Cass. civ. Sez. V, Sent., 24-02-2012, n. 2827 Imposte

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. L’Immobiliare Barbarossa di Falaschi Roberto & C, s.a.s. propose ricorso avverso cartella intimante il pagamento, in favore del Consorzio di bonifica Val d’Era, del contributo per l’anno 2002, in relazione ad immobili di sua proprietà insistenti sull’area consortile.

A fondamento del ricorso la società deduceva la mancanza del potere impositivo del Consorzio, non traendo i beni di sua proprietà beneficio diretto dalle opere consortili, nonchè il difetto di motivazione del provvedimento impugnato e l’illegittima determinazione del contributo di bonifica sulla base della rendita catastale.

L’adita commissione tributaria accolse il ricorso con decisione confermata, in esito all’appello del Consorzio, dalla commissione regionale.

I giudici del gravame in particolare affermavano, in via preliminare, l’ammissibilità del ricorso introduttivo, ancorchè proveniente da praticante avvocato abilitato (non legittimato al patrocinio davanti al giudice tributario), perchè sottoscritto anche dal contribuente.

Nel merito i suddetti giudici (per quanto qui ancora rileva) consideravano che, trattandosi di contributo di manutenzione ordinaria per opere idrauliche di terza categoria e non risultando depositato in atti il cd. "piano di classifica" e i conseguenti riparti, mancava ogni riscontro in merito all’importo globale dei lavori, alla quota gravante sugli altri obbligati, all’elenco dei contribuenti e dei rispettivi benefici nonchè quello degli indici specifici di contribuenza per immobile, cosicchè la pretesa azionata si rivelava sfornita di prova adeguata.

Avverso questa sentenza il Consorzio ha proposto ricorso per cassazione articolato in otto motivi, illustrati da successiva memoria. L’intimata non si è costituita.

2. Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12 e L. n. 479 del 1999, art. 7, il ricorrente rileva che nel giudizio di primo grado la società aveva conferito mandato ad un praticante procuratore, come tale non abilitato a difendere dinanzi alle commissioni tributarie, e precisa che, pur potendo la parte difendersi personalmente in relazione al limitato valore della causa, aveva tuttavia rilasciato mandato a farsi rappresentare e difendere ad un diverso soggetto, il quale aveva partecipato alle udienze ed aveva prodotto memorie e documenti, con la conseguenza che doveva ritenersi nullo il ricorso o in ogni caso tutta l’attività posta in essere dal suddetto praticante procuratore.

La censura è inammissibile.

Occorre preliminarmente rilevare che dalla sentenza impugnata risulta che il ricorso introduttivo fu sottoscritto anche dalla parte (affermazione non specificamente censurata in questa sede), che lo stesso ricorrente ammette che, considerato il valore esiguo della controversia, la contribuente non aveva l’obbligo di farsi assistere in giudizio da un difensore abilitato, ed infine che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 5 prevede che nelle controversie di valore inferiore a L. 5.000.000 i ricorsi possono essere proposti direttamente dalle parti interessate, le quali, nei procedimenti relativi, possono stare in giudizio anche senza assistenza tecnica.

Da quanto esposto deve pertanto escludersi nella specie la dedotta nullità (o inammissibilità) del ricorso introduttivo, posto che lo stesso è stato sottoscritto dalla parte, la quale poteva legittimamente proporlo senza assistenza tecnica, con la conseguenza che la procura rilasciata a difensore non abilitato alla difesa dinanzi alle commissioni tributarie è sicuramente nulla ma non comporta necessariamente la nullità del ricorso cui accede. In proposito, è appena il caso di rilevare che a norma dell’art. 159 c.p.c., comma 1 la nullità di un atto non comporta quella degli atti precedenti o successivi che ne sono indipendenti, e, a norma del comma 2 del suddetto art., la nullità di una parte di un atto non colpisce le altre parti che ne sono indipendenti: la normativa processuale ha dunque mutuato il principio "utile per inutile non vitiatur" dalla disciplina sostanziale (v. art. 1419 c.c.), e la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha spesso fatto concreta applicazione del principio di conservazione degli atti processuali (v. tra le altre cass. n. 5760 del 1992, secondo la quale nel caso di impugnazione della sentenza che ha pronunciato sulla competenza e sul merito con istanza di regolamento – facoltativo – di competenza per motivi attinenti anche alle statuizioni di merito, l’inammissibilità di questi motivi, improponibili con ricorso di competenza, non si estende, per il principio utile per inutile non vitiatur, a quelli concernenti la pronuncia sulla competenza e non comporta, quindi, l’inammissibilità della relativa istanza di regolamento). Peraltro, se vero che il principio suddetto può trovare applicazione soltanto se la parte o la clausola o l’atto non affetto da invalidità persegua un risultato configurabile come distinto ed abbia un’esistenza autonoma, non se esso sia in correlazione inscindibile con il resto dell’atto ovvero con altri atti e funzioni da "condicio causa dans" o "condicio sine qua non", è anche vero, per un verso, che, in linea astratta, il ricorso firmato dal contribuente poteva, per quanto sopra esposto, validamente svolgere la propria funzione anche a prescindere dal rilascio di una procura a chicchessia, e, per altro verso, che, nello specifico, il ricorrente non ha dedotto il contrario, ed in ogni caso ha omesso di riportare il testo del ricorso de quo, dal quale avrebbe potuto in ipotesi emergere, in concreto, una correlazione inscindibile tra esso e la procura.

Per quanto concerne la dedotta nullità degli atti posti in essere dal difensore non abilitato, è sufficiente rilevare che il ricorrente non specifica se effettivamente vi sono stati nel processo atti che potevano essere compiuti esclusivamente dal difensore e che siano stati posti in essere dal difensore non abilitato nè specifica quali sono stati questi atti nè fornisce elementi per individuarli con precisione nè, infine, riporta il testo di tali atti, come sarebbe stato necessario, nel rispetto del principio di autosufficienza, per consentire una valutazione degli stessi da parte di questo giudice senza ricorrere ad atti esterni al ricorso.

E ciò a prescindere da un’indagine in ordine alle finalità della previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 2 (indicante i soggetti abilitati alla assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie e perciò indirettamente escludente quelli ivi non indicati dalla possibilità di esercitare la suddetta assistenza) e dalla conseguente individuazione del o dei soggetti titolari dell’interesse a far valere nella specie eventuali nullità derivanti dal mancato rispetto di tale norma.

Le ulteriori doglianze avanzate dal Consorzio ricorrente attengono al merito della controversia.

Atteso che in proposito, sia la sentenza impugnata sia i motivi di ricorso in rassegna, presentano, quanto a richiami normativi e giurisprudenziali e riferimenti fattuali, profili di non appagante coerenza e perspicuità, il collegio reputa opportuno delineare, in sintetica premessa, i quadro normativo di riferimento.

In tale prospettiva, va rilevato che, rientrando la materia dei consorzi di bonifica nella competenza della legislazione regionale (cfr. l’art. 117 Cost.), nella specie viene in rilievo la L.R. Toscana n. 34 del 1994 e successive modificazioni.

Dal richiamato dato normativo emerge che – allo scopo della realizzazione di "un mezzo permanente finalizzato allo sviluppo, alla tutela e alla valorizzazione delle produzioni agricole, alla difesa del suolo, alla regimazione delle acque e alla tutela dell’ambiente e delle sue risorse naturali" (art. 1, comma 1) – tutto il territorio regionale è suddiviso in comprensori, tendenzialmente corrispondenti ai diversi bacini idrografici (art. 5), con istituzione in ciascuno di essi, con deliberazione del consiglio regionale (art. 14), di un consorzio di bonifica – eretto in persona giuridica pubblica (art. 12) – costituito tra i proprietari degli immobili agricoli ed extra- agricoli situati nell’ambito del relativo comprensorio di bonifica, che ricevono o possono ricevere benefici dall’attività di bonifica già realizzata ovvero da attuare secondo i piani generali di bonifica ed i programmi pluriennali (art. 15, comma 1).

Nell’ambito del comprensorio di pertinenza, ciascun consorzio svolge attività di bonifica, secondo le previsioni del piano generale di bonifica, adottato per quel comprensorio (art. 8), così concorrendo, con Regione ed enti locali, alla realizzazione delle finalità indicate dall’art. 1, attraverso l’esercizio delle funzioni di cui all’art. 12 della legge (ivi comprese quelle dei soppressi consorzi idraulici di difesa e di scolo di quarta e quinta categoria e dei consorzi idraulici di terza categoria di competenza regionale: art. 59).

Costituiscono "attività di bonifica" – ove previsti nei piani generali di bonifica di cui all’art. 8 della legge – "il complesso degli interventi finalizzati ad assicurare lo scolo delle acque, la sanità idraulica del territorio e la regimazione dei corsi d’acqua naturali, a conservare ed incrementare le risorse idriche per usi agricoli in connessione con i piani di utilizzazione idropotabile ed industriale, nonchè ad adeguare, completare e mantenere le opere di bonifica già realizzate" (art. 2, comma 1) ed altresì, se finalizzati ad attività di bonifica, "gli interventi volti ad assicurare la stabilità dei terreni declivi ed a realizzare infrastrutture civili" (art. 2, comma 2).

I proprietari di immobili concorrono a sostenere gli oneri finanziari per la realizzazione "delle opere necessarie ai fini generali della bonifica, alla loro manutenzione ed esercizio fino al compimento delle stesse" solo qualora derivino loro benefici di particolare rilevanza e in misura (comunque non superiore al 25% del totale) proporzionale a questa (art. 3).

Le spese relative alla manutenzione e all’esercizio delle opere di bonifica dopo il loro compimento, sono a carico delle proprietà immobiliari in rapporto ai benefici che le medesime ricevono dalle opere di bonifica realizzate (art. 4).

Nell’ambito del comprensorio viene delimitato il "perimetro di contribuenza" – di cui è data notizia al pubblico a mezzo trascrizione ai sensi del R.D. n. 215 del 1933, art. 58 – teso ad individuare le proprietà immobiliari che presentano i due requisiti prescritti ai fini della contribuzione: a) l’insistenza sul comprensorio b) il conseguimento attuale o potenziale di benefici dall’attività di bonifica già realizzata o programmata.

L’iscrizione delle proprietà immobiliari nel "perimetro di contribuenza" comporta l’acquisizione della qualifica di consorziato e la partecipazione al consorzio ed ai relativi oneri, che è obbligatoria (art. 15, commi 2 e 3).

I consorziati "sono tenuti al pagamento del contributo consortile, pari alla quota dovuta da ciascun consorziato per le spese di cui all’art. 3, comma 2 (concorso alle spese di realizzazione delle opere di bonifica) e all’art. 4, comma 1, lett. B), (spese di manutenzione e di esercizio) nonchè per le spese di funzionamento dal consorzio (art. 16, comma 1).

L’ammontare del contributo consortile, che costituisce onere reale sugli immobili (art. 16, comma 4), è determinato, con la deliberazione annuale di "riparto della contribuenza", in proporzione ai benefici derivanti a ciascun immobile (art. 16, comma 2).

A tal fine il consorzio elabora un "piano di classifica" degli immobili che individua i benefici derivanti dalle opere di bonifica, stabilisce i parametri per la quantificazione dei medesimi e determina T’indice di contribuenza" di ciascun immobile. Sia il "perimetro di contribuenza" sia il "piano di classifica" degli immobili sono approvati dal consiglio dei delegati, per due terzi eletti dai consorziati (artt. 20 e 23).

Presso ciascun consorzio è istituito il catasto consortile al fine d’individuare tutti gli immobili situati nell’ambito del comprensorio (art. 18).

Dal riportato dato normativo, si ricava, dunque, che i proprietari degli immobili siti nel comprensorio concorrono alle spese relative alle opere consortili solo se i beni di loro proprietà traggano benefìcio dalle opere suddette e in proporzione alla misura di tale beneficio e che l’esercizio del corrispondente potere impositivo del consorzio si sviluppa attraverso: a) l’inclusione del bene nel "perimetro di contribuenza" – e cioè nell’ambito delle proprietà che ricevono o possono ricevere benefici dalle opere ed attività di bonifica (comprese quelle di manutenzione e di esercizio) realizzate o programmate – che incide sull’an dell’obbligo contributivo; b) l’elaborazione del "piano di classifica degli immobili" e dell’"indice di contribuenza" dei singoli immobili – attraverso l’individuazione dei benefici derivanti dalle opere di bonifica ai singoli immobili e la definizione dei parametri di relativa quantificazione – che incide sul quantum dell’obbligo contributivo.

Con riferimento alla corrispondente normativa statale (cfr., in particolare, R.D. n. 215 del 1933, artt. 10 e 11) – la giurisprudenza di questa Corte ha, d’altro canto, precisato che il beneficio che costituisce, unitamente all’ubicazione dell’immobile nel comprensorio consortile, il presupposto dell’obbligo di contribuzione e del corrisponde potere impositivo del Consorzio deve essere diretto e specifico e, quindi, strettamente inerente all’immobile e configurante una sua qualità specifica, tale da incrementarne il valore, non essendo sufficiente un beneficio che costituisca mero riflesso dell’inclusione del bene nel comprensorio di bonifica (cfr.

Cass. 1386/11, 11722/10, 8770/09, s.u. 8960/96) e che "perimetro di contribuenza" e "piano di classifica" configurano atti amministrativi (cfr. Cass. 8770/09, 1338/78) sindacabili dal giudice amministrativo ed opponibili davanti al giudice ordinario solo in prospettiva di disapplicazione.

Quanto al regime probatorio, si è, peraltro, puntualizzato che la ricomprensione degli immobili nel "perimetro di contribuenza" e la relativa valutazione nell’ambito di un "piano di classifica" comporta l’onere del contribuente, che voglia disconoscere il debito, di contestare specificamente la legittimità del provvedimento ovvero il suo contenuto, nessun ulteriore onere probatorio gravando, in tal caso, sul consorzio, in difetto di specifica contestazione; mentre, in assenza di "perimetro di contribuenza" e di mancata valutazione nell’ambito di un "piano di classifica" grava sul consorzio, in base agli ordinari criteri di distribuzione dell’onere della prova ex art. 2967 c.c., l’onere di provare la qualità del contribuente di proprietario di immobile sito nel comprensorio ed il conseguimento da parte dell’immobile di sua proprietà, a causa delle opere eseguite, di concreti benefici non scaturenti dalla mera insistenza sull’area del comprensorio (cfr. – Cass. ss.uu. 26009/08, 19509/04, 8960/96).

Ai fini considerati nessun rilievo riveste, peraltro, il "catasto consortile" di cui L.R. Toscana n. 34 del 1994, art. 18 che, come reso evidente dallo dato testuale della disposizione (oltre che dal complessivo testo normativo) presenta mere finalità repertoriali, ed inoltre – ancorchè indicazioni in contrario appaiano emergere da Cass. 4513/09 – la trascrizione del "perimetro di contribuenza", prevista dall’art. 15, comma 2, della legge regionale in rassegna (e dalla corrispondente norma statale: R.D. n. 215 del 1933, art. 10, ult. parte). L’incombente deve, infatti, ritenersi prescritto nella sua tipica funzione di pubblicità dichiarativa ai fini dell’opponibilità ai terzi, in rapporto alla dichiarata natura di onere reale del contributo consortile (cfr. art. 16, comma 4, della legge regionale); mentre la circostanza che "perimetro di contribuenza" (come il "piano di classifica") promani dall’assemblea dei delegati degli stessi consorziati (artt. 20, 23) rende superflue forme di pubblicizzazione, che ne subordinino l’efficacia nei loro confronti.

Gli esposti rilievi rivelano l’infondatezza del quinto motivo di ricorso (che, presentando carattere assorbente, va esaminato prioritariamente), con il quale il Consorzio censura la decisione impugnata, sotto il profilo del vizio di motivazione, nella parte in cui ha riscontrato il difetto di prova della pretesa impositiva, in considerazione della mancata produzione in giudizio del "piano di classifica" e conseguenti riparti.

In proposito, il Consorzio – riconosciuto di non aver prodotto il "piano di classifica" e conseguenti riparti nel presente giudizio (ma soltanto in diversi, seppur analoghi, giudizi instaurati da altri consorziati) – ha affermato che la mancata impugnazione del "piano di classifica" da parte del contribuente lo esonerava dall’onere di dimostrare la ricorrenza dei presupposti del potere impositivo e, in particolare, dello specifico beneficio conseguito dal fondo della contribuente a causa delle opere di bonifica, mentre spettava alla ricorrente medesima dimostrarne l’inesistenza.

L’assunto deve essere disatteso, giacchè, considerati le contestazioni della contribuente e il sopra delineato regime probatorio, la riconosciuta mancata produzione del "piano di classifica" e conseguenti riparti rende la pretesa del Consorzio priva di oggettivo riscontro, così come ritenuto dal giudice a quo, non verificandosi inversione dell’onere probatorio a carico del contribuente se non sul presupposto dell’accertata inclusione di suoi beni nel "perimetro di contribuenza" e della loro valutazione nel "piano di classifica"; mentre la prospettata mancata impugnazione degli atti suddetti (davanti al giudice amministrativo), trovando ineludibile antecedente logico nell’indicata inclusione e potendo esser fatta valere anche a meri fini di disapplicazione, è del tutto inidonea ad interferire sull’onere probatorio in rassegna.

3. L’infondatezza del motivo di ricorso prima esaminato e la conseguente definitiva affermazione dell’inidoneità del supporto probatorio fornito ai fatti costitutivi della pretesa azionata dal Consorzio rende superfluo l’esame dei residui motivi – demandanti vizi motivazionali in diversa prospettiva (il secondo, terzo e settimo motivo), nonchè violazioni di legge (il quarto, sesto e ottavo motivo) – giacchè l’eventuale accoglimento delle doglianze attraverso di essi espresse non potrebbe, comunque, dar luogo alla cassazione della sentenza impugnata, in quanto inidoneo a sovvertire il giudizio d’infondatezza, per difetto di prova, della pretesa impositiva oggetto dell’atto impugnato.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il primo e il quinto motivo di ricorso devono essere rigettati, con assorbimento degli altri.

In assenza di attività difensiva dell’intimata, nessuna decisione deve essere assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il primo e il quinto motivo di ricorso, assorbiti gli altri.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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