha confuso con le complesse vicende della famiglia P. la vicenda di essa ricorrente, titolare di quote del capitale sociale della POLMAR srl, corrispondenti al 40% del capitale sociale, acquistate da P. F. con atto del notaio Pallata e legittimamente detenute, ed estranea alle indagini e alle contestate attività criminose, asseritamente poste in essere dalla famiglia P., senza chiarire il ruolo da essa rivestito e la ragione dell’adozione della misura cautelare nei suoi confronti.

In particolare, non è stato compiuto alcun accertamento per verificare il ruolo di prestanome della famiglia P. attribuito alla ricorrente, nè i rapporti eventuali della stessa con l’indicata famiglia.

La ricorrente, dipendente della società dal 2002, è entrata in possesso delle quote nel 2003 avendole acquistate a fronte di grandi sacrifici, propri e del suo nucleo familiare, e ritenendo di poter avere nella stessa un ruolo determinante.

La posizione di socio non indagato, legittimo acquirente delle quote del capitale sociale, imponeva al giudice l’assolvimento di onere motivazionale particolarmente gravoso per far prevalere la misura cautelare sul diritto di godimento del bene da parte del terzo, non familiare, non sulla base di richiami giurisprudenziali, non rapportati al caso concreto, ma attraverso la dimostrazione delle ragioni della ritenuta interposizione fittizia sulla base di elementi fattuali gravi, precisi e concordanti, come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, tratti dalle risultanze degli atti di indagine, nel caso di specie invece del tutto carenti, e non sfociati nella formulazione di ipotesi di reato a carico della ricorrente.

Nè, ad avviso della ricorrente, l’ordinanza aveva motivato in merito alla strumentante delle quote rispetto alla commissione del reato o al pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato in caso di libera disponibilità delle stesse da parte del terzo.

La ricorrente, che ha dimostrato la titolarità del bene, allegando la visura storica della società ha provato l’assenza di collegamento del suo diritto con la condotta delittuosa altrui, avendo acquistato in buona fede le quote del valore nominale di quattromila Euro da P.F., incensurato, per Euro 22.080,00, come indicato alla pag. quindici della proposta di sequestro, e avendo dimostrato la non fittizietà della sua partecipazione alla vita della società attraverso la documentazione bancaria allegata al ricorso, probativa di versamenti fatti sul conto della società, a mezzo assegno circolare, con prelievi dal conto del coniuge.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Occorre premettere che il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa in sede di riesame dei provvedimenti di sequestro preventivo è proponibile solo per violazione di legge.

Nella nozione di violazione di legge, per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione e la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlata all’inosservanza di precise norme processuali. Non rientrano, invece, nel concetto di violazione di legge, come indicato nell’art. 111 Cost. e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), anche la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione, suscettibili di denuncia nel giudizio di legittimità soltanto attraverso lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Sez. 6, n. 21250 del 04/06/2003, ric. P.M. in proc. De Palo, Rv. 225578).

2.1. Conseguentemente, in tema di riesame del sequestro, l’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma vanno valutati così come esposti al fine di verificare se essi consentono – in una prospettiva di ragionevole probabilità – di inquadrare l’ipotesi formulata dall’accusa in quella tipica. In altri termini, il controllo del giudice non può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma deve limitarsi all’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito a un soggetto in una determinata ipotesi di reato (Sez. U. n. 23 del 20/11/1996, dep. 29/01/1997, Bassi e altri, Rv. 206657; Sez. 1, n. 4496 del 25/06/1999, dep. 27/07/1999, Visconti, Rv. 214032; Sez. 3, n. 36538 del 11/06/2002, dep. 04/11/2002, Pianelli, Rv. 223075; Sez. 5, n. 23240 del 18/05/2005, dep. 21/06/2005, Zhu, Rv. 231901; Sez. 2, n. 12906 del 14/02/2007, dep. 29/03/2007, P.M. in proc. Mazreku, Rv. 236386).

2.2. Con particolare riferimento al sequestro preventivo dei beni confiscabili a norma della L. n. 356 del 1992, art. 12-sexies, questa Corte ha affermato (Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, dep. 19/01/2004, Montella, Rv. 226492; Sez. 1, n. 9218 del 14/01/2009, dep.02/03/2009, Barrazzo, Rv. 243544; Sez. 5, n. 20818 del 24703/2009, dep. 18/05/2009, Salvatore, Rv. 243942; Sez. 1, n. 19516 del 01/04/2010, dep. 24/05/2010, Barilari, Rv. 247205) che, poichè la confisca prevista dalla detta norma ha struttura e presupposti diversi dalla confisca ordinaria prevista dall’art. 240 cod. pen., e richiede, a differenza di quest’ultima che presuppone "la correlazione tra un determinato bene e un certo reato", un nesso tra "un patrimonio ingiustificato e una persona", nei cui confronti sia stata pronunciata condanna o applicata la pena patteggiata per uno dei reati indicati nell’articolo citato, è necessario accertare, ai fini del sequestro preventivo di beni confiscabili ai sensi del medesimo articolo:

– quanto al fumus commissi delicti, l’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato di uno dei reati in esso indicati, senza che sia richiesta l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza relativamente al delitto contestato, alla cui successiva condanna è inderogabilmente legata la confisca obbligatoria alla quale il sequestro stesso è strumentale, non essendo estensibili, per la loro peculiarità, alle misure cautelari reali i presupposti di applicabilità delle misure cautelari personali, indicate nell’art. 273 cod. proc. pen.;

– quanto al periculum in mora, la presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, e cioè la sproporzione del valore del beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto e la mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi.

3. A tali principi si è adeguato il Tribunale di Lecce, che ha rigettato l’istanza proposta dall’odierna ricorrente L.S. E., volta a ottenere la restituzione della quota del capitale sociale della POLMAR s.r.l., corrispondente al 40%, formalmente alla stessa intestato e sottoposto a sequestro preventivo dal G.i.p. dello stesso Tribunale, che ha ritenuto la detta società, della quale ha specificatamente ricostruito le vicende costitutive e modificative della compagine societaria e le vicende patrimoniali in rapporto ai costi, agli utili, ai conferimenti e agli investimenti, collettore e mezzo di reinvestimento di denaro illecito.

3.1. Il Tribunale è pervenuto a dette conclusioni dopo aver ravvisato la sussistenza di un grave quadro indiziario per i reati contestati a P.S., e a P.F. e altri, ben oltre la soglia del fumus necessario e sufficiente ai fini cautelari, nella totale condivisione della già operata valutazione del materiale investigativo da parte del Giudice per le indagini preliminari, e dopo avere accuratamente valutato, sotto il profilo del periculum, gli esiti degli accertamenti patrimoniali eseguiti con riguardo alle attività imprenditoriali del gruppo P., da ultimo afferenti al mondo del gioco e delle scommesse, ponendo a raffronto, con argomentazioni precise e specifiche, gli investimenti operati nel tempo da P.F. con la sua posizione reddituale e capacità patrimoniale; la creazione della società POLMAR e la lievitazione dei suoi introiti e degli operati investimenti, iniziali e successivi, per le strutture aziendali, per l’impianto merceologico e per gli acquisti immobiliari con le deduzioni, ritenute infondate, riguardanti la rivendita della caffetteria e degli utili dalla stessa realizzati, il contratto di mutuo, le entrate correnti e il contenuto del contratto di affiliazione commerciale intercorso con la LILLO s.p.a.; l’operazione di cessione del quaranta per cento del capitale sociale della detta società da P.F. alla L.S. e le possidenze della stessa.

3.2. Nel tessuto argomentativo dell’ordinanza impugnata, che ha ritenuto tale mirata analisi sintomatica della contestata interposizione fittizia di P.F. al fratello P. S., della più che sospetta locupletazione della società resa possibile dal conferimento di denari liquidi di provenienza ingiustificata, della incidenza negativa dei conferimenti illeciti, sproporzionati rispetto alle entrate lecite, sugli acquisti "a valle" fatti dalla stessa società, della conseguente sussistenza di un’assoluta e insanabile sproporzione reddituale e della interposizione societaria della ricorrente, titolare di reddito da lavoro dipendente nella medesima società, al gruppo imprenditoriale dei P., non è riscontrabile il vizio di violazione di legge, attesa la corretta applicazione delle disposizioni normative in materia di misure cautelari reali e l’esatta interpretazione delle norme applicate alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte.

Nè la motivazione dell’ordinanza è, all’evidenza, apodittica e apparente ma adeguata e logicamente giustificatrice dell’iter logico seguito, alla luce della condotta analisi e delle deduzioni e produzioni difensive, con riferimento alla sussistenza dei presupposti che legittimano l’adozione del disposto sequestro dell’intera società. 3.3. Le censure svolte con il ricorso, che ripercorrono le doglianze già sviluppate in merito al decreto del Giudice per le indagini preliminari, sono infondate nella parte in cui concernono la circostanza che il fumus del delitto presupposto dell’adottato sequestro riguardi la famiglia P., e non la ricorrente estranea alle indagini e alle contestate attività criminose, avuto riguardo al fondamento e alle stesse ragioni dell’adozione, estesa all’intera società, del provvedimento cautelare; sono improponibili in questa sede di legittimità nella parte in cui, prospettate come doglianze volte a censurare la mancanza della motivazione o di coordinamento delle linee argomentative del provvedimento, attengono alla tenuta logica della motivazione quanto alla sussistenza degli indizi della effettiva disponibilità dei beni oggetto del sequestro, al di là della formale intestazione, e prospettano una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito quanto alla sproporzione – ritenuta dal Tribunale coerentemente ingiustificata seguendo un corretto metodo di esame e di valutazione della prova – del valore dei beni rispetto ai redditi dichiarati e alle attività economiche esercitate.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Consegue a tale declaratoria la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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