Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-02-2012, n. 2710 Professori universitari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza non definitiva del 26/5/05 la Corte d’appello di Roma, nel pronunziarsi sull’impugnazione proposta dall’Università degli studi di Cassino avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Cassino del 19/9/02, con la quale era stata condannata a corrispondere ad A.G. le differenze tra il trattamento economico riconosciuto ai professori associati a tempo definito di prima nomina e quello dalla medesima percepito, oltre 13.ma, indennità per ferie non godute e scatti di anzianità, rigettò i motivi del gravame che avevano investito sia la questione della qualificazione del rapporto, giudizialmente riconosciuto come rapporto lavorativo subordinato a tempo indeterminato sin dall’anno accademico 1988-89, sia quella della illegittimità dell’apposizione dei termini; inoltre, la Corte capitolina rigettò il primo motivo dell’appello incidentale della lavoratrice, la quale aveva chiesto l’accertamento della natura subordinata del rapporto a decorrere sin dall’anno accademico 1985-86, e con separata ordinanza dispose per la prosecuzione del giudizio.

Con sentenza definitiva del 30/11/06 – 13/6/08 la stessa Corte territoriale riformò parzialmente la sentenza gravata e condannò l’appellante principale a corrispondere alla lavoratrice le differenze, per i titoli già riconosciuti in primo grado, tra il trattamento economico di ricercatore confermato a tempo definito e quello di fatto percepito dall’appellata, mentre rigettò l’appello incidentale di quest’ultima.

La Corte capitolina spiegò il proprio convincimento nei termini così di seguito sintetizzati: non poteva sussistere il demansionamento lamentato dalla lavoratrice, in quanto la soppressione della figura del lettore di lingua straniera e la sua sostituzione con quella di collaboratore ed esperto linguistico di lingua madre era stata operata dalle fonti collettive e legislative;

la L. n. 223 del 1995, art. 4 aveva collocato in perfetta continuità la posizione dei collaboratori linguistici rispetto a quella degli ex lettori; il D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 123 impediva che qualsiasi articolazione del rapporto di impiego con le Università diverso dalle ipotesi codificate potesse produrre conseguenze giuridiche nei confronti degli atenei; il D.L. 14 gennaio 2004, n. 2, art. 1, convenuto con modificazioni nella L. n. 63 del 2004, aveva previsto che ai collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera delle Università indicate nello stesso provvedimento legislativo, già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. n. 382 del 1980, abrogato art. 28, era attribuito proporzionalmente all’impegno orario assolto, tenendo conto che l’impegno pieno corrispondeva a 500 ore, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli; tale equiparazione era stata disposta ai soli fini economici ed escludeva l’esercizio, da parte dei predetti collaboratori, di qualsiasi funzione docente. Per la cassazione della sentenza propone ricorso A.G., la quale affida l’impugnazione a sette motivi di censura e deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

L’intimata Università degli Studi di Cassino resiste al ricorso per il tramite del proprio difensore, il quale compare all’udienza odierna per la discussione.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 382 del 1980, art. 100, D.P.R. n. 382 del 1980, art. 25 e art. 2094 c.c. ex art. 360 c.p.c., n. 3. Si contesta, in sostanza, il fatto che la Corte di merito abbia escluso la natura subordinata del rapporto per i primi tre anni accademici dal 1985 al 1988 sulla base del "nome iuris" attribuito dalle parti al contratto e si formula, ex art. 366-bis c.p.c., il quesito diretto ad accertare se possa essere qualificato come rapporto di lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 2094 c.c., quello in cui una Facoltà di nuova istituzione, avvalsasi della possibilità di stipulare un contratto di diritto privato ai sensi del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 25, decida di affidare l’incarico di un corso ufficiale di una materia obbligatoria del piano di studi (lingua inglese) ad un "professore a contratto", con svolgimento, da parte di quest’ultimo, di una completa attività didattica durante tutto l’anno accademico sotto le direttive degli organi universitari e secondo i programmi didattici da essi definiti.

2. Col secondo motivo si deduce l’omessa ed illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio nella parte in cui non sono stati riconosciuti i plurimi indici fattuali e logici della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti nel periodo compreso tra gli anni accademici 1985-86 e 1987-88, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto si sostiene che il giudice d’appello si sarebbe limitato sul punto a condividere le motivazioni espresse al riguardo dal giudice di primo grado. Aggiunge la ricorrente che il suo inserimento nella struttura universitaria in posizione di sottoposizione alle direttive dei competenti organi universitari nel corso del suddetto triennio, in qualità di "professore a contratto" D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 100, lett. d) e art. 25, era da ritenere dimostrato dal fatto di aver svolto le mansioni proprie di un docente universitario di ruolo, che è pacificamente qualificato come lavoratore subordinato. Inoltre, la medesima contesta l’affermazione della Corte di merito per la quale il periodo contrattuale iniziale 1985-88 era presumibilmente quello in cui un eventuale vero e proprio inserimento era condizionato ad una reciproca verifica di gradimento, adducendo che l’istituto della "conferma in ruolo" non è previsto per la particolare categoria dei "professori a contratto" e neppure per quella del "lettore" del D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 28 a partire dall’anno accademico 1988-89, qualificazione, quest’ultima, con la quale era proseguita la sua attività lavorativa, con la conseguenza che finiva per rivelarsi del tutto apodittico il suesposto convincimento del giudice d’appello.

3. Oggetto del terzo motivo è la violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c., in relazione alla non contestazione da parte dell’Università delle circostanze di fatto dedotte relativamente alle modalità di svolgimento delle mansioni da parte della dott.ssa A., ex art. 360 c.p.c., n. 3. Si ritiene, in concreto, che la sentenza non definitiva della Corte d’appello di Roma sarebbe erronea nella parte in cui, rigettando il motivo d’appello incidentale vertente sulla natura subordinata del rapporto di lavoro nel periodo 1985-88, evidenzia gli aspetti che inducono a far ritenere che si fosse in presenza di un rapporto autonomo, quali l’aver condizionato l’inserimento in ruolo ad una reciproca verifica di gradimento di entrambe le parti e la mancanza di prove sia in ordine alla dipendenza dell’attività dell’appellante dai programmi universitari, dalle direttive degli organi universitari e dall’organizzazione dell’istituto, sia in merito alla sussistenza di vincoli gerarchici; la dedotta erroneità risiederebbe, inoltre, secondo la ricorrente, nel fatto che non si era tenuto conto del particolare che tali indici rivelatori della subordinazione emergevano già dalla lettura dei verbali della Facoltà di Economia e Commercio. Il quesito di diritto posto al termine del presente motivo tende, pertanto, a far accertare che non potevano essere considerate come contestazioni, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., le difese svolte con la comparsa di costituzione dalla resistente, in quanto attraverso le stesse quest’ultima si era limitata a contestare genericamente la qualificazione giuridica del rapporto nei termini di una sua pretesa natura subordinata, senza avere, tuttavia, contestato specificatamente la sussistenza dei fatti costituenti gli indici rivelatori della discussa subordinazione. Si osserva che questi primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto la questione unitaria ad essi sottesa, seppur sotto diversi aspetti, è quella della natura subordinata o meno del rapporto lavorativo intercorso tra le parti in occasione degli anni accademici compresi tra il 1985 ed il 1988. Orbene, tali motivi sono infondati.

Anzitutto, va rilevato che il "nomen iuris" conferito dalle parti al rapporto "de quo" rappresenta nell’economia della decisione impugnata solo uno degli elementi della ritenuta autonomia dello stesso nel periodo in questione.

Infatti, una volta accertato che l’appellante era stata assunta per gli anni accademici 1985/86, 1986/87 e 1987/88 quale "professore a contratto" di lingua inglese ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 100, lett. D, la Corte di merito ha condiviso la motivazione del giudice di primo grado circa il fatto che si era rivelata del tutto carente la prova in ordine alla ricorrenza degli elementi caratterizzanti la subordinazione, vale a dire l’esistenza di vincoli gerarchici e la dipendenza dell’attività svolta dalla A. dai programmi universitari, oltre che dalle direttive e dall’organizzazione degli organi universitari. Si è, pertanto, in presenza di una valutazione del materiale probatorio operata dalla Corte territoriale in modo congruo che si sottrae ai rilievi di legittimità per l’assenza di vizi di carattere logico-giuridico. Ne consegue che è, altresì, infondato il quesito di diritto posto al riguardo col primo motivo di doglianza, in quanto lo stesso, per come formulato, presuppone l’asserita esistenza di indici rivelatori della subordinazione che sono stati, invece, ritenuti non provati dal giudice d’appello nell’esercizio del suo libero convincimento, espresso con motivazione congrua e coerente ai risultati dell’indagine istruttoria. Nè può condividersi l’assunto, espresso nel secondo motivo di censura, attraverso il quale la ricorrente tenta di superare la mancanza di prova degli indici rivelatori della subordinazione per il tramite della supposta parificazione del lavoro da lei svolto a quello dei docenti di ruolo, laddove è solo quello del ricercatore confermato a tempo definito a rappresentare un parametro normativo di raffronto ai fini economici. Si deve, infatti, rilevare che questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (Cass. Sez. Lav. n. 19075 del 19/9/2011) che "i lettori di madre lingua straniera delle Università degli studi, anche se divenuti collaboratori ed esperti linguistici, hanno diritto, a norma del D.L. n. 2 del 2004 convertito con modifiche in L. n. 63 del 2004, proporzionalmente all’impegno orario assolto ad un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito e, quindi, anche al riconoscimento, con decorrenza dall’inizio del primo contratto da essi stipulato con l’Università, degli adeguamenti triennali alla retribuzione, senza che abbia rilievo che ad essi non sia riconosciuta la funzione di docenza, in quanto ciò che rileva sono gli aspetti meramente economici, dei quali lo "status" di docente costituisce semplice parametro di riferimento".

In effetti è la stessa norma di cui al D.L. 14 gennaio 2004, n. 2, art. 1, coordinata con la legge di conversione 5 marzo 2004, n. 63, a prevedere, al primo comma, che in esecuzione della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee in data 26 giugno 2001 nella causa C – 212/99 ai collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera delle Università degli Studi della Basilicata, di Milano, di Palermo, di Pisa, di Roma "La Sapienza" e "l’Orientale di Napoli", già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 e successive modifiche è attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli e che tale equiparazione è disposta ai soli fini economici ed esclude l’esercizio da parte dei predetti collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, di qualsiasi funzione docente.

Egualmente infondata è la lamentata violazione dell’art. 416 c.p.c. di cui al terzo motivo, atteso che la contestazione in radice della natura subordinata del rapporto lavorativo, così come operata dalla difesa della resistente Università sin dalla sua costituzione in giudizio, la esonerava dal dover prendere necessariamente posizione in ordine ai singoli elementi dedotti dalla ricorrente come possibili indici rivelatori del regime di subordinazione.

4. Col quarto motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2, D.L. n. 120 del 1995, art. 4, convertito in L. n. 236 del 1995, D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28, dell’art. 2103 c.c., L. n. 63 del 2004, art. 1 e dell’art. 11 preleggi, ex art. 360 c.p.c., n. 3. In tal caso si contesta la decisione di rigetto della domanda avente ad oggetto la richiesta di invalidità parziale del contratto stipulato il 30/12/94, col quale la ricorrente era stata qualificata come "collaboratrice ed esperta linguistica", e l’accertamento del diritto al mantenimento della qualifica di "lettrice di madre lingua", con adibizione a mansioni corrispondenti alla categoria riconosciutale sin dall’origine. In effetti, la Corte territoriale aveva escluso che si potesse configurare un demansionamento nella mera soppressione della figura del lettore di lingua straniera e nella sua sostituzione con quella di collaboratore ed esperto linguistico di lingua madre operata dalle fonti collettive o legislative, senza mutamento in pejus delle mansioni assegnate, che erano state sempre le stesse dalla data di inizio del primo contratto di lavoro, come l’appellante incidentale medesima aveva ribadito fin dal ricorso di primo grado.

Tale decisione è, però, posta in discussione dall’odierna ricorrente, la quale sostiene che i giudici di merito avevano riconosciuto la trasformazione del primo contratto stipulato in qualità di lettrice in un unitario rapporto a tempo indeterminato fin dalla prima assunzione risalente all’anno accademico 1988-89, per cui, trattandosi di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, occorreva far riferimento a quel contratto per stabilire sia la qualifica che le spettava ricoprire, sia le mansioni che le toccava svolgere. Secondo tale ricostruzione il successivo contratto di collaboratrice ed esperta linguistica del 30/12/94 non poteva ritenersi valido in considerazione del fatto che al momento del nuovo inquadramento, rientrante nella categoria del personale tecnico-amministrativo e rispetto al quale non era stato provato alcun intento novativo, essa ricorrente era già dipendente dell’Università con la qualifica superiore di "lettrice" in forza di un unitario rapporto a tempo indeterminato, riconosciuto giudizialmente come tale fin dalla prima assunzione. In definitiva era da escludere, secondo la A., che in violazione dell’ari 2103 c.c. i lettori potessero essere unilateralmente obbligati ad accettare, attraverso la sostituzione dei loro originari contratti con quelli di "collaborazione" quali "esperti linguistici", condizioni peggiorative rispetto a quelle acquisite.

Il motivo è infondato.

Occorre, anzitutto, partire dalla constatazione che la figura del lettore di madre lingua di lingua straniera, del quale il D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28, consentiva l’assunzione da parte delle università con contratto di diritto privato, è venuta meno con l’abrogazione della disposizione citata, stabilita dal D.L. n. 120 del 1995, art. 4, comma 5, convertito in legge con modificazioni dalla L. n. 236 del 1995. Quest’ultimo testo normativo, al comma 2, ha consentito l’assunzione da parte delle Università di "collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre, in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere, e di idonea qualificazione e competenza, con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo indeterminato ovvero, per esigenze temporanee, a tempo determinato". Destinatari di tali assunzioni sono stati prioritariamente, in base al comma 3 dell’art. in esame, i titolari dei contratti di cui al D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, in servizio nell’anno accademico 1993-1994, nonchè quelli cessati dal servizio per scadenza del termine dell’incarico, ai quali è stata garantita la conservazione dei diritti acquisiti in relazione ai precedenti rapporti. Infine, con il D.L. n. 2 del 2004, art. 1, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. n. 63 del 2004, n. 63, art. 1, comma 1, è stato stabilito, per ciò che interessa, che ai collaboratori ex lettori di madre lingua straniera già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 è attribuito un determinato trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con la specifica precisazione che l’equiparazione è disposta ai soli fini economici ed esclude l’esercizio da parte dei predetti collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, di qualsiasi funzione docente. Questo essendo il contesto normativo non si comprende come si possa parlare di dequalificazione rispetto ad una qualifica attribuita per legge e rispetto alla impossibilità giuridica, espressamente sancita, di assegnare funzioni di docenza ai collaboratori ex lettori. D’altra parte la Corte di merito ha correttamente posto in evidenza che alla diversa qualificazione, mutuata dalla fonte normativa, non si accompagnava, sul piano concreto, un corrispondente e peggiorativo mutamento fattuale delle mansioni assegnate, eventualità, quest’ultima, esclusa dalla medesima appellante incidentale, la quale nella domanda di primo grado e nelle successive difese aveva sempre affermato di aver svolto senza soluzione di continuità le stesse mansioni.

5. Col quinto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 e D.P.R. n. 382 del 1980, art. 123, ex art. 360 c.p.c., n. 3. La doglianza prende di mira la parte della decisione impugnata che ha rigettato la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento di una posizione di docenza stabile, dopo aver affermato che qualora gli organi accademici avessero affidato ai lettori compiti diversi da quelli consentiti dalla legge, i relativi provvedimenti sarebbero stati inefficaci ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 123, norma, questa, che impedisce che qualsiasi articolazione del rapporto di impiego con le Università, diversa da quelle codificate, possa produrre conseguenze giuridiche nei confronti delle stesse Università. Sostiene la ricorrente che le mansioni codificate dalla normativa che disciplina la categoria dei lettori ( D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28) non sono solo le mere mansioni di "esercitazione linguistica", con impegno intellettuale circoscritto, ma anche mansioni ulteriori, strettamente collegate all’insegnamento della lingua straniera, tanto che la normativa di riferimento prevede che la retribuzione possa essere fissata fino al parametro massimo del professore associato a tempo definito qualora il lettore svolga le mansioni massime previste dalla normativa stessa. Pertanto, secondo tale assunto, essendo prevista, ai sensi del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28, la possibilità dello svolgimento di funzioni ulteriori per i lettori, ne conseguirebbe che non potrebbe trovare attuazione la norma limitativa richiamata dal giudice d’appello di cui allo stesso D.P.R. n. 382 del 1980, art. 123 che dispone la nullità, e la improduttività di effetti, dell’affidamento di compiti istituzionali in violazione della legislazione universitaria, dal momento che nessuna violazione sarebbe stata commessa nell’attribuzioni di ulteriori mansioni di docenza ad essa ricorrente. La lavoratrice conclude il motivo chiedendo di accertare se al lettore che svolga mansioni ulteriori rispetto a quelle di semplice esercitazione linguistica, strettamente collegate all’insegnamento del titolare di cattedra, spetti il riconoscimento del diritto al mantenimento delle stesse mansioni, da poter svolgere per tutto il corso del rapporto di lavoro con l’Università, non potendosi applicare la sanzione di cui al D.P.R. n. 382 del 1980, predetto art. 123. 6. La violazione e falsa applicazione di legge, con riferimento all’art. 36 Cost., nonchè alla L. n. 63 del 2004, art. 1, ex art. 360 c.p.c., n. 3, costituisce l’oggetto del sesto motivo di censura attraverso il quale la lavoratrice sostiene l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, riformando la sentenza di primo grado che le aveva riconosciuto il diritto all’adeguamento retributivo parametrato al trattamento del professore associato a tempo definito, ha applicato lo ius superveniens, rappresentato dalla L. n. 63 del 2004, pervenendo alla conclusione che la retribuzione spettante, anche ex art. 36 Cost., doveva essere adeguata al trattamento del ricercatore confermato a tempo definito. In pratica la ricorrente deduce che nel periodo in cui era stata assunta come "professore a contratto" del D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 100, lett. d) aveva svolto attività e mansioni identiche a quelle affidate ad un professore di ruolo, per cui non vi era dubbio che aveva svolto mansioni superiori, sia qualitativamente che quantitativamente, a quelle previste dal contratto di lettorato, fino ad eseguire una sostanziale attività di docenza, esclusa la sola titolarità del corso. A conclusione del motivo la A. asserisce che la L. n. 63 del 2004 ha previsto solo un trattamento retributivo minimo che deve esser garantito ai lettori assunti del D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 28, ovvero quello del ricercatore confermato a tempo definito, facendo, comunque, salvi i trattamenti di maggior favore già acquisiti ed in ogni caso spettanti in considerazione dell’attività in concreto svolta.

Osserva la Corte che il quinto ed il sesto motivo possono esaminarsi congiuntamente in considerazione delle questioni parallele della qualifica e della relativa retribuzione in essi sottese. Ebbene, entrambi i motivi sono infondati.

Invero, come si è già detto in precedenza, il D.L. 14 gennaio 2004, n. 2, art. 1, coordinato con la legge di conversione 5 marzo 2004, n. 63, recante le disposizioni urgenti relative al trattamento economico dei collaboratori linguistici presso talune Università ed in materia di titoli equipollenti, nel prendere in esame la posizione degli ex lettori di madre lingua straniera prevede espressamente quanto segue:

– In esecuzione della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee in data 26 giugno 2001 nella causa C – 212/99, ai collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera delle Università degli Studi della Basilicata, di Milano, di Palermo, di Pisa, di Roma "La Sapienza" e "l’Orientale" di Napoli, già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, abrogato dal D.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1995, n. 236, è attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli; tale equiparazione è disposta ai soli fini economici ed esclude l’esercizio da parte dei predetti collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, di qualsiasi funzione docente." Come è dato vedere la norma è chiara sia nel considerare il trattamento economico previsto per i ricercatori confermati a tempo definito esclusivamente come parametro di riferimento per quello riservato ai collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera di determinati atenei e già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28, sia nell’escludere che detta equiparazione possa valere come riconoscimento di qualsiasi funzione docente. Pertanto, a nulla rileva il tentativo operato dall’odierna ricorrente di voler considerare acquisito il diritto alla posizione di docente universitario per il tramite del riconoscimento del più ampio contenuto delle mansioni che le sono state fatte svolgere nel corso degli anni accademici che l’hanno vista impegnata presso l’odierna intimata, dapprima come lettrice di madre lingua straniera e poi come collaboratrice ed esperta linguistica.

Oltretutto, questa Corte si è pronunziata di recente sul tema in esame affermando (Cass. Sez. Lav. n. 14705 del 5/7/2011) che "in tema di rapporti di lavoro dei lettori di lingua straniera, di cui al D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28, il D.L. n. 120 del 1995, art. 4, comma 2, convertito, con modificazioni, nella L. n. 236 del 1995, nel consentire l’assunzione del collaboratore linguistico con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo indeterminato, ovvero, per esigenze temporanee, a tempo determinato, ha individuato come destinatari prioritari di tali assunzioni coloro che già erano titolari dei contratti di cui al citato art. 28, ai quali è stata garantita la conservazione dei diritti acquisiti in relazione ai precedenti rapporti ma non anche l’esercizio della funzione docente, rimanendo limitata l’equiparazione ai ricercatori confermati a tempo definito, ai sensi del D.L. n. 2 del 2004, art. 1, convertito con modificazioni nella L. n. 63 del 2004, ai soli fini economici. Ne consegue che va disattesa la domanda di risarcimento del danno da dequalificazione per l’omessa assegnazione alle funzioni di docente attesa l’impossibilità giuridica di assegnare dette funzioni ai collaboratori ex lettori." In definitiva, deve essere qui riaffermato l’orientamento, già espresso da questa Corte, secondo cui, mentre da un lato la L. n. 236 del 1995, art. 4 colloca in una relazione di perfetta continuità la posizione dei collaboratori linguistici rispetto a quella degli ex lettori, prevedendo l’inquadramento dei secondi nel nuovo ruolo dei primi, dall’altro non può attribuirsi rilievo ad eventuali mansioni di fatto assimilabili a quelle dei docenti, in relazione al disposto del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 123, il quale impedisce che qualsiasi articolazione del rapporto di impiego con le Università, diverso da quelle codificate, possa produrre conseguenze giuridiche nei confronti delle Università stesse. Con la conseguenza che non può essere accolta la domanda di lettori di lingua straniera diretta ad ottenere il riconoscimento di una posizione di docenza stabile, non prevista dall’ordinamento universitario; nè può comunque prospettarsi un’acquisizione di mansioni superiori per l’effetto di assegnazione di compiti di docenza, atteso che ove gli organi accademici avessero affidato ai lettori compiti diversi da quelli consentiti dalla legge – consistenti, in base al D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28, nella funzione di curare le "effettive esigenze di esercitazione degli studenti che frequentano i corsi di lingua", oppure, in base alla L. n. 236 del 1995, art. 4, nella funzione di provvedere alle "esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche" – i relativi provvedimenti sarebbero nulli e privi di effetto ai sensi del citato art. 123, in quanto in violazione della legislazione universitaria (Cass. 27 novembre 1999, n. 13292, 19 marzo 2003 n. 4051). Sussiste dunque una sostanziale diversità delle attività contemplate da dette norme, che, pur rientrando nella didattica intesa in senso lato, sono caratterizzate da una funzione strumentale e di supporto della docenza, rispetto all’insegnamento universitario connotato da specifiche competenze didattiche e scientifiche (si vedano le considerazioni svolte in proposito da Cass. 23 aprile 2001 n. 6002, 8 agosto 2003 n. 12019, nonchè da Corte Giustizia delle Comunità Europee 20 novembre 1997 in causa C- 90/96, Petrie ed altri c. Università di Verona).

Inoltre, come ha già rilevato questa Corte con la sentenza n. 21856 del 18 novembre 2004, la delimitazione del campo di applicazione di tale nuova normativa alle università specificamente indicate non può interferire sui valore di ulteriore fonte di diritto comunitario che deve essere attribuito alle sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ed in particolare alla citata sentenza del 26 giugno 2001, in causa C. 212-99, che la normativa stessa intende eseguire. Pertanto, il trattamento spettante secondo questa disciplina ("corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli") deve essere riconosciuto a tutti gli appartenenti alla categoria dei "collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera", ancorchè dipendenti da Università degli Studi diverse da quelle ivi contemplate; sicchè il medesimo trattamento, in quanto garantito con effetto dalla prima assunzione, trova applicazione ai rapporti oggetto dell’attuale controversia.

In tal senso si è specificatamente espressa questa Corte (Cass. sez. lav. n. 5909 del 18/3/2005) pervenendo a statuire, altresì, che "i lettori di madre lingua straniera delle Università degli studi divenuti collaboratori ed esperti linguistici, hanno diritto a norma del D.L. n. 2 del 2004 convenuto con modifiche in L. n. 63 del 2004, proporzionalmente all’impegno orario assolto (tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore) ad un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data della prima assunzione, fatta salva l’attribuzione di trattamenti più favorevoli proporzionati, ai sensi dell’art. 36 Cost., alla quantità e qualità del lavoro prestato". 7. Con l’ultimo motivo la ricorrente si duole dell’omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia, relativo all’adeguamento retributivo ex art. 36 Cost. spettantele in base al parametro del ricercatore confermato a tempo definito ex art. 360 c.p.c., n. 5.

In particolare, la ricorrente imputa alla Corte d’appello di aver omesso, ai fini della valutazione della retribuzione adeguata ex art. 36 Cost., di procedere al confronto effettivo tra le attività da lei svolte e quelle delle altre categorie professionali del comparto universitario, in quanto le attività da lei espletate rientravano in quelle massime previste per i lettori, con la conseguenza che doveva essere confermata la sentenza di primo grado in ordine all’accertato adeguamento retributivo in base al parametro del professore a tempo definito. Anche quest’ultimo motivo è infondato.

Invero, la Corte territoriale ha chiaramente spiegato che l’adeguamento della retribuzione della A. al trattamento del ricercatore confermato a tempo definito in luogo di quello riconosciuto ai professori associati a tempo definito di prima nomina discendeva dall’applicazione diretta del nuovo intervento legislativo, di cui alla citata L. 5 marzo 2004, n. 63, per cui era evidente che, in relazione ad un raffronto qualitativo e quantitativo delle attività didattiche in concreto svolte dalla ricorrente, la valutazione dell’adeguatezza della retribuzione avveniva anche nel rispetto del precetto costituzione di cui all’art. 36.

In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 1000,00 per onorario ed Euro 10,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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