Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-02-2012, n. 2714 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 22/2/06 il giudice del lavoro del Tribunale di Caltagirone rigettò la domanda con la quale gli odierni intimati avevano formulato le seguenti richieste: accertamento della natura collettiva del licenziamento loro irrogato per le date del 26/27 marzo 2003 dalla società L.M.M. dei fratelli Damigella S.pA;

illegittimità dello stesso per violazione delle norme di cui alla L. n. 223 del 1991; accertamento della continuazione dell’attività imprenditoriale da parte di quest’ultima società sotto la ragione sociale della M.A.D s.n.c. o della costituzione di un unico complesso aziendale o della cessione totale o parziale dell’azienda.

Con la stessa domanda era stata anche richiesta la condanna delle società convenute in solido o in proprio alla reintegra nei posti di lavoro ed al risarcimento dei danni, oltre che al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali o, in subordine, all’adempimento degli obblighi previdenziali, retributivi ed indennitari di cui alla L. n. 223 del 1991.

Tale decisione di rigetto fu impugnata dagli odierni intimati innanzi alla Corte d’appello di Catania che, con sentenza del 23/4/09 – 27/6/09, accolse il gravame e dichiarò l’inefficacia dei licenziamenti, condannando la L.M.M. S.p.A. a reintegrarli nel posto di lavoro e a corrispondere loro un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto spettante dal licenziamento al ripristino del rapporto, oltre che gli accessori di legge e le spese dei due gradi di giudizio, mentre compensò le spese tra le altre parti in causa.

La Corte territoriale pervenne a tale convincimento dopo aver escluso che potessero considerarsi tardive le allegazioni degli appellanti in ordine alla dedotta sussistenza del requisito dimensionale in capo alla sola L.M.M dei Fili Damigella s.p.a. e dopo aver rilevato che sin dall’atto introduttivo del giudizio i ricorrenti avevano evidenziato che alla data del 12/9/02, in cui erano stati concessi in locazione il capannone, parte degli uffici e delle attrezzature, la società L.M.M spa aveva alle proprie dipendenze diciannove lavoratori; inoltre, era risultato incontestato che nell’arco dei sei mesi precedenti il primo dei licenziamenti la società aveva tenuto mediamente occupati più di quindici dipendenti, con la conseguenza che trovava applicazione la L. n. 223 del 1991, le cui disposizioni sui licenziamenti collettivi risultavano essere state violate.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società L.M.M. dei F.lli Damigella che affida l’impugnazione a tre motivi di censura.

Resistono con controricorso A.N., At.

F., G.V., M.G., R. A. e S.M., i quali depositano anche memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di censura è rappresentato dalla denunziata violazione dell’art. 183 c.p.c. e dalla mancata o, quantomeno, insufficiente motivazione della sentenza impugnata. La ricorrente espone che nel ricorso di primo grado i lavoratori avevano ritenuto pacifico che la società L.M.M. non possedeva da sola i requisiti dimensionali per poter adottare la procedura dei licenziamenti collettivi, tanto che per dimostrarne la sussistenza avevano fatto leva sul dato numerico costituito dalla sommatoria dei dipendenti della L.M.M s.r.l. e della M.A.D s.n.c., cercando, nel contempo, di provare che erano simulate sia le cessioni stipulate tra le due società che le dimissioni rassegnate da sei dipendenti della L.M.M, in realtà assunti successivamente dalla M.A.D.. In definitiva, secondo i lavoratori quest’ultima società operava attraverso la M.A.D. o, quantomeno, le due società costituivano un unico complesso aziendale. Solo in sede di note conclusive, aggiunge l’odierna ricorrente, la difesa dei lavoratori mutava l’originaria domanda ed introduceva un nuovo tema di indagine asserendo che la società L.M.M. era tenuta al rispetto della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, in quanto da sola aveva più di quindici dipendenti. La ricorrente conclude la censura evidenziando, quindi, la inammissibilità della mutata domanda, così come eccepita nella memoria di costituzione in appello, e dolendosi del fatto che il giudice di secondo grado si era limitato ad affermare in maniera insufficiente ed apodittica che si trattava di "allegazioni difensive" dei ricorrenti.

2. Col secondo motivo di doglianza, incentrato sulla denunziata violazione dell’art. 2697 c.c., la ricorrente contesta quanto affermato dal giudice d’appello circa il fatto che, a fronte della dedotta illegittimità del licenziamento per la mancata attivazione delle procedure di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, sarebbe stato onere di essa convenuta dimostrare di non avere un numero di dipendenti superiore a quindici per sottrarsi all’applicazione di tale disciplina normativa. Sostiene, infatti, la ricorrente che il principio dell’onere probatorio affermato dal giudice d’appello non poteva trovare applicazione nella fattispecie, in quanto i medesimi ricorrenti avevano affermato nel ricorso introduttivo che la L.M.M. non aveva da sola alle sue dipendenze più di quindici dipendenti e che tale requisito poteva essere raggiunto solo sommando a questi ultimi quelli della M.A.D.. Invero, in base al loro assunto la M.A.D. aveva proseguito l’attività della L.M.M e, quantomeno, entrambe le società rappresentavano nei fatti una sola entità aziendale. Per tali ragioni la ricorrente ritiene che, essendo stato ammesso dalla controparte nel ricorso di primo grado che la società L.M.M. non possedeva da sola il suddetto requisito dimensionale, non poteva esigersi alcun onere, a carico suo, di provarne la sussistenza.

3. Con l’ultimo motivo la ricorrente si duole della violazione della L. n. 300 del 1970, artt. 18 e 35 e della L. n. 223 del 1991, art. 24, oltre che dell’omessa o, quantomeno, insufficiente motivazione.

Al riguardo, la ricorrente contesta la decisione impugnata nella parte in cui è ritenuta la sussistenza del predetto requisito dimensionale attraverso il riferimento alla media dei dipendenti del semestre precedente il licenziamento del singolo dipendente I.M., risalente al 30 novembre 2002, anzichè a quella del semestre precedente il licenziamento degli odierni intimati, adottato nei giorni 26/27 marzo 2003. La idoneità di quest’ultimo semestre a fungere da parametro temporale di riferimento, come desumibile dalla L. n. 223 del 1991, risiede, secondo la tesi difensiva della ricorrente, nel fatto che i licenziamenti oggetto di impugnativa erano proprio quelli da ultimo riguardanti gli odierni intimati. Orbene, con tali provvedimenti risolutivi dei rapporti di lavoro era stato superato il numero di cinque unità di dipendenti licenziati nell’arco dei 120 giorni, così come previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 24, per cui gli stessi assurgevano a vero e proprio licenziamento collettivo, rispetto al quale era logico operare il calcolo a ritroso della media dei dipendenti nel semestre immediatamente precedente. Inoltre, un tale calcolo conduceva al risultato che la suddetta media di dipendenti si rivelava essere inferiore alle sedici unità lavorative. In particolare, è posto in evidenza che dal libro matricola prodotto su ordinanza del giudice risultava che in data 25/10/02 i dipendenti erano diciotto, che nello stesso giorno sei di essi avevano rassegnato le dimissioni e che in data 30/11/02 era stato licenziato l’ I., per cui, considerato che per trentasei giorni del predetto semestre (dal 25/10 al 30/11/02) i dipendenti rimasti in servizio erano solo dodici e che per i restanti 116 giorni (fino al licenziamento del 26 marzo 2003) si erano ridotti ad undici unità, era agevole ricavare l’esistenza di una media inferiore ai sedici dipendenti nell’arco del semestre 26/9/02 – 26/3/03.

Il ricorso è fondato.

Anzitutto, coglie nel segno la prima censura attraverso la quale è posto in evidenza che il mutamento della "causa petendi" della domanda era stato correttamente rilevato dal primo giudice, il quale aveva anche verificato che non era stato provato che sussistessero le ipotesi dell’esistenza di un unico gruppo aziendale o della cessione d’azienda o della prosecuzione simulata dell’attività, cioè di quelle ipotesi che secondo i ricorrenti avrebbero rappresentato la dimostrazione del denunziato intento di elusione, da parte datoriale, dell’applicazione delle disposizioni della L. n. 223 del 1991.

In effetti, non può non condividersi l’assunto di parte ricorrente secondo la quale la prospettazione difensiva contenuta nelle note conclusive dei ricorrenti introduceva, p in violazione di quanto previsto dall’art. 183 c.p.c. e art. 420 c.p.c., non una semplice "emendatio libelli", compatibile col concetto delle allegazioni difensive attribuito a tale prospettazione dal giudice d’appello, bensì un nuovo tema di indagine basato su circostanze di fatto del tutto nuove che determinavano un sicuro mutamento della domanda.

Infatti, la domanda introduttiva del giudizio era basata sul presupposto di fatto che occorreva procedere ad una sommatoria dei dipendenti delle due imprese per ritenere raggiunto il requisito dimensionale necessario all’applicazione della L. n. 223 del 1991, le cui disposizioni si consideravano essere state violate. Invece, per la prima volta nelle note conclusive la difesa dei ricorrenti adduceva la diversa circostanza di fatto per la quale l’impresa L.M.M. già da sola denotava l’esistenza del suddetto requisito dimensionale, la qual cosa non poteva non determinare l’apertura di un nuovo tema di indagine, basato su presupposti fattuali differenti, come tale inammissibile.

D’altra parte, la ricorrente ha anche ragione a sostenere che una volta delineatosi il "thema decidendum" in ordine al presupposto del requisito dimensionale, nel senso che dalla stessa impostazione del ricorso introduttivo del giudizio doveva ritenersi esclusa la possibilità che la società M.L.L. potesse da sola far registrare nel suo organico sedici dipendenti, avendo i ricorrenti preteso di dimostrare la sussistenza di un tale requisito con riferimento all’organico intero delle due società, non sorgeva più per essa convenuta la necessità di dimostrare il contrario.

Quanto alla questione della verifica del requisito dimensionale si osserva che la L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 24, recante la disciplina del licenziamento collettivo per riduzione di personale non in integrazione straordinaria (comma 1) ovvero per cessazione dell’attività di impresa (comma 2), riferisce l’applicazione della procedura di mobilità e delle connesse tutele per i lavoratori ai soli casi di recesso di "imprese che occupino più di quindici dipendenti".

L’interpretazione di quest’ultima disposizione normativa, fornita dalla giurisprudenza di legittimità è ne senso che la sussistenza del prescritto requisito dimensionale non va verificata dando rilievo al numero dei dipendenti esistenti al momento del licenziamento (che potrebbe essere inferiore ai sedici richiesti dalla legge), ma avendo riguardo ad un arco di tempo più ampio – precisamente un semestre – valutato retroattivamente rispetto a tale momento e applicando un criterio di media, in analogia con quanto espressamente stabilito dall’art. 1, comma 1, ai fini dell’intervento di cassa integrazione guadagni straordinaria (cfr. Cass. n. 12592 del 1999, n. 13428 del 1999 e da ultimo n. 1465 del 2011).

Infatti l’art. 1, comma 1, stabilisce che l’intervento straordinario della cassa integrazione opera limitatamente alle imprese che abbiano occupato "mediamente" più di quindici lavoratori nel semestre precedente la domanda di integrazione salariale e l’art. 4 riferisce alle sole imprese caratterizzate dal suddetto limite dimensionale le disposizioni relative alla procedura di mobilità e quelle relative ai benefici che vi sono collegati, vale a dire l’apprestamento, per i lavoratori licenziati, di specifiche tutele collegate alla loro iscrizione nelle liste di mobilità, conferendo quest’ultima il diritto sia ad apposite prerogative occupazionali, sia ad uno speciale trattamento previdenziale (l’indennità di mobilità).

Ne consegue che la disciplina della L. n. 223 del 1991, torna applicabile (conseguendone, per i lavoratori licenziati, l’accesso agli istituti previdenziali da essa apprestati) anche all’impresa che, al momento dei licenziamenti per cessazione di attività, abbia un numero di dipendenti inferiore a sedici, ma che nei mesi precedenti abbia compensato tale carenza superando il limite dimensionale. Quanto alla individuazione del semestre "rilevante" ai fini indicati dal ripetuto art. 24, ritiene la Corte che debba, ancora una volta, farsi riferimento alle indicazioni fornite dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 1, che espressamente impone di considerare il semestre precedente la data di presentazione della richiesta di cui al comma 2 (la richiesta, cioè, di intervento straordinario di integrazione salariale); di talchè, il semestre in questione va calcolato a ritroso dalla data di intimazione dei licenziamenti per cessazione di attività e, perciò, comprendendovi anche il mese nel quale è intervenuto il recesso dell’impresa datrice di lavoro (da ultimo in questi stessi termini si è già pronunziata la Sezione Lavoro di questa Corte con la sentenza n. 1465 del 21/1/2011 cit.).

Nella specie è pacifico che l’impresa intimò agli odierni intimati i licenziamenti di cui trattasi per le date del 26/27 marzo 2003, così superando per la prima volta il numero dei cinque dipendenti licenziati nell’arco dei 120 giorni di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 24, comma 1, e, dunque, ha ragione la ricorrente a ritenere che per verificare l’esistenza del prescritto requisito dimensionale occorreva tener conto dei lavoratori occupati nel semestre immediatamente precedente, a nulla rilevando il fatto che ancor prima era stato adottato un singolo ed isolato licenziamento in data 30/11/2002.

Egualmente, per quel che concerne il calcolo della media dei dipendenti occupati nel predetto semestre, è giusto il rilievo svolto dalla ricorrente per la quale non doveva tenersi conto dei sei lavoratori che in data 25/10/92 avevano rassegnato le dimissioni, i quali avevano di fatto determinato con la loro decisione l’abbassamento della forza-lavoro presente nell’organigramma aziendale. Ne consegue che sommando a tali unità il lavoratore I., licenziato il 30/11/02, la media dei dipendenti in servizio nel predetto semestre (inizialmente 19 dipendenti) scendeva decisamente al di sotto delle sedici unità, così come si evidenzia dal computo sviluppato dalla ricorrente anche con riferimento al numero dei giorni di occupazione dei dipendenti di volta in volta rimasti in servizio.

In definitiva il ricorso va accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa direttamente da questa Corte nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, nel senso del rigetto della domanda proposta dagli odierni intimati col ricorso di primo grado.

La particolarità della lite, dovuta anche alle contrastanti interpretazioni fatte registrare nelle precedenti fasi di merito in ordine alla esatta determinazione del requisito dimensionale dell’impresa, inducono questa Corte a ritenere sussistenti i motivi di equità per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda. Compensa tra e parti le spese dell’intero processo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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