Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-07-2011) 03-10-2011, n. 35759 Chiamata di correo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con a ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Napoli rigettava la richiesta di riesame proposta da S.R. avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale che aveva applicato al predetto la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di cui all’art. 110 c.p., art. 112 c.p., (misura cautelare della custodia in carcere per il all’art. 110, art. 112, commi 1 e 2, art. 422 c.p., comma 1, art. 61 c.p., comma 1, nn. 1 e 6, commesso in (OMISSIS).

Lo S. risultava raggiunto da gravi indizi di colpevolezza in ordine alla strage (denominata "strage del Sayonara", dal nome della gelateria teatro dell’evento) compiuta da componenti di due allora nascenti organizzazioni camorristiche (il clan Sarno ed il clan Aprea), al fine di uccidere una pluralità di soggetti appartenenti al clan capeggiato da A.A., operante nell’area di (OMISSIS), per acquistarne la supremazia territoriale. Il gruppo criminale, sparando all’impazzata alle ore 19 verso un numero imprecisato di persone presenti sulla pubblica via, nelle immeditate vicinanze di due esercizi commerciali (un caffè ed una gelateria) di (OMISSIS), compivano atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità, cagionando la morte di B.A. e M. V., esponenti di spicco del clan Andreotti, nonchè di altre quattro persone estranee ai fatti ed il ferimento di due, tra i quali V.D., affiliato al suddetto clan. La ricostruzione dei fatti veniva basata dai giudici del Riesame su accertamenti di p.g. compiuti nell’immediatezza degli eventi e sulle propalazioni di alcuni collaboratori di giustizia, tra le quali in particolare quelle dei fratelli C., G., P. e S.V., che, dopo il loro arresto avevano deciso di collaborare. L’attendibilità delle fonti dichiarative era già stata riconosciuta in altri importanti e delicati processi che avevano portato alla condanna definitiva di numerosi affiliati dei clan camorristici, con il riconoscimento ai collaboranti della speciale attenuante di cui al L. n. 203 del 2001, art. 8 (così per P., G. e S.V.).

Secondo il Tribunale, le propalazioni dei S. erano da ritenersi attendibili in quanto convergenti sugli eventi che li avevano visti protagonisti e segnatamente sulla causale della strage e sull’individuazione dei mandanti; sul luogo dal quale il commando era partito (la scuola), sui veicoli utilizzati dai killer (una Fiat uno ed una Ford Fiesta); sul ruolo degli esecutori materiali ( D.L. U.B., A.G., A.V., P. P., M., A. e S.C., detto " (OMISSIS)") e, infine, sul contributo fornito alla riuscita al piano da S.V., C.G. e S.R..

Le stesse dichiarazioni, oltre a trovare reciproca conferma, valorizzandosi per l’assunzione in proprio della responsabilità per la strage da parte dei collaboratori, risultavano riscontrate da elementi fattuali emersi dalle indagini di p.g. e dalle dichiarazioni di altri collaboratori estranei ai fatti (le c.d. "voci di fuori").

Quanto allo S., le dichiarazioni dei collaboranti convergevano sul ruolo affidatogli nell’azione criminale: recuperare dopo l’eccidio il cugino dei Sa., C. (detto "(OMISSIS)"), che aveva fatto parte del commando, ed occultare le tracce del delitto.

2. Avverso la suddetta ordinanza, ricorre per cassazione il difensore dell’indagato, chiedendone l’annullamento per la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), ed e), in relazione agli artt. 273 e 192 c.p.p..

Il ricorrente si duole della valutazione superficiale erronea e non rispondente ai principi di diritto delle fonti di prova.

In particolare, approssimativa risulterebbe la valutazione delle dichiarazioni dei fratelli S., trascurando i tempi in cui furono rese, le contraddizioni tra loro esistenti, i vincoli di parentela tra i dichiaranti e la circolarità delle stesse dichiarazioni.

Inoltre, l’ordinanza avrebbe omesso di rispondere alle doglianze difensive. Segnatamente, i Giudici del riesame non avrebbe valutato:

che i primi che iniziarono a collaborare, C. e G., non menzionarono lo S., pur facendo una compiuta elencazione dei partecipanti a vario titolo al delitto; che S.G., solo dopo 15 giorni che il fratello V. aveva coinvolto lo S., indicò in modo incerto costui tra gli incaricati al recupero delle auto del commando, e che a seguire uguali dichiarazioni furono fatte dall’altro fratello P.; che le dichiarazioni di quest’ultimo risulterebbero prive di riscontri, anzi sarebbero smentite dal fratello C., là dove il P. aveva indicato lo S. quale autore della rapina di una delle auto usate dal commando (secondo il C., le auto erano state invece portate dai Barresi) e lo aveva collocato nella scuola prima dell’avvio dell’azione di fuoco (mentre C. aveva riferito della presenza dello S. fuori dalla scuola dopo la partenza del commando); che S.P. aveva riferito che V. e C. S. "(OMISSIS)" con lo S. e il Ca. si erano rifugiati a casa della mamma dell’indagato, contraddicendo il fratello V. aveva dichiarato che con C. era andato a casa del suocero, mentre lo S. e il Ca. si erano allontanati con un mezzo pubblico.

Motivi della decisione

1. Le censure riferite alla motivazione dell’ordinanza impugnata sono infondate tanto da lambire l’inammissibilità, perchè per lo più non dirette a dedurre mancanze argomentative e illogicità ictu oculi percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dai giudici di merito e a prospettare conclusioni alternative rispetto a quelle operate dal giudice del Riesame cui, peraltro, erano già state sottoposte le medesime questioni e alle quali sono state fornite esaustive e coerenti ragioni di dissenso.

2. L’ordinanza impugnata ha fornito infatti una logica ed appagante motivazione ai rilievi difensivi volti a censurare il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori che avevano indicato il ricorrente quale partecipante alla "strage del Sayonara".

E’ consolidato orientamento di questa Corte che, per l’applicazione di una misura cautelare, il requisito della gravità degli indizi va inteso nel senso che questi ultimi devono essere tali da lasciar desumere la qualificata probabilità di attribuzione del reato per cui si procede all’indagato. La dichiarazione di un collaborante – se precisa, coerente e circostanziata – ben può costituire fonte di convincimento circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, qualora la stessa abbia trovato riscontro in elementi esterni, anche di natura logica, che siano tali da rendere verosimile il contenuto della chiamata stessa. Non vi è dubbio che il riscontro esterno, idoneo a confermare l’attendibilità del dichiarante, può essere anche costituito da altra dichiarazione – sia pure de relato (Sez. 1, n. 1560 del 21/11/2006, dep. 19/01/2007, Missi, Rv. 235801) -non ponendo l’art. 192 c.p.p., comma 3, alcuna limitazione per quanto riguarda l’individuazione dei riscontri, che possono consistere in elementi di qualsivoglia natura, che, pur non avendo autonoma forza probante, siano in grado di corroborare la chiamata in correità.

I riscontri esterni alle chiamate in correità, se costituiti da ulteriori dichiarazioni accusatorie, devono tuttavia caratterizzarsi per la loro "convergenza", "indipendenza" e "specificità".

Convergenza in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione;

indipendenza, da suggestioni o condizionamenti – dovuto a pregresse intese fraudolente – che potrebbero inficiare il valore della concordanza; specificità, dovendo la c.d. convergenza del molteplice essere sufficientemente "individualizzante" e riguardare sia la persona dell’incolpato sia le imputazioni a lui ascritte, fermo restando che non può pretendersi una completa sovrapponibilità degli elementi d’accusa forniti dai dichiaranti (potendo ciò, al contrario, fare sorgere il sospetto di dichiarazioni non genuine in quanto previamente concordate), ma deve privilegiarsi l’aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere (Sez. 2, n. 13473 del 04/03/2008 Lucchese, Rv. 239744).

Non va sottaciuto peraltro che, ai fini cautelari, il dato esterno di riscontro, pur dovendo attingere la persona del chiamato, può essere meno consistente di quello richiesto per il giudizio di merito, proprio perchè diversa è la prospettiva in cui si muovono le due decisioni e diversi sono gli obiettivi rispettivamente perseguiti.

Va poi ribadito l’insegnamento secondo cui l’elemento di riscontro individualizzante deve confermare non necessariamente "in via diretta" la condotta illecita ascritta all’accusato, ma le dichiarazioni del propalante e quindi la loro attendibilità, nella parte di riferimento (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, Spennato, in motivazione). Il riscontro pertanto non deve necessariamente consistere – come sembra pretendere il ricorrente – nella confessione delle persone presenti al fatto, non potendosi pretendere che i complici presenti al fatto criminoso rendano confessione, mentre invece il riscontro può consistere in un elemento di qualsiasi tipo, anche soltanto logico ed a maggior ragione in una seconda dichiarazione sia pure de relato, purchè sottoposta a pregnante vaglio critico e purchè consenta di collegare l’imputato ai fatti a lui attribuiti dal dichiarante, non necessariamente con riguardo al frammento di fatto cui ha assistito il dichiarante.

Orbene nel caso in esame, il Tribunale si è adeguato ai suddetti principi, condividendo e facendo proprie le scelte interpretative del primo giudice, là dove ha ripercorso le chiamate in reità e correità, ne ha individuato i punti nodali e ha confermato il giudizio di attendibilità dei dichiaranti anche in relazione al loro narrato e alle posizioni rivestite nell’ambito del clan di appartenenza.

Il ragionamento che il Tribunale sviluppa sull’attendibilità intrinseca, non incrinata da asseriti sospetti di concertazioni, e sulla elaborazione del riscontro reciproco dei singoli racconti dei quali elenca i contenuti, procedendo alla doverosa valutazione unitaria, risulta rispettoso dei canoni di ordine logico e della regola di valutazione dell’indizio contenuta nell’art. 192 c.p.p..

In particolare, il Tribunale ha evidenziato, con considerazioni fondate su un globale esame delle chiamate in correità, che tutte le dichiarazioni dei S., valorizzate dall’assunzione in proprio della responsabilità dell’evento, convergevano sul nucleo essenziale della ricostruzione della vicenda criminale e sul contributo fornito da parte dello Sc. alla riuscita del piano, trovando ulteriori univoche conferme in elementi fattuali emergenti dalle indagini di p.g. e nelle dichiarazioni rese da altri collaboratori estranei agli accadimenti ("le voci di fuori").

In particolare, quanto alla posizione dello S., le dichiarazioni di S.V., che aveva dichiarato di essersi occupato personalmente, su incarico del fratello C., del recupero di S.C. "(OMISSIS)" con il Ca. e lo S. e dell’occultamento dell’auto, una Ford Fiesta, guidata da costui e delle armi usate per l’eccidio (interrogatorio del 21 settembre 2009), collocando entrambi i complici nella scuola e fornendo ulteriori particolari sulle modalità delle operazioni di recupero ed occultamento svolte al "ponte di ferro" e sulla via di fuga del gruppo (interrogatorio del 20 maggio 2010), avevano trovato riscontro nelle propalazioni di S.P., che aveva indicato il Ca. e lo S. tra i presenti alla riunione indetta dai due clan presso la scuola per dare avvio all’azione criminale e curare gli ultimi dettagli operativi, specificando i compiti lì assegnati:

S.V., il Ca. e lo Sc. dovevano occuparsi del recupero di S.C. "(OMISSIS)" – che aveva ricevuto all’ultimo momento dall’omonimo capo clan il compito di fare da supporto al gruppo di fuoco a bordo di una seconda autovettura – e provvedere ad occultare l’auto e le armi, operazione che venne attuata con l’incendio dell’auto e il sotterramento delle armi al "ponte di ferro" e la fuga del gruppo verso le quattro palazzine dove abitava la madre dello Sc. (interrogatorio del 19 maggio 2010).

Il racconto di costoro aveva trovato conferma nei ricordi del fratello G., che, anche se con minore certezza, aveva dichiarato che il compito di eliminare le tracce del reato era stato affidato al fratello V. e allo Sc., confermando la presenza nella scuola anche del Ca. (interrogatorio del 5 ottobre 2009), e nelle dichiarazioni del collaboratore Ci.

R., che aveva ricevuto le confidenze di S.V. nel 1998, allorquando costui aveva manifestato l’intenzione di uccidere il Ca., in quanto temeva potesse collaborare con la giustizia rivelando particolari sulla strage, nella quale aveva svolto con il V. e lo Sc. il compito di far sparire le armi. Anche il capo clan Sa.Ci., pur avendo ricordi meno precisi per la fase esecutiva, affidata prevalentemente al clan dei Barresi, che dovevano anche curare il recupero delle autovetture utilizzate per la strage, aveva collocato l’indagato e C.G. tra coloro che erano presenti alla scuola, avendoli visti stazionare fuori dell’edificio da dove era partito il commando (interrogatorio del 23 giugno 2010).

Le indagini di p.g. avevano dimostrato la verosimiglianza del racconto fatto dai Sarno, in quanto in piena sintonia con la scansione degli eventi e con i luoghi interessati dai fatti.

Il Tribunale ha poi puntualizzato che il fatto che alcuni dei fratelli Sarno avessero taciuto talune circostanze o offerto un racconto meno preciso non veniva, di per sè, ad inficiare la sostanziale affidabilità delle relative dichiarazioni, posto che ognuno di essi aveva narrato i fatti dal proprio angolo visuale, evidenziando aspetti e particolari di quanto direttamente vissuto o conosciuto, che potevano ragionevolmente non coincidere con il compendio conoscitivo-narrativo degli altri collaboratori di giustizia.

Per tale motivo, ha osservato il Tribunale, il racconto di S. C. – al vertice del clan ed impegnato nella fase ideativa e decisoria – appariva più sfumato ed impreciso sulla fase conclusiva dell’agguato che vedeva impegnato lo Sc., rispetto a quello proveniente dal fratello S.V. che di quella fase si era occupato, partecipando direttamente con lo Sc. e il C. alle operazioni di occultamento delle tracce del delitto.

In tal modo, il Tribunale ha sviluppato argomenti in sintonia con i canoni logici delineati da questa Corte, secondo cui, in presenza di una pluralità di dichiarazioni accusatorie rese da soggetti compresi tra quelli indicati nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, la eventuale sussistenza di smagliature o discrasie, anche di un certo peso, rilevabili tanto all’interno di dette dichiarazioni quanto nel confronto di esse, non implica, di per sè, il venire meno della loro sostanziale affidabilità quando, sulla base di adeguata motivazione, risulti dimostrata la convergenza di esse nei rispettivi nuclei fondamentali. Circostanze che, globalmente considerate, possono giustificare, sotto il profilo logico, anche il ricorso al "frazionamento" della dichiarazione relativa al singolo dato, soprattutto quando i fatti narrati non siano vicini nel tempo e si riferiscano ad una serie di episodi non appresi direttamente (Sez. 6, n. 7627 del 31/01/1996, Alleruzzo, Rv. 206590).

Quanto alla spontaneità dei collaboranti, il Tribunale ha altresì escluso, stante il disposto di cui alla L. n. 45 del 2001, art. 6 diretto ad assicurare la genuinità delle dichiarazioni, che le propalazioni dei fratelli S. fossero il frutto di condizionamenti reciproci. Nè può ritenersi fondato il rilievo del ricorrente che esprime riserve sulla attendibilità delle loro dichiarazioni sol perchè attuatesi in progressione. Anche qui, il canone logico è quello che la chiamata in reità o correità può, senza diventare per questo inattendibile, attuarsi in progressione e arricchirsi nel tempo, specie quando i nuovi dati forniti costituiscano completamento e integrazione dei precedenti (Sez. 1, n, 6954 del 19/12/1996, dep. 17/03/1997, Cipolletta, Rv. 207089).

Quanto infine alla dedotta inconciliabile versione dei fatti fornita da P. e S.V. quanto all’epilogo della fuga, è evidente l’infondatezza dell’assunto dal tenore dell’ordinanza impugnata. S.P. ha invero raccontato che il gruppo si era allontanato dal posto percorrendo a piedi la linea ferroviaria che portava alle palazzine dove abitava la madre dello Sc. e non che il gruppo si era rifugiato a casa di quest’ultima.

3. Il ricorso è, dunque, infondato e va rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Devono disporsi, infine, gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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