Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-02-2012, n. 2734

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

E. e P.M.D. citarono innanzi al Tribunale di Bergamo A.P., proprietario di un fabbricato finitimo al proprio con il quale, nel 1927, aveva costituito corpo unico, sito in (OMISSIS), affinchè venisse condannato alla rimozione di alcuni manufatti edificati in ispregio delle norme urbanistiche ed in violazione della disciplina sulle distanze tra edifici. In particolare evidenziarono: che il convenuto aveva ricostruito il solaio di copertura del portico di accesso, sottostante i propri locali, determinando l’impossibilità di apertura del portone sottostante di proprietà di esse attrici; che aveva posto in essere opere di rifacimento del tetto del suo edificio con prolungamento della falda di copertura, occupando una superficie di spettanza di esse P.; che aveva realizzato una terrazza solario sul terzo piano del suo fabbricato, così consentendo una veduta diretta sul fondo attorco; che aveva installato un assito di legno di chiusura di un corridoio al secondo piano del fabbricato delle deducenti, impedendo l’accesso a fini manutentivi, al tetto ed alla facciata di quest’ultimo.

Il convenuto si costitui rilevando: che in precedenza vi era stato un giudizio avente ad oggetto l’illegittimo posizionamento delle opere realizzate sulle porzioni di fabbricato poi allenate alle parti in causa, a seguito del quale era intervenuta una transazione nel 1958;

che nel 1981 era stato autorizzato dagli aventi causa delle attrici il taglio di alcuni centimetri del portone in legno accedente al portico; che l’area dello stesso portico era stata, negli anni, occupata illecitamente dalle attrici con materiale di risulta ed in parte, come magazzino per l’attività commerciale delle dette P.; che i lavori di sopraelevazione del corpo di fabbrica delle medesime, effettuati nel 1958 dal loro dante causa, avevano determinato la suddivisione del sottotetto in due entità distinte;

che le domande di riduzione in pristino delle opere di prolungamento della falda del tetto e della costruzione del terrazzo con veduta non avrebbero potuto essere accolte in quanto tali immutazioni sarebbero state eseguite da oltre vent’anni e quindi sarebbe maturato ti ventennio necessario per l’usucapione del diritto di mantenerle in loco nell’attuale consistenza; del pari oggetto di usucapione sarebbe stata l’installazione di un assito di legno.

Svolse il convenuto domanda riconvenzionale affinchè le attrici ponessero rimedio: ad infiltrazioni d’acqua provenienti dal confinante capannone; alla impraticabilità del corridoio al piano terreno dell’edificio P., gravato da servitù di passaggio in favore del fabbricato di esso convenuto; all’immissione di odori malsani dal sottoscala, ove era collocato un servizio igienico abbisognoso di bonifica; all’incompletezza della copertura del tetto, dal quale entravano topi e piccioni, con pregiudizio per l’igiene. Il Tribunale adito condannò l’ A.: ad arretrare il terrazzo o, in alternativa, ad innalzare il parapetto sino a metri 2 di altezza, oltre al risarcimento dei danni per la violazione delle distanze e per le infiltrazioni di acqua piovana; a rimuovere i materiali inerti siti nel corridoio ed a sistemare il plafone dello stesso, rigettando le altre domande.

Interposto appello da parte delle P. e gravame incidentale da parte dell’ A., la Corte di Appello di Brescia, pronunziando sentenza n. 49/2006, dichiarò inammissibile l’impugnazione incidentale ed accolse in parte quella principale, con risarcimento del danno a carico dell’appellato.

Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso l’ A. sulla base di cinque motivi; hanno resistito le P. con controricorso.

Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del contraddittorio osservando che la Corte territoriale, qualificando come negatoria servitutis la domanda delle P., e condannando esso esponente alla rimozione o comunque ad un facere, avrebbe omesso di considerare che tali attività avrebbero riguardato un immobile in comproprietà con la moglie G.H.M.L., come da allegato atto di compravendita del 1980, così che la sentenza, essendo stata emessa a contraddittorio non integro, ne risulterebbe viziata di nullità.

Il motivo non è fondato.

1/a – Va preliminarmente affermata l’ammissibilità dell’anzidetta produzione documentale, a corredo del ricorso, atteso che più volta questa Corte ha ritenuto legittimamente depositati documenti, in base al disposto dell’art. 372 c.p.c., non solo nell’ipotesi in cui da essi potesse derivare la dimostrazione della nullità della sentenza per vizi propri della stessa, per la mancanza dei requisiti di sostanza e di forma prescritti dal codice di rito, ma anche quando detta invalidità fosse conseguenza di vizi del procedimento, come quelli relativi alla regolare costituzione del rapporto processuale ;

detto questo peraltro la stessa interpretazione di legittimità ha avuto cura di limitare la produzione tardiva – a seguito di una lettura dell’art. 372 c.p.c. costituzionalmente orientata, al fine di renderla compatibile con la riaffermazione del diritto di difesa delle parti ex art. 24 Cost. – nel solo caso in cui la produzione documentale non fosse stata possibile nei precedenti gradi del giudizio di merito o perchè la pronunzia fosse stata resa in unico grado di merito (ipotesi prese in esame da Cass. n. 3373/2009; Cass. n. 13535/2007; Cass. n. 13011/2006; Cass. n. 23576/2004) o perchè il vizio si fosse manifestato nel giudizio di appello (fattispecie alla base di: Cass. n. 7515/2011; Cass. n. 11227/2000).

1/b – Nel caso in esame, pur risalendo l’atto dì acquisto dell’immobile a più di vent’anni prima della notifica della citazione in primo grado (giugno 2001) l’influenza di tale acquisto sul contraddittorio è stata fatta documentalmente valere solo nel giudizio di legittimità, rendendo quindi applicabile l’ulteriore principio, del pari emergente da un costante orientamento di legittimità, secondo il quale, pur essendo possibile eccepire per la prima volta la non integrità del contraddittorio anche in sede di legittimità, tuttavia tale eccezione è proponibile nel giudizio di cassazione solo nel caso in cui il presupposto e gli elementi di fatto emergano ex se emergano dagli atti del processo di merito, senza la necessità di nuove prove e dello svolgimento di ulteriori attività (vedi sul punto: Cass. n. 18110/2011; Cass. n 16315/2011;

Cass. n. 25305/2008; Cass. n. 10151/2004; Cass. n. 203/2003; Cass. n. 2431/2002; Cass. n. 593/2001), situazione, come visto, non riscontrabile nella fattispecie.

2- Con il secondo motivo viene denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. per aver, la Corte territoriale, respinto la richiesta di prosecuzione dell’assunzione delle prove orali già ammesse in primo grado, sulla base della considerazione – non formante oggetto di specifica eccezione di controparte – che in sede di precisazione delle conclusioni innanzi al Tribunale tale richiesta non sarebbe stata rinnovata; osserva in contrario l’ A. che la mancata, espressa, riproposizione di istanze in precedenza formulate non può determinare di per sè la presunzione del loro abbandono da parte del richiedente.

2/b – Il motivo è infondato in quanto il principio di diritto esposto nel ricorso è stato costantemente interpretato in sede di legittimità in rapporto alla specificità delle conclusioni rassegnate all’apposita udienza, così che, se le medesime siano analiticamente esposte – come espressamente ha affermato la gravata decisione- sussiste la presunzione di abbandono delle istanze non riproposte (cfr. Cass. 14783/2004).

2/c – Va altresì sottolineato che, in presenza di un provvedimento istruttorio adottato dal Tribunale, con il quale il giudice di merito ritenne non ammissibili i capitoli di prova oggetto di successiva riproposizione, la parte oggi ricorrente, al fine di far legittimamente confluire nel giudizio di gravame la questione dell’erroneità di siffatta esclusione, avrebbe dovuto formulare uno specifico motivo di appello e non già una mera riproposizione della istanza istruttoria, in quanto la delimitazione del materiale probatorio operata in istruttoria fu fatta propria dal Tribunale in sede decisoria, dunque sul presupposto di un – poi solo in questa sede dedotto – error in judicando.

3- Con il terzo motivo, la parte ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione dell’art. 949 cod. civ. nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione in merito alla qualificazione della causa petendi posta a base delle richieste delle P. (con specifico riferimento alla ricostruzione del solaio di copertura del portico delle medesime con riduzione in altezza di quest’ultimo): assume in proposito l’ A. che la realità dell’azione delle parti attrici – qualificata dalla Corte di merito come negatoria servitutis – pur essendo in astratto condivisibile in presenza di una richiesta di reintegra in pristino stato con riferimento ad opere che ledevano il loro diritto dominicale, sarebbe peraltro stata riscontrabile solo se dalla valutazione della condotta posta in essere dall’autore delle immutazioni fosse stato possibile rinvenire anche un atteggiamento oppositivo rispetto alla proprietà altrui, circostanza questa non riscontrata; come conseguenza, l’azione delle P. avrebbe assunto natura personale e carattere meramente risarcitorio – in forma specifica – del diritto di proprietà leso e quindi, risalendo la costruzione del manufatto ad epoca anteriore all’acquisto, da parte delle predette, del bene, le stesse non sarebbero state legittimate a richiedere siffatta riduzione in pristino.

3/a ha censura non merita accoglimento: quanto al dedotto vizio di motivazione lo stesso non è sorretto da alcuna argomentazione dalla quale emerga la carenza di logicità nel ragionamento del giudice o la contraddittorietà in cui la Corte di merito sarebbe incorsa rispetto alle premesse logiche del proprio argomentare; quanto al vizio di violazione di legge, va ribadito il principio secondo il quale la qualificazione della domanda giudiziale non è determinata dal solo petitum mediato – che nella fattispecie assunse le caratteristiche di una riduzione in pristino, di per sè compatibile anche con l’esercizio di un’azione meramente risarcitoria – quanto piuttosto dalle allegazioni e deduzioni contenute nell’originaria citazione e, quindi, dal diritto in difesa del quale si intese agire:

avendo la Corte territoriale coerentemente ritenuto che, dalla valutazione complessiva della citazione introduttiva del giudizio di primo grado, si sarebbe dovuto trarre il convincimento dell’esercizio di un’azione a difesa della proprietà delle parti P., allora coerentemente deve dirsi escluso ogni diverso scrutinio di quell’interpretazione da parte di questa Corte, trovando applicazione il principio secondo il quale l’interpretazione della domanda giudiziale, consistendo in un giudizio di fatto, è incensurabile in sede di legittimità e, pertanto, la Corte di cassazione è abilitata all’espletamento di indagini dirette al riguardo soltanto allorchè il giudice di merito abbia omesso la relativa indagine interpretativa ma non se l’abbia compiuta ed abbia motivatamente espresso il suo convincimento in ordine all’esito dell’indagine (così, ex multis:

Cass. n. 5876/2011; Cass. n. 17109/2009; Cass. 20373/2008).

3/b – Va peraltro aggiunto che, per come emerge dalla narrativa del fatto contenuta nella sentenza della Corte di Appello, la contestazione della minor estensione del diritto domenicale delle P. sul solaio di copertura poi abbassato, era insita nella difesa dell’ A. che assunse di aver compiuto la sostituzione del pavimento del sovrastante balcone a seguito di accordo, nel 1981, con la precedente proprietaria P.G.M., dante causa delle allora attrici, così contestando che l’estensione in altezza del portico – e dunque la proprietà del medesimo per la parte oggetto dell’abbassamento – fosse quella pretesa dalle medesime.

4 – Con il quarto motivo viene denunciata un’insufficiente e contraddittoria motivazione in merito alla valutazione delle prove dell’intervenuta usucapione: la censura è inammissibile in quanto si limita ad una rilettura – in senso favorevole alle proprie tesi – delle deposizioni testimoniali, senza quindi censurare il procedimento logico seguito dalla Corte del merito per giungere al divergente risultato interpretativo.

5 – Con il quinto motivo il ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. nonchè vizio di motivazione in merito al rigetto della condanna delle P. a sostituire la copertura del tetto (da cui sarebbero entrati piccioni e topi) con conseguente ammaloramento e stabilizzazione di una situazione antiigienica, come certificato dalla relazione del responsabile dell’Ufficio di Igiene.

5/a – Tale motivo non è fondato quanto al vizio illustrato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che con lo stesso non si fa valere l’astratta perimetrazione dell’ambito di applicazione della norma – da cui il vizio di violazione di legge – come neppure la non condivisa riconduzione della fattispecie concreta a quella astratta – facendo emergere il vizio di falsa applicazione della regula juris- deducendosi invece la non condivisione dei risultati interpretativi ai quali era giunta la Corte distrettuale negando che fosse stata raggiunta la prova di esalazioni superanti la normale tollerabilità derivante dallo stazionamento di piccioni nel sottotetto; dal momento che tale giudizio è stato raggiunto attraverso l’analisi di emergenze istruttorie (cfr. fol. 37 della censurata decisione) la cui scelta e delibazione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito -il quale comunque riportò ampi stralci della stessa relazione dell’Ufficio di Igiene – la censura esula dallo scrutinio di questa Corte.

6 – Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come indicato in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile della Corte di Cassazione, il 10 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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