Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 24-02-2012, n. 2866 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 10/7 – 19/9/08 la Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto dalla società Gruppo Trombini s.p.a. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Ravenna, che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento irrogato il 26/5/05 a M.F., ordinandone la reintegra nel posto di lavoro col diritto al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18, ed ha condannato l’appellante alle spese del giudizio.

A fondamento della propria decisione la Corte territoriale ha fornito le seguenti spiegazioni: trattandosi di ipotesi di impossessamento di beni aziendali da parte del dipendente, ciò che rilevava, ai fini della verifica della proporzionalità tra addebito contestato e sanzione inflitta, non era tanto la speciale tenuità del danno patrimoniale, quanto la ripercussione sul rapporto di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento; l’istruttoria aveva evidenziato che non sempre occorreva una segnalazione preventiva agli addetti alla vigilanza per portare fuori dell’azienda beni della stessa; era da escludere l’intento del M. di voler sottrarre beni all’azienda con inganno, posto che al momento del fatto l’addetto alla vigilanza era in una posizione non visibile dall’esterno della portineria; i fatti contestati attenevano alla sottrazione di materiale che si presumeva trovarsi all’interno dell’officina per essere destinato alla produzione, mentre in realtà si era trattato di asporto di barre di ferro arrugginite accatastate tra i rifiuti su un piazzale esterno all’officina; non sussisteva una proporzione tra il fatto commesso e la massima sanzione disciplinare inflitta. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società Gruppo Trombini s.p.a che affida l’impugnazione a quattro motivi di censura. Resiste con controricorso il M..

La ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Col primo motivo la società ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, della omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia rappresentato dalla sostanziale ammissione, da parte del lavoratore licenziato, del fatto contestatogli, in quanto la Corte di merito avrebbe ingiustificatamente ignorato tale circostanza di carattere dirimente, giungendo perfino a ritenere che l’asportazione di barre di ferro arrugginito non avesse rilevanza disciplinare. In particolare, la ricorrente pone in risalto che il M. aveva ammesso il fatto contestatogli di aver asportato cinque barre di ferro della società in varie occasioni, vale a dire nel corso delle giustificazioni fornite per iscritto l’11/5/2005, al momento della successiva audizione in sede disciplinare e all’atto di rendere il libero interrogatorio nel relativo giudizio di merito, precisando a sua discolpa la sola circostanza che tale materiale consisteva in rifiuti arrugginiti della lavorazione. Tuttavia, aggiunge la ricorrente, la natura di semplice rifiuto di tale materiale non faceva venir meno l’abusività dell’impossessamento e, comunque, all’esito dell’istruttoria non si era avuta la prova del fatto che le barre di ferro asportate costituissero del materiale di scarto.

2. Col secondo motivo la ricorrente ripropone la censura di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, rappresentato dalla necessaria e preventiva autorizzazione all’asportazione di qualsiasi materiale dallo stabilimento che, ad onta delle risultanze istruttorie confermative dell’esistenza di tale prassi, il giudice d’appello aveva ritenuto non sempre necessaria, aggiungendo che ciò dipendeva anche dal fatto che il medesimo M., quale responsabile della manutenzione, era incaricato di sorvegliare sui beni e di accordare eventuali autorizzazioni, trascurando, in tal modo, di considerare che proprio tale sua posizione all’interno dell’azienda lo rendeva maggiormente responsabile del fatto di non aver, quanto meno, avvisato i suoi superiori dell’asporto del ferro oggetto della contestazione.

3. Attraverso la denunzia di violazione o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente imputa alla Corte di merito di aver erroneamente interpretato i principi posti a fondamento del licenziamento disciplinare e, a tal fine, formula il seguente quesito di diritto:

"L’abusivo impossessamento ed asportazione dallo stabilimento RAFAL di (OMISSIS) di beni aziendali da parte del signor M. F. (dipendente con funzioni di responsabile della manutenzione e del reparto impregnazione) integra fattispecie di legittimo recesso per giusta causa?" In definitiva, la ricorrente sostiene che non rilevava il danno economico subito dal datore di lavoro, la cui entità rappresentava nella fattispecie un dato del tutto secondario, quanto la negativa valutazione del comportamento del M. in relazione al ruolo da lui rivestito all’interno dell’azienda ed al conseguente venir meno dell’affidamento che egli avrebbe dovuto costantemente garantire al datore di lavoro, con l’inevitabile lesione del vincolo fiduciario.

4. Con l’ultimo motivo di censura la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione degli art. 14 e 15 lett. F del ccnl di riferimento del suo settore di attività, rilevando l’erroneità dell’affermazione della Corte di merito nel punto in cui ha escluso che il comportamento del M. fosse riconducibile alla specifica ipotesi per la quale lo stesso contratto collettivo prevede il licenziamento disciplinare per giusta causa.

In particolare, si richiama il contenuto dell’art. 15 del ccnl del settore legno, sughero, mobile, arredamento e boschivi forestali del 22.12.1999 – 31.12.2003, a mente del quale incorre nel provvedimento di licenziamento senza preavviso l’impiegato che provochi all’azienda grave nocumento morale o materiale o che compia in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro azioni che costituiscono delitti a termine di legge. La ricorrente cita, altresì, l’art. 18, lett. i), per il quale il licenziamento è previsto nelle ipotesi di furto nello stabilimento, di trafugamento di utensili o di altri oggetti o documenti dello stabilimento.

Quindi, si conclude il motivo di censura con la formulazione del seguente quesito di diritto: "La condotta tenuta dal signor M.F., da questi ammessa e consistente nell’abusivo impossessamento ed asportazione dallo stabilimento RAFAL di (OMISSIS) di beni aziendali, è tipicamente riconducibile alla fattispecie prevista dall’art. 15 Regolamentazione Intermedi (provvedimenti disciplinari) del CCNL legno, sughero, mobile, arredamento e boschivi forestali del 21/12/99 – 31/12/03 e per la quale è prevista la sanzione del licenziamento disciplinare per giusta causa?".

Il ricorso è infondato.

Anzitutto, può essere eseguita la disamina congiunta dei primi due motivi accomunati dalla denunzia di vizi motivazionali attinenti alla valutazione, sotto diversi aspetti, della rilevanza disciplinare del fatto oggetto dell’addebito di cui trattasi.

Invero, come è stato già statuito da questa Corte (Cass. sez. lav. n. 2272 del 2/2/2007), "il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse".

Orbene, nella fattispecie in esame può tranquillamente affermarsi che, nel loro complesso, le valutazioni del materiale probatorio operate dal giudice d’appello appaiono sorrette da argomentazioni logiche e perfettamente coerenti tra di loro, oltre che aderenti ai risultati fatti registrare dall’esito dell’istruttoria su punti qualificanti della controversia, per cui le stesse non meritano affatto le censure di omessa disamina mosse col presente motivo di doglianza.

Infatti, la Corte di merito ha posto in evidenza che i fatti contestati, così come indicati nella relativa nota, attenevano ad una ipotesi di sottrazione di materiale che si presumeva soltanto trovarsi nell’officina, in quanto destinato ad essere utilizzato per la produzione, mentre l’istruttoria svolta aveva consentito di appurare che, in realtà, si trattava di barre di ferro destinate ad essere smaltite, tanto da essere accatastate tra i rifiuti su un piazzale esterno all’officina. Ciò faceva venir meno, secondo il giudicante, la rilevanza disciplinare del fatto oggetto di addebito, atteso che questo presupponeva necessariamente, per il tenore della sua formulazione, l’asporto di materiale utile ai fini produttivi; ne conseguiva che, in assenza di altre specificazioni sul fatto così contestato, anche le modalità attraverso le quali era stato eseguito il suddetto prelievo dovevano ritenersi riferite all’asportazione di materiale presupposto come utile per l’azienda, mentre diversa si era rivelata la vera natura dello stesso, per cui le suddette modalità inerivano, in realtà, ad una situazione non rilevante agli effetti disciplinari. Tale tipo di accertamento consentiva alla Corte di merito di pervenire al convincimento che vi era sproporzione tra il fatto commesso, come accertato nella sua reale entità, e la massima sanzione inflitta al suo autore, il quale era risultato, tra l’altro, immune da precedenti disciplinari.

Orbene, le argomentazioni adoperate dal giudice d’appello si rivelano congruamente motivate ed immuni da rilievi di carattere logico- giuridico. Nè va dimenticato che "in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).

Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base." (Cass. Sez. 3 n. 9368 del 21/4/2006; in senso coni v. anche Cass. sez. lav. n. 15355 del 9/8/04).

Quanto all’ultimo motivo non può che evidenziarsene l’improcedibilità, stante la mancata produzione del testo integrale del contratto collettivo in esso richiamato, non essendo a tal fine sufficiente la sola indicazione del contenuto degli articoli citati.

Come, infatti, hanno avuto modo di statuire le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U., n. 20075 del 23/09/2010), l’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 420 bis cod. proc. civ., comma 2, la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3 (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale. Ove, poi, la Corte ritenga di porre a fondamento della sua decisione diversamentee del quanto statuito in questa sede una disposizione dell’accordo o contratto collettivo nazionale depositato dal ricorrente diversa da quelle indicate dalla parte, procedendo d’ufficio ad una interpretazione complessiva ex art. 1363 cod. civ., non riconducibile a quanto già dibattuto, trova applicazione, a garanzia dell’effettività del contraddittorio, l’art. 384 cod. proc. civ., comma 3 (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 12), per cui la Corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al P.M. e alle parti un termine non inferiore a venti giorni e non superiore a sessanta dalla comunicazione per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla questione".

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3.000,00 per onorario e di Euro 50,00 per esborsi, oltre I.V.A, C.P.A. e spese generali ai sensi di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *