Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 20-04-2011) 30-09-2011, n. 35635 Dichiarazione di fallimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 29 aprile 2010 il Tribunale di Modica, in composizione monocratica, ha dichiarato G.V. S. colpevole della contravvenzione di cui all’art. 677 c.p., comma 3, allo stesso contestata per avere omesso, nella sua qualità di curatore del fallimento di S.P. e C.G., di provvedere ai lavori necessari per la messa in sicurezza e la rimozione del pericolo per la pubblica incolumità derivante dallo stato di degrado in cui si trovavano i piani secondo e terzo dell’edificio sito in Pozzallo, Via L. Einaudi n. 28, oggetto del fallimento, e l’ha condannato alla pena di Euro cinquecento di ammenda, con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

1.1. Secondo il Tribunale le fonti probatorie della responsabilità dell’imputato erano costituite dalle deposizioni dei testi R. A., abitante in Pozzallo nello stesso stabile di Via L. Einaudi n. 28, e A.S., assistente della Polizia Municipale del Comune di Pozzallo, dalle foto ritraenti lo stato dei luoghi e dalla documentazione prodotta dalla difesa.

1.2. Era, in particolare, risultato che l’imputato era curatore del fallimento S. e C., al cui attivo vi erano i piani secondo e terzo dell’edificio sito in Pozzallo, Via L Einaudi n. 28;

la caduta di calcinacci dai detti due piani, aveva determinato un puntellamento dei solai abusivi e pericolanti, cui aveva provveduto l’Ufficio tecnico del Comune nel 2001, previa indizione di gara d’appalto, su istanza del curatore del fallimento; la protrazione della situazione aveva determinato la presentazione di più esposti da parte del teste R. e poi anche degli altri condomini; in occasione del sopralluogo effettuato il 5 marzo 2008 dal teste A., l’edificio era risultato in una situazione di notevole degrado strutturale; il dirigente del Comune di Pozzallo con lettera del 29 maggio 2008 aveva invitato l’imputato, nella sua qualità di curatore, a eliminare la situazione di pericolo dell’edificio; il curatore, riscontrando tale comunicazione, aveva chiesto ragguagli sullo stato dell’immobile e comunicato al giudice delegato la situazione rappresentatagli dal Comune; il giudice delegato aveva avviato l’iter per verificare lo stato dell’immobile e individuare la ditta che potesse occuparsi della demolizione dei piani costruiti abusivamente.

1.3. Secondo il Tribunale ricorrevano gli elementi, oggettivo e soggettivo, del reato contestato, poichè era provato che dall’immobile cadevano calcinacci e che lo stato di assoluto degrado e fatiscenza dei piani secondo e terzo era tale da creare pericolo per l’incolumità dei condomini, e il curatore, in quanto immesso nella disponibilità dei beni dei falliti e custode degli stessi, ne rispondeva della gestione e manutenzione, con l’obbligo di eseguire le opere necessarie alla conservazione dell’immobile e alla rimozione delle situazioni di pericolo derivanti dal suo deterioramento progressivo.

Lo stesso curatore, che rispondeva anche a titolo di colpa, pur essendosi immediatamente attivato dopo la comunicazione del Comune di Pozzallo dell’aprile 2008, non aveva tuttavia svolto alcuna attività tra il 2004 e il 2008 per prevenire l’insorgere della situazione di degrado, nè aveva segnalato al giudice delegato lo stato di progressivo deterioramento delle opere eseguite nel 2001 e la necessità di procedere alla esecuzione di altre per evitare il pericolo di crollo e di lesione per la pubblica incolumità. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore, G.S.V., che ne chiede l’annullamento sulla base di tre motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge per mancata correlazione tra imputazione contestata e sentenza, rilevando che, mentre è stata contestata l’omissione dei lavori necessari per la messa in sicurezza dell’edificio e per la rimozione del pericolo per la pubblica incolumità, la sua responsabilità è stata ritenuta per l’omissione di attività di prevenzione della insorgenza di situazione di degrado e di segnalazione al giudice delegato dello stato di progressivo deterioramento delle opere eseguite nel 2001. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge per essere stato condannato per un fatto non previsto dalla legge come reato, rilevando che l’art. 677 cod. pen. prevede come contravvenzione l’omessa esecuzione dei lavori necessari e non genetiche attività di prevenzione o di "segnalazione al giudice delegato", che rientrano al più tra gli obblighi civilmente sanzionati del proprietario di un immobile o di chi si trovi a essere investito della sua posizione.

3.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia contraddittorietà della motivazione e mancata valutazione di prove decisive.

In particolare, secondo il ricorrente, alla luce della contestazione mossa, l’omissione dell’obbligo di intervenire a suo carico è collocata a decorrere dal novembre 2004, senza l’indicazione delle ragioni di tale collocazione temporale, tanto più necessarie perchè, dopo gli interventi del 2001, la ripresentazione del pericolo non gli è mai stata rappresentata fino al 2008, quando i condomini dell’edificio si sono rivolti al Comune ed è stato effettuato il sopralluogo, all’esito del quale egli, informato, si è subito attivato.

Trattandosi di reato omissivo, la condotta ascritta integra reato solo se risulti assunta coscientemente in violazione di uno specifico obbligo di agire, mentre il Tribunale ha del tutto omesso di valutare l’evidente incoscienza in capo al ricorrente dell’esistenza di uno stato di degrado, di un pericolo per la pubblica incolumità e di un obbligo di intervento.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Deve premettersi che l’art. 677 cod. pen. prevede al comma 1 una fattispecie omissiva propria, già costituente reato e ora depenalizzata, la cui condotta consiste nel non provvedere ai lavori necessari, ricorrendo la situazione di minaccia di rovina di una costruzione. Il comma 2 della medesima norma descrive una fattispecie, ugualmente omissiva, avente come presupposto della condotta l’avvenuta rovina di un edificio o di una costruzione, e il terzo comma, infine, prevede un aggravamento della pena, qualora dai fatti sopra indicati sia derivato pericolo alle persone.

2.1. Per la sussistenza del reato previsto dal detto comma 3 occorre, per giurisprudenza consolidata di questa sezione, che il proprietario – o chi per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza – non abbia provveduto prontamente ai lavori necessari e indispensabili per scongiurare il pericolo attuale per la pubblica incolumità, a nulla rilevando nè l’ignoranza dello stato di pericolo in cui versa l’edificio, nè un preventivo provvedimento amministrativo che accerti e formalmente notifichi all’obbligato la necessità di intervenire, derivando questa direttamente dalla legge, sul presupposto di fatto dell’obiettiva sussistenza di una minaccia di rovina dell’immobile (o di una sua parte) e, dunque, di una situazione di pericolo per l’altrui incolumità (tra le altre, Sez. 1, n. 34112 del 13/07/2001, dep. 18/09/2001, Muscolino, Rv. 219758;

Sez. 1, n. 17844 del 26/03/2003, dep. 15/04/2003, Milesi e altro, Rv.

224799; Sez. 1, n. 233 del 21/11/2007, dep. 07/01/2008, Aversano, Rv.

238809).

In altri termini, la previsione incriminatrice dell’art. 677 c.p.p., comma 3, è incentrata sulla mera omissione da parte del proprietario dell’immobile – o chi per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza – dell’obbligo di diligenza nella cura dello stesso allo scopo di scongiurare una rovina pericolosa per la pubblica incolumità e del conseguente obbligo di attivazione in tal senso, sussistenti indipendentemente da qualsiasi provvedimento coattivo della pubblica amministrazione, che, pertanto, ove adottato, assume carattere meramente ricognitivo della già verificatasi inosservanza.

La contravvenzione così delineata, che non si limita a sanzionare obblighi imposti da norme di diritto civile poichè mira a tutelare una sfera autonoma, costituita dall’interesse alla salvaguardia della pubblica incolumità, è quindi reato proprio, realizzabile dal proprietario o da altro soggetto avente una qualificazione che comporti l’obbligo di conservazione o di vigilanza della costruzione, e ha carattere permanente, in quanto lo stato di consumazione perdura fino a che non venga meno la situazione antigiuridica per fatto volontario dell’obbligato o per altra causa (Sez. 1, n. 5196 del 28/03/1996, dep. 25/05/1996, Rossetti, Rv. 204667; Sez. 1, n. 12721 del 07/03/2007, dep. 27/03/2007, Orza, Rv. 236382; Sez. 1, n. 6596 del 17/01/2008, dep. 12/02/2008, Corona e altri, Rv. 239130).

3. Tanto premesso, si rileva la manifesta infondatezza di primo motivo, con il quale è denunciata la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen..

3.1. In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, dep. 13/10/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, dep. 22/10/1996, Di Francesco, Rv. 205619).

L’indagine volta ad accertare la violazione del detto principio non si esaurisce, pertanto, nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in rapporto a tutte le circostanze rilevanti del fatto, che è oggetto dell’imputazione.

Sussiste, invece, violazione del principio di correlazione della sentenza all’accusa formulata quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o d’incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, così, di fronte – senza avere avuto alcuna possibilità di difesa – a un fatto del tutto nuovo.

3.2. Alla stregua di detti principi e tenuto contro della previsione della norma incriminatrice della fattispecie contestata e della formulata imputazione, non sussiste all’evidenza èa dedotta violazione, in quanto al ricorrente è stato contestato di avere omesso, nella sua qualità di curatore fallimentare, di "provvedere ai lavori necessari per la messa in sicurezza e la rimozione del pericolo per la pubblica incolumità derivante dallo stato di degrado" in cui si trovavano i beni acquisiti all’attivo fallimentare.

Il medesimo è stato dichiarato responsabile per "la sussistenza dell’elemento oggettivo della messa in pericolo della pubblica incolumità richiesta quale elemento costitutivo dall’art. 677 c.p.p., comma 3", dipendente dallo stato di fatiscenza dell’immobile che determinava la caduta di calcinacci sulla strada e rischi per l’incolumità dei condomini, gravando sullo stesso l’obbligo, quale custode giudiziario, di eseguire, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria le opere necessarie alla conservazione dell’immobile e alla rimozione delle situazioni di pericolo connesse al progressivo deterioramento dell’immobile, e, sul piano soggettivo, per la risalente consapevolezza dello stato dei luoghi e della situazione di precarietà delle opere eseguite, a mezzo puntellamento del 2001, esposte a progressivo deterioramento, senza svolgere alcuna attività per prevenire l’Insorgere della situazione di degrado, e segnalare al giudice delegato lo stato di progressivo deterioramento delle medesime opere e la necessità di procedere alla esecuzione di altre per evitare il pericolo di crollo e di lesione per la pubblica incolumità.

Non è dato riscontrare nella specie alcuna violazione del diritto di difesa, considerato che l’imputato, che ha contestato solo la ritenuta diversità del fatto contestato in imputazione rispetto a quello per cui è intervenuta condanna, è stato posto nella condizione di interloquire su ogni aspetto della vicenda.

4. La manifesta infondatezza del secondo motivo, con il quale si deduce che il fatto per il quale è intervenuta condanna non è previsto dalla legge come reato sul rilievo che generiche attività di prevenzione e "segnalazione al giudice delegato" non rientrano nella previsione normativa dell’art. 677 c.p. ma "al più" tra gli obblighi civilmente sanzionati del proprietario di un immobile o di chi si trovi a essere investito della sua posizione, deriva da un lato dalla compiuta descrizione in sentenza della condotta, integrativa della fattispecie criminosa contestata, contestata e attribuita all’imputato, e dall’altro lato dalla omessa considerazione, da parte del ricorrente, della posizione del curatore con riguardo ai beni facenti parte dell’attivo fallimentare, dei quali ha l’amministrazione sotto la direzione del giudice delegato (L. Fall., art. 31).

5. Anche il terzo motivo, che denuncia la contraddittorietà della motivazione e la mancata valutazione di prove decisive, è manifestamente infondato.

5.1. La categoria logico-giuridica del travisamento della prova, cui si ricollega la censura attinente alla mancata o errata valutazione delle risultanze probatorie, implica la constatazione dell’esistenza di una palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto, per essersi utilizzata in sentenza e rappresentata in motivazione un’informazione probatoria rilevante non esistente nel processo, o per essersi omessa la valutazione di una prova decisiva, o per essere una determinata informazione, oggetto di analitica censura chiaramente argomentata, contraddetta da uno specifico atto probatorio processuale.

L’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nell’ammettere, nella sua vigente formulazione, un sindacato esteso a quelle forme di patologia del discorso giustificativo riconoscibili solo all’esito di una cognitio facti ex actis, colloca il vizio di travisamento della prova, cioè della prova omessa o travisata, rilevante e decisiva, nel peculiare contesto del vizio motivazionale, poichè inerisce al tessuto argomentativo della ratio decidendi (tra le altre, Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, dep. 27/04/2006, Vecchio, Rv. 233621; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, dep. 22/02/2007, Messina, Rv. 235716; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, dep. 21/06/2007, Musumeci, Rv. 237207; Sez. 1, n. 35848 del 19/09/2007, dep. 01/10/2007, Alessandro, Rv. 237684;

Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, dep. 12/10/2009, Belluccia, Rv.

244623), conferendo pregnante rilievo all’obbligo di fedeltà della motivazione agli atti processuali/probatori, di cui risultano valorizzati, oltre alla tenuta logico-argomentativa, anche i criteri di esattezza, completezza e tenuta informativa, e rafforzando l’onere di "indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto" a sostegno del singolo motivo di ricorso, fissato dall’art. 581 c.p.p., lett. c), (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, dep. 24/11/2003, P.G., Andreotti e altro, Rv. 226093).

5.2. Il vizio di prova "omessa" o "travisata" sussiste, tuttavia, soltanto quando la dedotta distorsione disarticola effettivamente l’intero ragionamento probatorio e renda illogica la motivazione, per l’essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio trascurato o travisato, secondo un parametro di rilevanza e di decisività ai fini del decidere, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una rilettura e reinterpretazione nel merito del risultato probatorio, da contrapporre alla valutazione effettuata dal giudice di merito (tra le altre, Sez. 1, n. 8094 del 11/01/2007, dep. 27/02/2007, Ienco, Rv. 236540; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, dep. 28/09/2007, Servidei, Rv. 237652; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, dep. 06/05/2008, Ferdico, Rv. 239789).

Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice di merito.

5.3. Nel caso in esame, la sentenza impugnata, in conformità ai principi di diritto, in precedenza enunciati, relativi alla configurazione giuridica della contravvenzione contestata, ha illustrato, con argomentazioni giuridicamente corrette e logicamente articolate, il contenuto delle testimonianze assunte confortate dai rilievi fotografici e dalla documentazione prodotta e specificatamente esaminata, da cui si evince in maniera univoca lo stato di degrado e fatiscenza dell’immobile oggetto del fallimento, già oggetto di interventi di straordinaria manutenzione nel 2001 per evitare pericoli di crollo, e fonte di obiettivo pericolo per l’incolumità dei condomini e dei terzi, ed ha rappresentato le ragioni dimostrative della responsabilità dell’imputato anche alla luce delle deduzioni difensive.

5.4. In questo contesto non possono trovare accoglimento le prospettazioni difensive, che, astraendo dalla corretta configurazione del reato contestato e attribuito e dalla coerente ricostruzione e logica correlazione degli elementi di conoscenza acquisiti, svolte dal Tribunale, sono volte a impegnare questa Corte In una diversa lettura e analisi valutativa dei detti elementi, nella erronea prospettiva della mancanza della "informazione" e della conseguente evidente incoscienza in capo all’imputato dell’esistenza di uno stato di degrado, di un pericolo per la pubblica incolumità e di un obbligo di intervento, come momenti valutativi necessari per la configurazione della responsabilità penale, e nella inammissibile rilettura nel merito del giudizio ricostruttivo del fatto.

6. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – valutato il contenuto dei motivi di ricorso e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione – al versamento, in favore della Cassa delle ammende della somma, che si determina, nella misura congrua ed equa, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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