Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-07-2011) 03-10-2011, n. 35855 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte d’appello di Reggio Calabria ha respinto l’istanza avanzata da Z.S., intesa ad ottenere l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione subita.

2. Ricorre per cassazione il richiedente deducendo violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione. Si lamenta in particolare che il giudice della riparazione si è di fatto sostituito al giudice di merito censurando il percorso argomentativo che ha portato all’assoluzione; così esprimendo una valutazione preconcetta e del tutto slegata dalla realtà processuale. Secondo il ricorrente l’illogicità della valutazione si manifesta con evidenza nel punto dell’ordinanza in cui si fa cenno alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, trascurando che esse sono giunte all’attenzione dell’autorità giudiziaria solo dopo che l’imputato aveva sofferto quattro anni di custodia cautelare. L’errore della Corte territoriale diventa poi iperbolico quando la colpa grave del ricorrente viene fatta coincidere con la colpa del carabiniere che lo aveva erroneamente riconosciuto sul luogo dei fatti.

Con motivi aggiunti il ricorrente ha segnalato che analoga istanza decisa da altra sezione della medesima Corte d’appello, afferente al fratello R. che si trovava in una situazione probatoria esattamente corrispondente, ha trovato pieno accoglimento.

2.1 L’Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria.

3. Il ricorso è fondato. Il provvedimento impugnato pone in luce che l’ordinanza che ha disposto la custodia cautelare si riferiva ai reati di associazione di stampo mafioso, duplice omicidio e tentato omicidio; che gli illeciti sono maturati dopo la rottura dei rapporti tra due famiglie mafiose; che pur essendovi elementi per ritenere che i fatti criminosi fossero riconducibili alla stessa mano ed alla famiglia cui il richiedente apparteneva, i giudici di merito non hanno ritenuto sufficienti gli elementi indiziari raccolti con riferimento alla specifica posizione dello Z.. Poste tali premesse si propone una analitica valutazione del materiale indiziario: le dichiarazioni di un maresciallo dei carabinieri che subito dopo l’esplosione di alcuni colpi di arma da fuoco si pose all’inseguimento di due persone con in mano fucili a canne mozze che riconobbe nei fratelli R. e Z.S.; le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che ha riferito del rapporto conflittuale tra le indicate famiglie e delle confidenze ricevute circa la responsabilità del ricorrente. Si pone altresì in luce che tali elementi di giudizio sono stati ritenuti insufficienti, atteso che altro sottufficiale subito intervenuto ha riferito che i malviventi indossavano i passamontagna e quindi non potevano essere visti; ed atteso altresì che l’altezza indicata non era corrispondente a quella reale. Su tali basi la Corte della riparazione ritiene che, pur essendo l’indicato quadro indiziario insufficiente ai fini dell’accertamento della responsabilità penale, esso appare pienamente idoneo ad integrare in capo all’istante rilevanti profili di colpa eziologicamente rilevanti ai fini della instaurazione della custodia cautelare. Si considera a tale riguardo la già indicata dichiarazione del collaboratore di giustizia circa il coinvolgimento del richiedente nel contesto in cui si era generata la cruenta faida con il clan contrapposto; e si osserva che la deposizione del maresciallo dei carabinieri ritenuta non attendibile ha comunque trovato supporto limitatamente al riferimento all’andatura claudicante di uno dei soggetti a fronte della accertata zoppia del richiedente. Si conclude che si era in presenza di forti elementi di dubbio sulla colpevolezza a fronte dei quali l’atteggiamento assunto ha contribuito a legittimare il convincimento dell’autorità giudiziaria di una contiguità del ricorrente nel contesto criminale oggetto di accertamento e di un suo possibile coinvolgimento nei fatti illeciti. Si aggiunge a tale ultimo riguardo un apprezzamento critico circa l’alibi fornito, non solo identico a quello del fratello ma anche non convincente, essendo vagamente riferito alla visione di un programma televisivo.

Tale ponderazione compiuta dal giudice di merito si pone in reciso contrasto con i principi che regolano la materia.

Questa Corte, anche a Sezioni unite (Sez. Un. 13/12/1995, Sarnataro Rv. 203638) ha avuto modo di enunciare ripetutamente il principio che nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un "iter" logico- motivazionale del tutto autonomo, perchè è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento "detenzione"; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione, sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione.

Questa Corte ha pure ripetutamente enunciato il principio che la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, deve concretarsi in comportamenti che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione e che possono essere di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver determinato l’imputazione), o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi).

Il giudice è peraltro tenuto a motivare specificamente sia in ordine all’addebitabiiità all’interessato di tali comportamenti, sia in ordine all’incidenza di essi sulla determinazione della detenzione (Cass. 4, 12/12/2001 Rv. 220984; Cass. 4, 26/3/2004, RV 228883). Tale indirizzo deve essere qui ribadito, giacchè costituisce la chiave di volta per la valutazione del caso in esame. Infatti, ove fosse consentita la valorizzazione di emergenze probatorie confutate dal giudizio di fatto espresso con sentenza irrevocabile, verrebbe caducato il cardine del vigente sistema di riparazione per l’ingiusta detenzione, costituito appunto dal giudicato sull’incolpazione e sulle circostanze di fatto ad essa pertinenti.

Dunque, in breve, non è consentito al giudice della riparazione di mettere in discussione l’esito del giudizio di merito, esprimendo valutazioni dissonanti. Occorre invece ponderare circostanze di fatto accertate nel processo, e sulla base di esse valutare se sussistano condotte dolose o gravemente colpose eziologicamente rilevanti, idonee ad escludere il diritto all’indennizzo.

Il giudice di merito non si è attenuto a tali consolidati principi, avendo sostanzialmente omesso di considerare concrete, provate, condotte gravemente colpose certamente rilevanti quali cause o concause nell’adozione della misura cautelare; ed avendo invece prodotto una impropria rilettura del materiale probatorio, per di più neppure completa ma riferita ad isolati frammenti delle prove.

Infatti l’unico aspetto della vicenda illecita che potrebbe in qualche guisa assumere rilievo ai fini della colpa grave ostativa all’accoglimento della domanda di equa riparazione potrebbe essere costituito dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia che ha riferito del coinvolgimento dello Z. nella faida tra famiglie mafiose. Con riguardo a tale aspetto della vicenda, peraltro, al precipuo fine di valutare il concreto ruolo eziologico in relazione all’adozione della misura cautelare, occorrerebbe individuare l’esatto momento in cui tale elemento d’accusa è venuto a conoscenza dei giudici; tanto più alla luce della deduzione difensiva secondo cui il pentito si sarebbe pronunziato ben quattro anni dopo che la misura cautelare era stata adottata.

Per il resto, l’ordinanza impugnata non si dedica affatto all’individuazione di comportamenti censurabili del ricorrente dotati di un ruolo causale con riguardo all’emissione della misura cautelare; ma propone del tutto indebitamente una propria originale rilettura del materiale probatorio, giungendo a rivalutare una deposizione testimoniale ritenuta inattendibile dai giudici di merito, a riconsiderare l’attendibilità dell’alibi sulla quale evidentemente i giudici di merito devono essersi espressi nel contesto del giudizio sulla responsabilità, a rileggere, infine, autonomamente altri frammenti del materiale probatorio che non solo occorre ritenere siano stati ponderati nel giudizio di merito ma che, soprattutto, non hanno alcuna attinenza con condotte colpose idonee a giustificare la reiezione della domanda.

L’ordinanza deve essere conseguentemente annullata con rinvio alla Corte d’appello che dovrà riesaminare il caso alla luce dei principi sopra enunciati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria, cui domanda anche il regolamento delle spese tra le parti per questo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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