Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 20-04-2011) 30-09-2011, n. 35631

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La Corte di assise di appello di Bari con sentenza pronunciata il 25 settembre 2009, depositata il successivo 13 ottobre, confermava la decisione della Corte di assise della stessa sede che, in data 27 aprile 2007, aveva assolto, per non aver commesso il fatto, Bi.

M.D. e, perchè i fatti non sussistono, S. O., imputati: il primo dal reato di omicidio, per avere cagionato la morte di B.A.M., colpendola ripetutamente e con violenza alla testa con un corpo contundente, in (OMISSIS), il secondo del reato di favoreggiamento continuato per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, aiutato Bi.Ma.Do. ad eludere le investigazioni dell’autorità, rendendo false dichiarazioni il 13 settembre 2002 ed il 18 settembre 2002 alla P.G., affermando: di non aver sentito il Bi. pronunciare le parole "cosa ho fatto, ho ucciso A.M." e affermando di non ricordare il nome dell’amico con il quale andò a prendere il Bi. sulla strada per (OMISSIS).

La vicenda della quale occupa la sentenza riguarda la morte violenta di B.A.M. il cui cadavere venne rinvenuto, la notte tra il (OMISSIS), da una pattuglia della Guardia di Finanza sulla strada statale (OMISSIS), a circa cento metri dallo svincolo per la zona industriale per Molfetta. Il corpo giaceva perpendicolarmente rispetto all’asse stradale, sul lato destro dell’arteria nella direzione verso Bisceglie, presentava il capo rivolto verso il guard-rail ed aveva le braccia sotto il busto.

Sul posto giungevano, quindi, il m.llo Pi.Mi., sottufficiale in servizio di turno della Compagnia dei CC di Molfetta, il PM che coordinava le indagini ed il medico legale prof. D.N.C., nonchè dei congiunti della vittima.

Dopo il riconoscimento ufficiale del corpo gli accertamenti autoptici stabilivano che la morte di B.A. era avvenuta tra le ore 21,00 e le ore 22,00 del (OMISSIS) ed era stata cagionata da gravi lesioni cranio – encefaliche, prodotte mediante un meccanismo contusivo ed associate ad un grave shock emorragico, il capo della vittima era stato attinto con almeno sei colpi inferti, con notevole violenza, con un oggetto contundente a superficie limitata. Il consulente accertava, inoltre, che la povera vittima era stata fatta segno di ripetute azioni contusive che avevano prodotto le ulteriori ecchimosi e tumefazioni riscontrate sulle braccia, sulle mani ed i altre parti del corpo, stabiliva, infine, che il corpo non presentava segni di un recente rapporto sessuale.

Dalle prime indagini emergeva che B.A.M., ventiduenne di Molfetta, era uscita dalla sua abitazione, ove avrebbe dovuto fare rientro circa due ore dopo, cosa non avvenuta per cui i familiari avevano dato l’allarme, verso le ore 20,30 del 3 febbraio e i primi sospetti si appuntarono su Bi.Ma.Do., un professore di ginnastica di quarantacinque anni con il quale la vittima intratteneva da tempo una relazione.

Le indagini a carico del Bi. venivano archiviate nell’ottobre del 1992, riaperte nel 1996 e nuovamente archiviate per essere, poi, riaperte nel 2000, originando il processo per il quale è stata pronunciata la sentenza della Corte di assise di appello di Bari oggetto della presente impugnazione.

A seguito del procedimento aperto nel 2000, oltre a Bi.Ma.

D., venivano tratti a giudizio davanti alla Corte di Assise di Trani anche T.E. (moglie divorziata del Bi.) e S.O., entrambi imputati del reato di favoreggiamento continuato per avere ciascuno singolarmente, con modalità ed in tempi diversi, aiutato il Bi. ad eludere le investigazioni rendendo dichiarazioni false agli inquirenti.

In particolare S.O. aveva fatto ingresso nella vicenda processuale a seguito delle dichiarazioni rese da tale N. M. che aveva riferito di una conversazione avuta con questi l’8 agosto 2002, da lui registrata all’insaputa dell’interlocutore e poi consegnata agli inquirenti. Nel corso di tale conversazione S. gli aveva riferito di ammissioni di responsabilità che Bi.Ma.Do. aveva fatto, relativamente all’uccisione della giovane vittima, quando una sera d’estate mente si trovava a Nettuno, si era recato, su richiesta della madre del Bi., a riprendere quest’ultimo che, in stato di ubriachezza, si era allontanato a piedi sulla via per Bisceglie. In quella occasione lo S., in compagnia di un amico, aveva raggiunto il Bi. con la sua autovettura e questi, salito sull’auto, aveva esclamato " che cosa ho fatto, che cosa ho fatto, ho ucciso A.M.".

Inizialmente S.O., sentito il 13 settembre 2002 presso il Commissariato di PS di Trani, aveva negato di aver avuto la conversazione con il N., successivamente, dopo l’ascolto della registrazione, confermò di aver detto al N. che il Bi. aveva pronunciato la frase "che cosa ho fatto, che cosa ho fatto, ho ucciso A.M.", ma precisò, sia in quella occasione, come successivamente il 18 settembre, che in realtà il Bi. aveva detto solo "che cosa ho fatto, che cosa ho fatto" ovvero delle frasi come "non voglio entrare – lasciatemi stare" e forse "Cosa ho fatto", che era stato lui a collegare, riferendo il fatto al N., la frase con l’omicidio di B.A.M., sapendo il Bi. coinvolto nelle indagini per quel delitto ed essendo al corrente delle voci che circolavano che lo individuavano quale autore dello stesso, a ciò mosso dall’odio che egli nutriva nei confronti di Bi.Ma.Do.. Nelle medesime circostanze lo S. riferiva agli inquirenti di non ricordare chi fosse con lui in macchina quando, su richiesta della madre, si era recato a recuperare il Bi. sulla strada di Bisceglie.

La Corte di assise di Trani assolveva tutti e tre gli imputati dai delitti loro ascritti ed a seguito dell’appello proposto, dalla pubblica accusa e dalle parti civili costituite, nei confronti dei soli Bi. e S., la assoluzione diveniva definitiva nei confronti di T.E. e la Corte di assise di Appello di Bari si pronunciava, con la sentenza oggetto del presente gravame, confermando, come sopra visto, anche il proscioglimento degli altri due imputati.

La decisione della corte territoriale, dopo una analitica ricostruzione della vicenda processuale, esamina per prima la posizione dell’imputato S.D. premettendo la considerazione che la condotta che integra il reato di favoreggiamento può essere ipotizzata solo in capo a chi abbia un interesse ad aiutare taluno a sfuggire alle proprie responsabilità a cagione dei rapporti, di parentela, di amicizia, di frequentazione o altri, che possano giustificare un tale interesse.

Afferma, quindi, essere circostanza pacificamente acclarata in atti che S.O. nutriva un radicato rancore nei confronti del Bi. a causa della relazione sentimentale che questi aveva intrapreso con sua moglie A.A.. A cagione di tale relazione i due, come riferito dalla teste Sp.Fr., avevano furiosamente litigato ed il Bi. era finito in ospedale;

inoltre, nel corso delle conversazioni tra lo S. e la moglie, captate dagli inquirenti il 13 ed il 18 settembre 2002, mentre i due si trovavano nel Commissariato PS di Trani, questi nel riferirsi a Bi. adoperava l’epiteto "bastardo". Gli stessi inquirenti erano a conoscenza dei cattivi rapporti esistenti tra lo S. ed il Bi. e su di essi avevano fatto leva per convincerlo a confermare la veridicità del contenuto della conversazione registrata da N.M..

Riguardo al Na. i giudici affermano che non è chiaro quale fosse stato il motivo per il quale egli si era indotto ad avere e registrare una conversazione con lo S. che appena conosceva, a condurre il discorso sul’omicidio di B.A.M. ed a domandare al suo interlocutore cosa pensasse di ciò che si diceva sul Bi. e sulla sua responsabilità per quel delitto. Dal contenuto della conversazione traggono, comunque, il convincimento che lo S., lungi dall’avere effettiva conoscenza della vicenda relativa al’uccisione della povera ragazza, si limitò nella circostanza, ad avvalorare la vox populi, che in Molfetta individuava il Bi. come l’omicida, in ciò spinto dal risentimento nei confronti di quest’ultimo.

Con riferimento alla circostanza che lo S., sentito il 13 settembre 2002 sull’episodio del recupero del Bi. ubriaco sulla strada (OMISSIS), negò di conoscere N.M., negazione interpretata dall’accusa come una voluta reticenza in favore del Bi., la corte territoriale ritiene che il contenuto della intercettazione ambientale alla quale vennero sottoposti lo S. e la moglie nell’occasione non consentono una siffatta interpretazione. Inoltre, anche dalle dichiarazioni rese in dibattimento dal N. emerge, ad avviso dei giudici, che i due praticamente non si conoscevano e, pertanto, è fondatamente credibile che lo S. non ricordasse, come poi fece dopo aver ascoltato la registrazione, chi era N.M..

Quanto al reale significato della frase "che cosa ho fatto, che cosa ho fatto, ho ucciso A.M.", che lo S. riferì al N. come pronunciata dal Bi., la corte territoriale ritiene che l’attendibilità dell’imputato, il quale aveva dichiarato di avere lui aggiunto, nel riportarla al suo interlocutore, la parte finale contenente la confessione stragiudiziale del Bi. di avere ucciso A.M., è dimostrata da prova assolutamente affidabile e non sospetta costituita dal colloquio intercorso tra lui e la moglie in macchina, dopo l’interrogatorio presso il commissariato di Trani, intercettato dagli inquirenti.

In quella conversazione l’imputato, che non sapeva di essere intercettato, ribadì alla moglie di aver sentito profferire al Bi. solo la frase "che cosa ho fatto, che cosa ho fatto" e alla domanda della consorte se tale espressione avesse riferimento alla vicenda dell’omicidio di B.A.M., rispose di non saperlo ma di averlo ipotizzato sulla base di quel che si diceva in giro, così confermando che l’espressione aggiuntiva ("ho ucciso A. M.") riferita al N. era stata frutto di una sua deduzione personale, agevolata dal profondo rancore che nutriva nei confronti di Bi..

Riteneva, quindi, la corte territoriale che non essendoci mai stata la confessione stragiudiziale del Bi. fosse obbligata la conclusione circa la non sussistenza dell’ipotizzato reato di favoreggiamento, per tale assunta reticenza, in capo allo S..

Quanto all’ulteriore accusa di essersi l’imputato rifiutato di rivelare l’identità della persona che lo aveva accompagnato quando, richiestone dalla madre del Bi., si era recato a cercarlo, sempre dalle intercettazioni ambientali dei suoi colloqui con la moglie, sulla cui piena attendibilità secondo i giudici non vi sono dubbi, si evince che, effettivamente S. non ricordava chi fosse con lui in macchina.

In conclusione la corte territoriale riteneva smentite dagli atti le condotte di favoreggiamento imputate a S.O. e, in conseguenza, confermava la pronuncia assolutoria dei giudici di primo grado.

Passando, poi ad esaminare la posizione dell’imputato principale Bi.Ma.Do., la corte di assise di appello afferma l’infondatezza dell’appello proposto dalla pubblica accusa e dalle parti civili. Premessa una disamina dei principi in materia di valutazione degli indizi perchè gli stessi possano assurgere, ed essere considerati, al rango di vera e propria prova, la corte condivide la valutazione dei giudici di primo grado che hanno ritenuto gli indizi a carico del Bi. "equivoci" in quanto non caratterizzati dai requisiti della gravità e della precisione.

L’ipotesi accusatoria, osservano i giudici di merito, era che il Bi. nella sera del 3 febbraio 2002 si fosse incontrato con la povera B.A.M., la quale esercitava da tempo su di lui pressioni affinchè abbandonasse la famiglia. Anche in occasione di quell’incontro la ragazza aveva, evidentemente, reiterato le sue richieste, ne era scaturito un litigio che, degenerato in modo impulsivo, aveva spinto Bi. a sopprimere la giovane; aveva quindi caricato il corpo insanguinato della vittima sulla sua autovettura Renault Nevada e lo aveva scaricato sulla SS (OMISSIS), dove il cadavere era stato poi rinvenuto da una pattuglia della guardia di finanza.

Priva di dimostrazione già nella premessa è risultata tale ipotesi ricostruttiva: infatti è stato accertato in dibattimento che verso le ore 20,30 di quel 3 febbraio la povera ragazza era uscita di casa per incontrare i suoi amici che l’attendevano ne luogo di abituale ritrovo, il negozio Benetton 012 sito in Molfetta all’angolo tra Corso Umberto e via Cavallotti, come risulta dalle dichiarazioni della madre e degli amici di comitiva e dalla circostanza che non avesse portato con sè le chiavi di casa. Ugualmente certo è che la B. non si recò all’appuntamento con gli amici i quali, concordemente, hanno detto di averla aspettata e di non averla vista arrivare.

Da ciò i giudici di merito traggono la conclusione che quando la ragazza uscì di casa si verificò qualcosa che la indusse a modificare il suo originario programma. In proposito, rammenta la corte, la teste B.M.F., cugina di A.M. e sua vicina di casa, ha riferito in dibattimento di averla vista mentre parlava con il conducente di una autovettura Golf di colore chiaro e poi di aver notato che A.M., salita sulla sua macchina aveva seguito la Golf che si dirigeva verso il centro della cittadina. Da altre dichiarazioni, rileva la corte, risulta che la ragazza conosceva una persona che guidava una autovettura di quel tipo e di quel colore ma le indagini, svolte in maniera non accurata nel 1992, non portarono all’identificazione del conducente di quella autovettura, ed è escluso che si trattasse del Bi., sia perchè non aveva mai posseduto una auto simile, sia in considerazione del fatto che abitando i due, il Bi. e la B., nello stesso complesso condominiale ed avendo una relazione tra loro, è non è verosimile che si fermassero in prossimità delle rispettive abitazioni a chiacchierare.

Che l’incontro con il guidatore della Golf vi sia stato, secondo i giudici, non è escludibile sulla base di quanto riferito da Sc.El. la quale, esaminata in dibattimento, riferiva di aver notato B.A.M., verso le ore 20,30/20,45 del 3 febbraio, in Corso Umberto davanti al negozio Benetton 012. La Sc., infatti, è stata sentita a distanza di anni dai fatti e ha dichiarato che non facendo parte della cerchia degli amici della vittima conosceva quest’ultima solo di vista; inoltre, quanto da lei affermato non si concilia con quanto riferito dagli amici che la aspettavano, nello stesso luogo ed alla stessa ora, senza però averla vista. Qualora, poi, la Sc. non si fosse sbagliata si tratta, secondo la corte, di un dato del tutto isolato ed inidoneo a provare che la vittima si fosse incontrata con l’imputato.

Afferma, quindi, la sentenza che le modalità attraverso le quali il Bi. e la B. si davano appuntamento erano telefoniche e che, come ricordato dal fratello della vittima, B.M., nella giornata del 3 febbraio e neppure nei giorni precedenti erano giunte telefonate di uguale tenore rispetto a quelle che abitualmente una persona di sesso maschile, da lui poi riconosciuta nell’imputato, faceva a casa sua chiedendo della sorella. Che poi l’incontro potesse essere stato fissato occasionalmente per strada dai due doveva essere, secondo i giudici, escluso perchè negli stessi orari nei quali la giovane si era recata fuori casa quel giorno l’imputato era sicuramente impegnato in attività scolastiche o di allenamento di ragazzi nel campo sportivo di Bisceglie.

Quanto, poi, alla ipotizzata evenienza che la B., recandosi ad incontrare gli amici dopo essere uscita di casa verso le 20,30, durante il tragitto o dopo aver parcheggiato la macchina vicino al Corso Umberto dove poi fu ritrovata, avesse incontrato il Bi. e si fosse accompagnata con lui, non ci sono elementi idonei a suffragarla. Nessuno vide quel giorno ed in quell’orario l’imputato in compagnia della vittima ovvero circolare in prossimità del centro di Molfetta e, inoltre, i testi d’alibi, pur non avendo fornito indicazioni precise in ordine agli orari in quanto sentiti a distanza di anni, hanno comunque riferito circostanze idonee ad attestare, comunque, la presenza del Bi. all’interno della palestra (OMISSIS), che lui gestiva con altri e nella quale insegnava, in momenti coincidenti con quello in cui avrebbe dovuto incontrare la vittima.

Solo sulla base della relazione tra i due, imputato e vittima, era ipotizzato l’incontro ma il dato del rapporto ormai di lunga data non è, secondo i giudici di merito, di per sè idoneo a confermare l’assunto accusatorio anche perchè la relazione con il Bi. non era per la vittima l’unica in atto, come peraltro rilevato dai giudici di primo grado.

Anche l’esito degli accertamenti sulla autovettura Renault Nevada SW, all’epoca posseduta dal Bi., secondo la corte, non conferma l’ipotesi accusatoria secondo la quale il Bi., dopo aver ucciso la povera A.M., ne avrebbe caricato il corpo su quella autovettura, per poi scaricarlo nel luogo ove fu ritrovato.

Il consulente medico-legale accertò che l’uccisione della ragazza era avvenuta in luogo diverso da quello del rinvenimento del corpo e che lo stesso era stato scaricato sulla sede stradale con un movimento di srotolamento dalla parte posteriore di un veicolo munito di portellone posteriore, quale era la vettura dell’imputato.

Secondo la corte territoriale stante l’assoluzione definitiva della moglie del Bi., T.E., dall’accusa di favoreggiamento, il delitto ed il successivo trasporto del cadavere per essere ascritti all’imputato avrebbe dovuto essere stati portati a termine entro le 21,45 del 3 febbraio del 1992. Quindi l’imputato prima delle 21,00 si sarebbe allontanato dalla palestra di Bisceglie, ove era sicuramente quella sera secondo i giudici, si sarebbe incontrato con B.A.M., avrebbe avuto con lei un violento litigio in esito al quale la avrebbe uccisa, subito dopo avrebbe caricato il corpo sulla sua macchina e, raggiunta la sede della SS (OMISSIS), lo avrebbe abbandonato per poi raggiungere, subito dopo la palestra di Bisceglie ove si trovava sicuramente alle 21,45.

I giudici di merito ritengono inverosimile che ciò possa essere accaduto, non solo in considerazione dell’arco temporale molto ristretto in cui si sarebbero sviluppati i fatti, ma anche valutando che la prima tesi difensiva del Bi., quando dieci anni dopo gli fu contestato che la moquette del bagagliaio della autovettura era stata trovata umida dai Carabinieri nel 1992, ai quali tutta la autovettura era apparsa lavata di recente, di aver lasciato nel bagagliaio gli attrezzi da sci dopo una vacanza in montagna tra il natale l’epifania, non era di per sè inattendibile, posto che all’epoca dei fatti l’autovettura non fu sequestrata e alcun accertamento specifico fu svolto sulla stessa.

Anche gli accertamenti poi svolti sull’autovettura, rintracciata dopo la riapertura delle indagini avvenuta nel 2000, con il Combur test, che diede esito negativo, e poi con il Luminol che, invece, evidenziò otto aree di luminescenza, si dimostrarono inconcludenti, dato che la successiva verifica, indispensabile visti i dati iniziali discordanti e la capacità del Luminol di reagire in presenza di ioni metallici, anche diversi da quelli contenuti nell’emoglobina, effettuata con l’analisi spettrofotometrica U.V-VIS, appurò che le rilevate zone di luminescenza non erano costituite da sangue, neppure diluito, come chiaramente affermato e scientificamente spiegato dal m.llo V. che gli accertamenti aveva effettuato.

Ne conclude la corte territoriale essere certo che l’autovettura Renault Nevada SW non fu adoperata per trasportare il corpo della ragazza, e scaricarlo nella strada ove fu poi ritrovato.

L’ipotesi accusatoria, secondo la quale il trasporto e l’abbandono del cadavere sarebbero avvenuti in un momento precedente alle ore 22,00, secondo il giudici di appello, sarebbe poi smentita da quanto rilevato dal consulente autoptico che collocò la morte nell’arco temporale tra le 21,0 e le 22,00 e accertò che quando il cadavere fu scaricato i erano già insorti fenomeni di rigidità cadaverica, dal che se ne deve dedurre che il trasporto e l’abbandono avvennero dopo un certo tempo, verosimilmente circa un paio d’ore, rispetto alle ore 22,00. In tal senso è anche la testimonianza di Sp. F. che alle ore 00,30 del 4 febbraio 1992 era passato sulla SS 16, nel punto del rinvenimento del corpo, senza vedere il cadavere. Secondo la corte non sussistono motivi per ritenere irrilevante la dichiarazione dello Sp. e ciò perchè essa appare in linea con quanto appurato dal consulente autoptico in merito alla già verificata insorgenza di fenomeni di rigor mortis.

Secondo la corte territoriale è, quindi, certo che il corpo privo di vita fu abbandonato tra le ore 00,30 e le ore 01,30 del (OMISSIS); ne consegue che, non essendovi elementi per poter escludere che il Bi. si trovasse nella propria abitazione sin dalle 22,00, (stante il giudicato assolutorio formatosi nei confronti di T.E.), non è ipotizzabile che fosse stato l’imputato a trasportare e scaricare il corpo della vittima.

Sulla base dei sopra indicati argomenti i giudici concludono che non vi sono elementi dai quali poter trarre il convincimento sulla penale responsabilità del Bi. in relazione all’omicidio di B.A. M..

Valutano, quindi, i giudici come privi di rilevanza gli altri indizi valorizzati dagli appellanti tra i quali: le carenze e gli errori che avevano caratterizzato le prime indagini, che avrebbero favorito il Bi., le presunte confessioni stragiudiziali fatte a terzi dall’imputato. Su queste ultime, richiamato quanto già esposto circa la posizione di S.O., i giudici argomentano che l’avere il Bi. pronunciato la frase "cosa ho fatto, cosa ho fatto", per la estrema genericità della stessa, data anche la personalità e la condizione del soggetto, è circostanza che può essere variamente interpretata e, quindi, non costituisce un indizio grave e preciso.

Riguardo alle dichiarazioni fatte da Sp.Fr., moglie separata del fratello di An.An., a sua volta moglie dello S., relative a quanto le avrebbe riferito A. A., cognata del Bi., secondo la quale quest’ultimo consumava grandi quantità di vino per espiare la colpa di avere ucciso la B., esse sono da considerarsi semplici chiacchiericci e pettegolezzi, influenzati da rancori personali e familiari non ancorati a dati di conoscenza specifica in ordine alla vicenda.

Anche la testimonianza di V.N. è, secondo i giudici, inattendibile sia per i contrasti tra lo stesso il Bi. e i suoi congiunti, sia per il ritardo con cui i fatti che sarebbero avvenuti nel 1996 sono stati riportati agli inquirenti nel 2000; inoltre la presunta confessione stragiudiziale, non collocata in una data precisa ed asseritamente avvenuta in presenza di due donne ed una bambina in un locale pubblico, non ha trovato riscontri. Anzi tale R.F., al quale il V. aveva riferito di aver raccontato l’episodio, ha categoricamente negato che ciò sia avvenuto.

Quanto all’elemento indiziario costituito dalla, sicuramente accertata, relazione tra il Bi. e la giovane vittima, essa non era, come descritta dagli appellanti, esclusiva e coinvolgente, quanto piuttosto un rapporto ordinario e non esclusivo per entrambi e tale da non costituire movente idoneo e quindi indizio grave.

Relativamente all’alibi addotto dall’imputato di essersi trovato in palestra dalle ore 20,30 alle ore 22,00 quando fece rientro a casa, qualificato come assolutamente mendace dalle accuse, esso è, secondo la corte territoriale, un alibi non completamente dimostrato nella sua estensione temporale, essendo, pertanto, un alibi non completamente provato e non un alibi falsamente costruito, esso costituisce un indizio non connotato dalla gravità a necessaria.

Infine, l’indizio costituito dallo stato di depressione insorto nel Bi., esso secondo i giudici di merito, non necessariamente deve essere collegato ai sensi di colpa per l’omicidio commesso in quanto ben può essere ricondotto alla struttura di personalità narcisistica del soggetto il quale, dopo i primi segni di decadimento fisico – a seguito di un distacco di retina aveva subito ben otto interventi e per problemi al rachide lombare era stato costretto a ridurre drasticamente l’attività fisica, aveva iniziato a ridurre la propria autostima e su questi prodromi si era poi innestata la vicenda del suo coinvolgimento nell’omicidio, per via della quale era venuta meno anche la considerazione della quale in precedenza godeva da parte degli altri.

1.2.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello hanno proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bari e le parti civili costituite a ministero del difensore avvocato Giuseppe Maralfa. Il difensore dell’imputato Bi.Ma.Do. ha poi depositato, l’11 gennaio 2011 note difensive in favore del suo assistito.

1.3- Il Procuratore Generale per quel che riguarda la posizione dell’imputato Bi.Ma.Do. adduce vizio di motivazione per carenza e manifesta illogicità che risulta sia dal testo della sentenza che dagli atti del processo con riferimento alla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte in relazione alla tempistica del delitto, 2) l’alibi falso, 3) l’importanza attribuita alle cd. "piste alternative", 4) il favoreggiamento di S. O. in favore del Bi., 5) il movente.

1) Sul primo punto il PM ricorrente evidenzia che la corte parte da una premessa errata laddove afferma che il corpo della ragazza venne trasportato ed abbandonato dopo un certo tempo rispetto alle ore 22,00 e, verosimilmente, dopo un paio d’ore circa, anche perchè, allorquando il corpo era stato trasportato erano già insorti i fenomeni di rigidità cadaverica.. Il professor D.N. sentito in udienza, infatti, dichiarava di non aver visto il cadavere prima delle 04,00 e che nulla era in grado di riferire sullo stato di avanzamento del rigor mortis alle ore 1,30 precedenti, se non che, in linea generale e secondo i principi della scienza, la rigidità insorge all’incirca un paio d’ore dopo la morte.

Anche la posizione delle braccia del cadavere situate sotto il corpo, come descritto dal prof. D.N., depongono per la mancanza di rigidità del cadavere al momento in cui esso venne scaricato con movimento rotatorio di srotolamento.

Dunque le dichiarazioni del teste Sp. il quale affermò di essere transitato sulla SS (OMISSIS) alle ore 01,30 e di non aver visto il corpo sulla carreggiata, ritenute esatte, dalla corte appaiono in realtà non concludenti.

La corte, argomenta, che sicuramente il Bi. alle ore 22,00 del 3 febbraio era a casa e da lì non sarebbe più uscito nell’arco orario in cui il corpo fu abbandonato anche sulla base delle dichiarazioni di T.E., all’epoca dei fatti sua moglie, e fu la stessa corte a dichiarare l’inutilizzabilita delle dichiarazioni da questa rese il 13 gennaio 2007 in sede di incidente probatorio. Riguardo alle dichiarazioni precedenti da un lato esse entrarono a far parte del processo di primo grado senza che nessuno vi si opponesse, dall’altro nella sentenza gravata esse sono ritenute inutilizzabili, in violazione dell’art. 63 c.p.p., salvo poi sia pure succintamente avvalersi di tali dichiarazioni ai fini di proscioglimento.

Quanto, poi, alla ricostruzione dei movimenti della vittima nella fase antecedente alla sua scomparsa, quella operata dalla corte di appello è apodittica i contrasto con i dati processuali, sia perchè l’incontro con il conducente della golf chiara è solo un indizio non dimostrato, sia perchè la testimone Sc., che dichiarò di averla vista in Corso Umberto verso le 20,30/20,45, non spuntò dal nulla dieci anni dopo il delitto, come affermato dai giudici, infatti la circostanza affermata dalla teste era già emersa dalle intercettazioni telefoniche del 1992, dichiarate inutilizzabili dalla Corte di assise per vizio di forma, e comunque il dato probatorio era stato esaminato e considerato dagli inquirenti. Sul medesimo aspetto rileva, il ricorrente come non risulta acclarata l’ora di arrivo degli amici della vittima al Corso di Molfetta.

Circa le modalità con le quali la B. ed il Bi. stabilivano i loro appuntamenti, la corte si limita a affermare che il giorno del delitto non giunse a casa della vittima alcuna telefonata, laddove invece è accertato, anche dalle affermazioni delle testi I. e D.C., che gli incontri venivano stabiliti anche in altra maniera, non esclusa quella casuale.

2) Sull’alibi dell’imputato lamenta il ricorrente l’illogicità delle argomentazioni della sentenza la quale non tiene conto sia di quanto evidenziato con l’atto di appello che delle numerose ed incontrovertibili circostanze, comprese le dichiarazioni rilasciate dal Bi. nel 1992 ai carabinieri, e successivamente negli interrogatori del 2001, la accertata falsità dell’alibi fornito da D.P.G. e la non genuinità e vaghezza degli altri testi di alibi.

Quindi non è certo, come affermato dalla Corte, che l’imputato la sera di quel 3 febbraio si trovasse nella palestra di Bisceglie, e anche se si dovesse ritenere che vi fosse alle ore 21,45, i tempi di percorrenza, quali riferiti dal m.llo P. sentito in dibattimento, tra i luoghi ove egli e la ragazza si appartavano, il luogo dove il corpo fu rinvenuto e la palestra di Bisceglie, sono compatibili con la commissione del delitto.

3) Riguardo alle piste cd. alternative, il ricorrente lamenta che su di esse, in particolare su quella relativa alla Golf chiara, la corte si soffermi e, richiamando la sciatteria delle prime indagini, tragga argomento per inferirne della non colpevolezza dell’imputato.

4) Il favoreggiamento di S.O. è dal PG valutato sia come elemento a carico del Bi. che come imputazione dalla quale lo S. è stato assolto e, per entrambi denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 194 e 234 c.p.p., nonchè manifesta illogicità della motivazione, oltre violazione dell’art. 378 c.p..

Lamenta che la Corte si è astenuta da qualunque valutazione sull’attendibilità del teste N.M., il quale, peraltro, portava a riscontro di quanto affermato la registrazione tra lui e lo S.; pur stigmatizzando la figura del teste non ne afferma l’inattendibilità.

Non valutano i giudici di appello che lo S., in realtà, ha fornito diverse versioni della sua conversazione con il N. e si limitano a richiamare, per provare l’assenza di peso della circostanza dell’avvenuta confessione stragiudiziale, il contenuto della captazione ambientale tra lo S. stesso e la moglie, evicendone significati che in realtà non sono minimamente ravvisabili. Di più, se anche il Bi. con lo S. avesse pronunciato solo la frase "cosa ho fatto, cosa ho fatto" essa da sola contiene una autosufficienza tale da non consentire interpretazioni diverse da quella di essere riferita all’omicidio. Sul punto la sentenza non motiva o trae conclusioni illogiche.

La prova testimoniale del N., unitamente alla conversazione da lui registrata, con gli altri elementi indiziali accolti, provano la colpevolezza del Bi. per l’omicidio e quella dello S. per il favoreggiamento. Nessuna parola spende la corte sulla documentazione fonica costituita dalla registrazione fatta dal N. e si limita a confutare l’assunto accusatorio attraverso l’interpretazione della parola dello S..

Di uguale rilevanza è registrazione ambientale del colloquio tra lo S. e la moglie A.A. del 13.9.2002, i fatti di cui parla lo S., che prelevò il Bi. sulla strada di Bisceglie per richiesta della madre, non sono accaduti nel (OMISSIS), come affermato in sentenza, bensì nel (OMISSIS). Dal colloquio non emerge alcun rancore da parte dello S. nei confronti del Bi., così come non emerge da quanto da lui affermato, sollecitato sul punto dagli inquirenti; in realtà egli teme la moglie che, come da captazione intercettata, gli fa pressioni per indurlo a non dire la verità.

Infine, quale che sia la ragione per la quale lo S. ha reso dichiarazioni non vere, poichè l’elemento soggettivo del favoreggiamento è costituito dal dolo generico, ciò che rileva, ai fini della affermazione della sua penale responsabilità, è che egli era consapevole dell’aiuto che, comunque, forniva all’imputato Bi..

5) Infine con riferimento al movente lamenta il ricorrente che la Corte abbia svilito in partenza la natura della relazione tra i il Bi. e la povera A.M., non tenendo conto dell’età dei due quando era iniziata, del fatto che il Bi. era un uomo sposato ed aveva una figlia, che il rapporto durava da otto anni e che gli incontri erano costanti ed intensi. Che non si trattasse di un "ordinario rapporto di reciproca soddisfazione e per nessuno dei due esclusivo", come affermato dai giudici di merito, è smentito da diverse acquisizioni, in primis dal contenuto dell’interrogatorio del 12 ottobre 2001 del Bi. dopo il suo fermo, poi dalle testimonianze della cugina della vittima, che porta il suo stesso nome, e dell’amica del cuore D.C.R. e dallo stesso diario della povera giovane.

Nulla emerge dagli atti circa altre relazioni della ragazza, il rapporto era sicuramente non esclusivo, come ampiamente dimostrato nel processo, per il Bi. il quale, proprio a cagione della sua struttura di personalità, ben poteva essere autore di un omicidio d’impeto quale quello commesso perchè non accettava che la ragazza, innamorata, fosse oppressiva e potesse invadere la sua sfera familiare e la sua autonomia.

1.4.- Le parti civili ricorrenti, previa richiesta di annullamento della sentenza e di liquidazione dei danni morali e materiali in loro favore, da effettuarsi in separata sede, deducono i seguenti motivi:

1) Violazione di legge ( dell’art. 179 c.p.p., art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), art. 125 c.p.p., comma 3, art. 546 c.p.p., lett. e), art. 192 c.p.p., comma 1, artt. 24 e 111 Cost.) con conseguente nullità del giudizio di appello e della sentenza per mancanza dell’intero fascicolo del dibattimento di primo grado.

Sostiene in proposito che, come dimostrato dall’attestazione 4 febbraio 2010 dell’avvocato Generale della Repubblica, allegata al ricorso, tutto il fascicolo per il dibattimento, richiesto in visione alla cancelleria della corte dal PG di udienza, era rimasto custodito nell’ufficio del sostituto procuratore generale per tutto il tempo del giudizio di appello, e pertanto, anche in occasione delle udienze del 24 e 25 settembre 2009, a disposizione in ogni momento delle parti processuali.

2) Con il secondo motivo lamentano la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla personalità psichiatrica di Bi.Ma.Do. ed alla compatibilità della stessa con il tipo di autore, l’omessa valutazione di prove decisive, nonchè uguali vizi di motivazione in relazione alla ritenuta inesistenza del movente passionale.

3) Con il terzo motivo lamentano mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione dell’ ordinanza del 30 giugno 2009 e mancata assunzione della prova decisiva costituita dalla perizia psichiatrica sull’imputato Bi. con violazione degli artt. 70 e 495 c.p.p..

4) Con il quarto motivo lamentano in relazione al punto dell’alibi del Bi. prima e dopo il delitto, l’avvenuto travisamento dei fatti e delle prove nonchè la manifesta illogicità della motivazione; si dolgono, quindi della dichiarata inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal’imputata T.E. e della loro successiva, abnorme utilizzazione.

5) Il quinto motivo di ricorso lamenta il totale travisamento delle allegazioni dell’accusa in relazione e alla confessione stragiudiziale del Bi., alla asserita inattendibilità del teste V.N. nonchè, sugli stessi punti, difetto ed illogicità della motivazione.

6) In relazione al favoreggiamento commesso dallo S. O., come elemento a carico del Bi., adducono violazione e falsa applicazione degli artt. 194 e 234 c.p.p. e manifesta illogicità della motivazione nonchè violazione dell’art. 378 c.p. accompagnata da manifesta illogicità della motivazione.

1.-5- Con motivi aggiunti depositati il 9.11.2010 il difensore di parte civile, richiamava talune vicende relative alle prime fasi delle indagini e talune, ritenute, incongruenze relative anche alla fase del giudizio sia di primo grado che di appello. Ribadisce ed ulteriormente illustra i motivi per i quali deve ritenersi che lo S. abbia commesso il favoreggiamento in favore del Bi..

In proposito riporta che sia la moglie dello S. sia la sorella di questa sono imputate e citate a giudizio entrambe per reato di favoreggiamento nell’ambito della vicenda concernente l’omicidio di B.A..

1.6- Con note difensive di udienza, depositate il 13.01.2011, gli avvocati Domenico Di Terlizzi e Patrizia Carobello difensori di Bi.Ma.Do. rilevano che le censure avanzate dai ricorrenti investono, oltre la generica illogicità della motivazione, asseritamente risultante dal testo, anche vizi logici derivanti dal confronto tra il percorso argomentativo della Corte e singoli atti del processo, con un illegittimo intervento di dissezione della prova dal quale discende una allegazione solo parziale del dato probatorio. In particolare, trattandosi solo di prova dichiarativa, costituta dalle dichiarazioni di numerosi testimoni e consulenti, lo stralcio di una deposizione non è idoneo a comprovare il travisamento della stessa, in termini di una palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione medesima e quelli che ne sono stati tratti dal giudice di merito, in quanto il controllo di legittimità deve riguardare la prova nella sua interezza e globalità. E il travisamento della prova, in ipotesi di doppia pronuncia conforme, può essere dedotto solo nel caso che il giudice di appello, per rispondere ai motivi di gravame, abbia utilizzato atti a contenuto probatorio non vagliati dal primo giudice. Nel caso di specie la corte di appello non ha richiamato elementi probatori nuovi nè dati che non fossero già stati compiutamente e ampiamente analizzati dal primo giudice.

In ogni caso la natura, dichiarativa, delle prove che si assumono travisate, richiederebbe la produzione integrale dei verbali nei quali le dichiarazioni sono inserite o la loro integrale trascrizione in ricorso, cosa che non è avvenuta.

In realtà è richiesta una rivalutazione critica delle emergenze probatorie di carattere indiziario a fronte di una sentenza il cui impianto argomentativo è non solo coerente, consequenziale ed armonioso nella valutazione dello stesso, ed ancor prima assolutamente rispettoso dei canoni interpretativi stabiliti dall’art. 192 c.p.p., comma 2.

Anche a prescindere dall’assenza di infedeltà alla prova dichiarativa, la sentenza gravata manifesta nel suo percorso decisorio una perfetta armonia ed un rigoroso coordinamento dei numerosi dati che hanno rappresentato il materiale indiziario e probatorio disponibile, senza contraddizioni dell’iter argomentativo chiarisce ogni punto focale della vicenda processuale, esplicitando ad ogni singolo passaggio, le ragioni per le quali la tesi accusatoria non doveva essere accolta.

1.7.- Il Procuratore Generale dott. Francesco Mauro Jacoviello ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi nei confronti di Scardigno Onofrio e l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di Bi.Ma.Do..

Motivi della decisione

1.-1 ricorsi sono fondati nei limiti di cui alle successive argomentazioni.

2.- In primo luogo, come anche rilevato dal Procuratore Generale presso questa Corte nella sua requisitoria la sentenza gravata, che conferma quella di assoluzione pronunciata in primo grado nei confronti di entrambi gli imputati, si fonda sulla valutazione di una quantità innumerevole di indizi.

Secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte riguardo all’art. 192 c.p.p. in materia di processo indiziario, il giudice del merito è chiamato a una duplice operazione: deve prima valutare gli elementi di carattere indiziario singolarmente, per stabilire se presentino il fondamentale requisito della certezza insito in quello della precisione (nel senso che devono possedere una base di fatto realmente esistente, e non solo verosimile o supposta, da collegare attraverso le massime di comune esperienza al thema probandum) e per saggiarne la intrinseca valenza indicativa che di regola è di portata solo possibilistica, e deve quindi passare a un esame globale degli elementi cui può essere riconosciuto carattere di certezza (S.U. sent. 4.2.1992 Rv. 191230).

Nel compiere tale percorso la corte di assise di appello è incorsa in alcune erronee valutazioni in diritto che hanno inficiato la complessiva rielaborazione del materiale indiziario singolarmente e complessivamente vagliato sia in primo che in secondo grado.

E’ d’uopo in proposito ricordare che nel ricorso di legittimità è possibile superare il limiti del devolutum e dell’ordinario iter progressivo dell’impugnazione solo le per violazioni di legge che non sarebbe stato possibile dedurre in appello e per le questioni di puro diritto che non richiedono accertamento del fatto e, quindi, esulano da indagini di merito incompatibili con la natura del giudizio di legittimità (Cass. Sez. 6, sent. 21.1.2005, n. 12175, Rv. 231484).

3.- Orbene nella ricostruzione logico- sistematica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata assumono carattere di centralità, per quel che attiene alla posizione dell’imputato Bi.Ma.Do., la circostanza che egli dalle ore 22,00 e sino alla mattina successiva si sarebbe trattenuto in casa, secondo quanto dichiarato dalla moglie T.E., e l’altra circostanza, ritenuta non smentita, secondo la quale egli nell’orario nel quale l’omicidio veniva consumato si sarebbe trovato nella palestra (OMISSIS).

Afferma in proposito la corte territoriale che rappresenta un punto fermo il fatto che la sera del 3.2.1992 l’imputato si fosse portato nella palestra (che gestiva con altri soci e nella quale insegnava) e ciò in quanto, sentito il giorno successivo a quello dell’omicidio, aveva subito fatto presente la circostanza ed aveva indicato le persone in grado di confermarla. Tra le persone indicate dal Bi. vi era D.P.M. che era stato contattato telefonicamente, nell’immediatezza dal M.llo Pi., che lo conosceva personalmente, ed al quale al D.P. aveva riferito che la sera precedente si era recato nella palestra, della quale era anche egli socio, e che, tra le persone che aveva incontrato vi era anche l’imputato.

La telefonata e la suddetta dichiarazione, resa nell’immediatezza e senza possibilità di inquinamento, confermate in sede dibattimentale sia dal D.P.M. che dal maresciallo Pi., rendono credibile il ricordo del teste, ancorato alla telefonata, e consentono, secondo l’argomentazione dei giudici, non solo di ritenere accertato che il Bi. la sera del (OMISSIS) si trovava all’interno della palestra ma anche di dare una valutazione di complessiva attendibilità agli altri testi d’alibi D.L.B. e D.L.M..

Sul punto deve però essere rilevato che il maresciallo Pi., allorchè raccolse la dichiarazione telefonica del D.P.M., rivestiva qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria e che egli, come dallo stesso peraltro confermato, non ebbe a redigere verbale alcuno. La sua testimonianza è stata acquisita, quindi, in palese violazione dell’art. 195 c.p.p., comma 4, che vieta la testimonianza indiretta degli agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria sia con riferimento al contenuto delle dichiarazioni testimoniali acquisite secondo le modalità di cui agli artt. 351 e 357 c.p.p., che con riguardo ai casi, come quello di specie, in cui l’ufficiale o agente di polizia giudiziaria non abbia "verbalizzato" quanto riferitogli (S.U. sent. 28.5.2003, Tocasio e altro, Rv. 225468).

Se detta testimonianza era, secondo l’argomentare dei giudici, il dato che conferiva complessiva attendibilità all’alibi, peraltro – come pure affermato dagli stessi giudici di merito – comunque incerto e sicuramente vago in ordine alla effettiva, costante presenza del Bi. nella palestra (OMISSIS) nell’arco orario in cui l’omicidio fu consumato, di esso e di tutte le sue complessive componenti testimoniali occorre che sia effettuata una nuova verifica che, prescindendo dall’elemento probatorio assunto in violazione di legge, riesamini la specifica attendibilità dei singoli testi e la rilevanza delle loro dichiarazioni con riguardo alla possibilità di desumerne che effettivamente l’imputato, la sera del delitto, fosse presente in palestra e lì si sia ininterrottamente trattenuto dalle ore 19,00 alle ore 21,45 o 22,00.

Venendo quindi a valutare le argomentazioni con le quali la ha ritenuto che sicuramente il Bi. non poteva essere colui che trasportò e scaricò il cadavere della ragazza uccisa sulla SS (OMISSIS), ove venne rinvenuto, esse si fondano, oltre che sulle risultanze degli accertamenti scientifici effettuati, sia pure a distanza di moltissimo tempo, sull’autovettura di proprietà ed in uso al Bi. all’epoca dei fatti, anche sulle dichiarazioni rese dalla allora moglie T.E., imputata per favoreggiamento nello stesso processo ed assolta in via definitiva.

L’assoluzione della T. dal reato di favoreggiamento, conseguente all’inutilizzabilità delle dichiarazioni dalla stessa rese ed integranti corpo di reato, comportava l’inutilizzabilità assoluta ed erga omnes dichiarazioni stesse ai sensi dell’art. 63 c.p.p., comma 2.

Di esse, in conseguenza non avrebbe dovuto essere fatto utilizzo alcuno a fini probatori, posto che, come pure rilevato dai giudici di merito, se alla T. si contestava di aver detto il falso al fine di favorire l’imputato nelle date del 21.3.1997 e del 6.9.2001, dichiarazioni di identico contenuto erano state rese dalla stessa già in data 13.7.1992, per cui la si doveva ritenere indagabile si da allora (S.U. sent. 25.2.2010, Mills, Rv. 246584).

La sentenza gravata, invece, ne trae elementi di convincimento per affermare la non plausibilità della ipotesi che l’imputato potesse aver provveduto al trasporto ed all’abbandono del cadavere della vittima, secondo una ricostruzione temporale della fase successiva all’omicidio che induce più di un dubbio, sopratutto con riguardo alla richiamata testimonianza del consulente medico-legale circa la rilevata intensità del fenomeno rigor mortis all’atto del rinvenimento del corpo alle ore 1,30 del (OMISSIS).

In conclusione, può affermarsi il venir meno di alcune delle chiavi di lettura individuate nella sentenza gravata quali fondanti per la valutazione del complessivo quadro indiziario in termini di non concludenza rispetto alle prospettazioni accusatorie.

Ne consegue che la sentenza deve essere annullata con riguardo all’imputato Bi.Ma.Do. con rinvio per nuovo giudizio sui punti specificamente indicati, da valutarsi nell’ambito del complessiva sommatoria di tutti gli altri dati e del loro vaglio globale ed unitario.

4.- Quanto alla posizione dello S. possono farsi considerazioni in parte analoghe a quelle svolte per l’imputato Bi. riguardo alle modalità di valutazione probatoria dei dati esaminati.

Invero l’imputato ha fornito diverse versioni della sua conversazione con il N. e per, converso, manca nella sentenza qualunque considerazione circa l’attendibilità del N. medesimo e la valenza probatoria del contenuto della conversazione da quest’ultimo registrata. Nel giudizio sulla congruità e convergenza degli indizi valutati per giungere all’affermazione che vi era mai stata confessione stragiudiziale del Bi. la corte procede ad una analisi parcellizzata dei singoli dati, omettendo poi di pervenire all’apprezzamento unitario e globale di tutti i dati, fondando la decisione sul punto in base alle sole dichiarazioni dello S., ritenute confermate da alcuni contenuti di conversazioni captate isolatamente considerati.

Ne consegue che anche con riferimento allo S. la sentenza dovrebbe essere soggetta ad annullamento, ma il decorso del tempo dalla data del reato, contestato come commesso in continuazione in relazione a due specifiche occasioni: il (OMISSIS), ha determinato l’estinzione del reato stesso per intervenuta prescrizione.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di Bi.

M.D. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Bari. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di S.O. perchè il reato ascrittogli è estinto per prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *