Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-07-2011) 03-10-2011, n. 35758

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Napoli rigettava la richiesta di riesame proposta da P.L. avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale che aveva applicato al predetto la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di cui all’art. 110 c.p., art. 112 c.p., commi 1 e 2, art. 422 c.p., comma 1, art. 61 c.p., comma 1, nn. 1 e 6, commesso in Napoli l’11 novembre 1989.

Il P. risultava raggiunto da gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione alla strage compiuta a Ponticelli l’11 novembre 1989 da componenti di due nascenti organizzazione camorristiche (clan Sarno e clan Aprea), al fine di uccidere una pluralità di soggetti appartenenti al clan capeggiato da A. A., operante nell’area, per acquistarne la supremazia territoriale. Un "commando" composto da sei persona, sparando all’impazzata alle ore 19 verso un numero imprecisato di persone presenti sulla pubblica via, nelle immeditate vicinanze di due esercizi commerciali (un caffè ed una gelateria), compivano atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità, cagionando la morte di sei persone ed il ferimento di due.

La ricostruzione dei fatti veniva basata su accertamenti di p.g. compiuti nell’immediatezza degli eventi e sulle propalazioni di alcuni collaboratori di giustizia. L’attendibilità di tali fonti era già stata riconosciuta in altri importanti e delicati processi che avevano portato alla condanna definitiva di numerosi loro affiliati, con il riconoscimento della speciale attenuante di cui alla L. n. 203 del 2001, art. 8.

I collaboratori in particolare concordavano sulla causale della strage e sull’individuazione dei mandanti; sul luogo dal quale il commando era partito (la scuola), sui veicoli utilizzati dai killer (una Fiat uno ed una Ford Fiesta); sul ruolo degli esecutori materiali ( D.L.B.U., A.G., A. V., P.P., A.M. e S.C., detto "(OMISSIS)"), sul contributo fornito alla riuscita al piano da S.V., C.G. e S.R..

Il P., secondo le convergenti chiamate in correità di C., P. e S.V., avrebbe ricoperto un ruolo di vertice, prendendo parte alle riunioni preliminari alle quali parteciparono i massimi esponenti del clan Sarno e nelle quali aveva preso corpo il progetto di stringere una alleanza con il gruppo camorristico di Barra, composto dalle famiglie Aprea, Cuccaro ed Alberto, per colpire il clan avversario Andreotti, così vendicando ad un tempo anche l’omicidio di D.V., la slealtà di A.A., accusato di non distribuire equamente i profili illeciti, e le sgarberie di B.A. nei confronti di S.C.. Il giorno della strage, lo stesso P. era presente con i Sarno alla riunione presso l’ex edificio scolastico dove erano stati convocati i barresi che dovevano far parte del commando armato incaricato dell’esecuzione del piano criminale, per poi recarsi con S.P. presso un circolo per precostituirsi un alibi.

2. Avverso la suddetta ordinanza, ricorre per cassazione il difensore dell’indagato, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi.

Con il primo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), per inosservanza dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e per carenza, apparenza ed illogicità della motivazione in ordine ai rilevi difensivi.

Si deduce che l’ordinanza impugnata, con motivazione apparente, avrebbe ritenuto la convergenza delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, senza affrontare le questioni sollevate dalla difesa.

La motivazione si sostanzierebbe nel rinvio alle ragioni esposte dal G.i.p. e nella trascrizione degli elementi accusatori, senza dare contezza delle ragioni che hanno indotto il Tribunale a ritenere la sussistenza della gravita del quadro indiziario.

In particolare, il Tribunale avrebbe omesso di analizzare concretamente la doglianza difensiva concernente la discordanza delle dichiarazioni di S.G. rispetto a quelle rese dai fratelli C. e P.. Costui avrebbe modificato le iniziali dichiarazioni, dopo che medio tempo avevano iniziato a collaborare i fratelli. A queste doglianze, il Tribunale avrebbe superficialmente replicato, sostenendo che la normativa sui collaboratori impediva le comunicazioni tra i dichiaranti e che le sfasature erano comprensibili nel narrato dei collaboratori.

Nella iniziale versione dei fatti resa dal S. nel luglio 2009 – nella quale il P. non compare -, che si presenta in linea con la versione di altro collaboratore M.G., l’ideazione del delitto risulterebbe attribuita al B.D.L., che intendeva vendicare l’omicidio di D.V., legato a costui, e al clan Aprea. Nell’ottobre 2009, S.G. avrebbe mutato versione, attribuendo la pianificazione dell’azione ai componenti di rilievo del clan Sarno, e modificato la causale dell’azione, individuandola in uno sgarbo effettuato dal B. nei suoi confronti, aggiungendo di aver personalmente seguito con una Fiat 127 le auto del commando, a differenza delle precedenti versioni.

A queste evidenti discrasie – comportanti la totale ed incomponibile discordanza delle versioni fornite da S.G. – il Tribunale avrebbe omesso di replicare, considerandole "mere sfasature" tra propalazioni di collaboranti.

Circa la presenza del P. nella scuola prima dell’azione omicidiaria, il Tribunale avrebbe dato per scontato la condivisione del P. del progetto criminale, limitandosi a rinviare alle dichiarazioni dei collaboranti dalle quali sarebbe emersa tale circostanza e non esaminando le doglianze difensive che avevano dedotto la approssimazione e fumosità al riguardo delle stesse.

S.C. avrebbe collocato soltanto la presenza del P. nella scuola, allorquando decise di convocare i Barresi. Anche dalle dichiarazioni del S. del giugno 2010, il ruolo del P. nella vicenda emergerebbe in modo ambiguo, come colui che "solitamente" era coinvolto nelle decisioni di vertice, ma senza collegare univocamente l’indagato al fatto di incolpazione. Nella stessa sede, il S. avrebbe indicato la scuola come il luogo abituale di ritrovo dei componenti del clan, che la sera del piano omicidiario entravano ed uscivano.

La presenza del P. nella fase preliminare non sarebbe riferita dagli altri collaboranti. Così, in particolare S.P., che colloca costui solo nella fase successiva alla strage, allorchè fu caricato dai Carabinieri al circolo ricreativo e portato in caserma.

La difesa inoltre evidenzia un altro profilo, sul quale il Tribunale avrebbe omesso di motivare, ovvero le modalità con cui sono state verbalizzate le dichiarazioni di S.P.: il riferimento al P. risulterebbe infatti soltanto dalla verbalizzazione in forma riassuntiva, ma non dalla trascrizione integrale; il nome del P. risulterebbe suggestivamente suggerito dal P.m. con una domanda.

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia altresì la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 274 cod. proc. pen., e per difetto e vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari.

Il Tribunale non avrebbe considerato il lunghissimo tempo trascorso dai fatti e la mancanza di attualità dell’inserimento del P. nel organico direttivo del clan Sarno, stante il dissolvimento dell’organizzazione criminale.

Motivi della decisione

1. Il ricorso non merita accoglimento, siccome infondato.

2. La motivazione dell’ordinanza impugnata resiste alle censure difensive articolate nel primo motivo di ricorso.

Quanto alle dichiarazioni dei collaboratori, deve constatarsi che, contrariamente a quando dedotto nel ricorso, i Giudici del riesame, come risulta dal tenore stesso della motivazione del provvedimento impugnato, hanno fornito una sostanziale e puntuale risposta alle doglianze difensive, evidenziando le ragioni per cui dovevano ritenersi complessivamente attendibili le dichiarazioni di costoro.

Il Tribunale ha evidenziato che le propalazioni dei dichiaranti – protagonisti degli eventi stessi – avevano trovato riscontro tanto in elementi fattuali evidenziati dalle indagini di p.g., quanto nelle dichiarazioni rese da altri collaboratori estranei ai fatti (le c.d.

"voci di fuori", segnatamente, M.M., C.R. e E.C.), che, in quanto personaggi se pur minori dei clan coinvolti, avevano avuto diretta conoscenza di quell’evento che aveva segnato le sorti delle organizzazioni di appartenenza. Questi ultimi avevano invero confermato la versione dei fatti da ultimo sostenuta anche da S.G., ovvero che la strage era stata ordinata dai Sarno con la collaborazione degli Aprea.

La collaborazione di M.G., ritenuta dalla difesa decisiva per avvalorare la diversa causale della strage e idonea così a scuotere la compattezza logica dell’impianto argomentativo, non è stata ritenuta poter scalfire il quadro gravemente indiziante scaturente dalle suddette propalazioni, posto che le divergenze nel suo narrato dovevano ragionevolmente giustificarsi con il diverso vissuto del dichiarante. Invero, il M., appartenente al clan Aprea, ha raccontato i fatti dalla diversa prospettiva conoscitiva acquisita all’interno del suo gruppo, nel quale era stata ostentata una ipervalutazione del contributo fornito nella vicenda dai Barresi.

Ma la credibilità delle propalazioni dei Sarno doveva ritenersi valorizzata, secondo il Tribunale, oltre che dalla convergenza reciproca del narrato di ciascuno, dall’assunzione in proprio della responsabilità dell’evento. Invero, come aveva già evidenziato, S.G., chiamato in causa dai congiunti, modifica l’iniziale versione fornita (nella quale il ruolo del clan Sarno veniva presentato più defilato nella fase progettuale), confessando il suo concorso nella deliberazione dell’evento criminale.

Il contenuto confessorio, congiuntamente all’assenza di contrarie emergenze sulla ventilata presenza di condizionamenti ed inquinamenti derivanti dalle successive collaborazioni, rendeva pertanto attendibile, secondo l’ordinanza impugnata, il narrato di S. G., nonostante le diverse iniziali dichiarazioni evidenziate dalla difesa.

Si tratta di motivazione plausibile, priva di aporie e coerente nel suo sviluppo logico e conforme ai principi di diritto enunciati da questa Corte e come tale da escludere il sindacato che il ricorrente richiede in sede di legittimità, mediante censure le quali, più che porre in rilievo reali punti di deficit logico e carenze argomentative, si rivelano quali mere ipotesi di diversa lettura degli elementi indagine per giungere a negare agli atti dichiarativi, su ipotetiche circolarità e altrettanto ipotetici e congetturali condizionamenti, l’attendibilità, riconosciuta invece dal giudice del riesame, attraverso argomenti non congetturali, bensì fondati su ampi riferimenti a dati oggettivi.

3. Altrettanto è da dirsi quanto al vizio di motivazione concernente la portata dimostrativa della mera presenza del P. nel medesimo contesto spazio-temporale della partenza del commando all’interno della scuola, alla luce delle denunciate fumose e approssimative dichiarazioni dei collaboratori circa la partecipazione del predetto alla fase ideativa, decisoria ed organizzativa dell’azione di fuoco.

Il Tribunale ha evidenziato – riportando i passaggi salienti delle dichiarazioni dei collaboratori – che C. e S.P. avevano concordemente attribuito al P. il ruolo di componente di vertice del clan e lo avevano collocato quale partecipe tanto alle riunioni preliminari, quanto all’incontro presso la scuola poco prima dell’avvio della fase esecutiva del piano delittuoso.

In particolare, i Giudici del riesame hanno sottolineato che entrambi i Sarno avevano affermato che la decisione di uccidere il B. era stata assunta e condivisa da tutti coloro che ricoprivano un ruolo di rilievo nel clan Sarno nelle riunioni svolte prime della strage, cui presero parte i massimi esponenti del clan Sarno e nelle quali aveva preso corpo l’alleanza "militare" con i Barresi ai danni di A. e dei suoi uomini e nelle quali era stato deciso, condividendo il proposito manifestato da S.C., di portare a compimento l’agguato per finalità al contempo vendicative ed espansionistiche.

D’altra parte – ha rilevato ragionevolmente il Tribunale – una decisione così importante che avrebbe creato una frattura del clan con i vecchi alleati, con conseguente guerra tra i superstiti, non poteva non essere assunta senza la diretta partecipazione di tutti i personaggi di vertice. L’importanza dell’evento imponeva logicamente la sua condivisione verticistica.

In tal senso, la precisa indicazione fatta da S.C. alla persona del P. nell’interrogatorio del 28 agosto 2009 ("avevo informato e condiviso la decisione di uccidere il B. con tutti coloro che ricoprivano un ruolo di rilievo, vale a dire mio fratello Pe., … P.L…."), non sembra affatto smentita dalla affermazione fatta nel successivo interrogatorio circa il normale coinvolgimento del P. nelle decisioni come quella in esame, posto che lo stesso propalante aveva aggiunto che anche in quella circostanza il P. aveva partecipato alle riunioni con i barresi. Circostanza questa confermata anche dal fratello Pa. che aveva indicato il P. come colui che aveva partecipato alla riunione tra i vertici dei due clan finalizzata a stringere un’alleanza militare, funzionale per il clan Sarno per affrontare la già deliberata "guerra" contro A.A..

Quale ulteriore elemento dimostrativo del coinvolgimento del P. nella vicenda, il Tribunale ha poi evidenziato che tanto C. che S.P. avevano affermato che alla riunione convocata dal clan presso la scuola per far scattare il piano criminale prese parte anche il P.. Circostanza quest’ultima che aveva trovato piena conferma anche nelle propalazioni di S. V..

Che la partecipazione del P. non si fosse limitata – come sostenuto dalla difesa – ad una mera presenza in un luogo che costituiva il ritrovo abituale dei componenti del clan, appare trasparire chiaramente dalle dichiarazioni di S.C. e S. P., richiamate dal Tribunale, nelle quali con precisione viene descritta la riunione operativa convocata dal clan Sarno presso l’ex edificio scolastico per dar esecuzione con i Barresi all’azione di fuoco, alla quale prese parte il P.. La circostanza che S. C. abbia aggiunto che quella sera molti degli uomini del clan entravano ed uscivano dall’edificio non vale ad inficiarne il narrato quanto al ruolo del P., visto che tale precisazione è fatta dal dichiarante quanto ai nominativi dei presenti nella "scuola" di cui non ricordava il nome.

Ma a fugare ogni dubbio avanzato della difesa circa la partecipazione del P. alla vicenda è per il Tribunale del riesame la circostanza, riferita con dovizia di particolari da S.P., della precostituzione di un alibi da parte di costui, come di tutti i mandanti, in coincidenza con la partenza del commando: in particolare, il P. con il predetto si era recato presso un circolo a giocare a carte.

Quanto infine alle doglianze in merito alla verbalizzazione sintetica delle dichiarazioni di S.P., deve osservarsi che il Tribunale ha fornito adeguata risposta, evidenziando che dalla lettura della trascrizione integrale dell’interrogatorio non emergevano le dedotte alterazioni e rilevando che nessuna obiezione era stata sollevata in sede di verbalizzazione. Le diverse conclusioni del ricorrente, quanto alla sussistenza del denunziato vizio, appaiono generiche, in quanto, pur richiamando gli atti specificamente indicati, non risultano suffragate dalla loro indispensabile integrale trascrizione o allegazione, cosi da rendere il ricorso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (tra le tante, Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, Casucci, Rv. 246552).

4. Infondate appaiono anche le censure relative alla mancanza di attualità e concretezza del pericolo di reiterazione del reato, stante il lunghissimo tempo trascorso dal fatto delittuoso e il radicale dissolvimento del clan Sarno.

Va ribadito che la disposizione dettata dall’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) – la quale espressamente prevede tra i requisiti dell’ordinanza cautelare lo specifico riferimento al "tempo trascorso dalla commissione del reato" – impone al giudice di motivare circa il punto menzionato sotto il profilo della valutazione della pregnanza della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempus commissi delicti, dovendosi ritenere che ad una maggiore distanza temporale dei fatti corrisponda un affievolimento delle esigenze cautelari (Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi, Rv. 244377).

Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata ha evidenziato come la gravita dei fatti e il "costante inserimento" del P., con ruolo verticistico, nell’organizzazione criminale del clan Sarno, fossero elementi rivelatori di una personalità altamente pericolosa e trasgressiva dell’indagato e quindi di una sua concreta e attuale pericolosità sociale, tale da imporre la custodia carceraria.

Pertanto, con tale motivazione il Tribunale ha adeguatamente esplicitato la attualità delle esigenze cautelari in una valutazione complessiva in cui il dato temporale, sottolineato invece dalla difesa, appare scarsamente significativo, per la totalizzante efficienza negativa nella valutazione prognostica degli elementi indicati. Meramente assertive e quindi generiche appaiono le deduzioni del ricorrente circa il totale dissolvimento del clan di appartenenza.

5. Il ricorso è, dunque, infondato e va rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Devono disporsi, infine, gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *