Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-06-2011) 03-10-2011, n. 35810 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 20.11.2007 il G.i.p. del Tribunale di Bergamo condannava A.G., all’esito di giudizio celebrato con il rito abbreviato, alla pena di due anni e sei mesi di reclusione in ordine al reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 609 quater c.p., nn. 1 e 2, per avere, dal 1996, costretto la nipote infraquattordicenne M.S. a subire atti sessuali quali dettagliatamente descritti nel capo di imputazione.

Il Gip predetto assolveva l’ A. per insussistenza dei fatti da altri reati.

1. a. A seguito di rituale gravame dell’imputato, la Corte d’Appello di Brescia riduceva la pena a due anni e quattro mesi di reclusione, disattendendo tutte le doglianze dedotte dall’appellante in rito ed in ordine alla ritenuta colpevolezza.

1. b. Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato e questa Corte, Terza Sezione penale, annullava senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna per i reati successivi al 30 marzo 2002, in ordine ai quali assolveva l’imputato per insussistenza del fatto, e rinviava per la determinazione della pena ad altra Sezione della Corte d’appello di Brescia, ritenendo assorbiti gli ultimi due motivi di ricorso, demandandoli al giudice di rinvio; gli ultimi due motivi di ricorso erano i seguenti: a) la pena base era stata individuata in tre anni e sette mesi, mentre ex art. 609 quater c.p. nei casi di minore gravità il minimo (di 5 anni) andava diminuito fino a due terzi e, quindi, ad un anno ed otto mesi: i giudici del merito avrebbero dovuto partire dal minimo sia perchè la ragazza non aveva subito alcun danno, sia perchè la Corte aveva ritenuto la natura non invasiva degli atti sessuali commessi;

b) ai fini della continuazione sarebbe stato necessario individuare la violazione più grave: il che la Corte territoriale non aveva fatto, valutando anzi non un singolo fatto, ma una pluralità di fatti, così applicando un duplice aggravio di pena, in violazione dell’art. 81 c.p., commi 1 e 2. 1.c. La Corte d’Appello di Brescia, decidendo in sede di rinvio, dopo aver ricordato ciò che la Suprema Corte aveva devoluto alla sua cognizione – con specifico riferimento agli ultimi due motivi del ricorso che era stato deciso con la sentenza di rinvio per la determinazione della pena – riduceva la pena inflitta all’ A. ad anni due e mesi tre di reclusione, provvedeva alle statuizioni civili, e dava conto del proprio convincimento, per la parte che in questa sede rileva, con argomentazioni che possono così riassumersi:

A) non poteva trovare accoglimento la richiesta formulata in udienza dalla difesa di pronuncia di prescrizione con riferimento agli episodi relativi al 1997, stante il giudicato parziale sulla affermazione di penale responsabilità; B) il primo giudice aveva concesso all’imputato sia le circostanze attenuanti generiche che quella prevista dall’art. 609 quater c.p., comma 4, così calcolando la pena base per l’ipotesi "ordinaria" in anni 5, poi ridotta, per le circostanze attenuanti generiche, ad anni 4 e mesi due, ridotta ancora, per l’ipotesi attenuata, ad anni tre, ed aumentata, ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p., di mesi nove, ed ulteriormente ridotta, infine, per la scelta del rito, ad anni due e mesi sei di reclusione:

la Corte d’Appello, con la prima sentenza oggetto del ricorso per Cassazione, rilevata la non correttezza di tale procedura di calcolo, aveva fissato la pena base per l’ipotesi attenuata in anni tre e mesi sette di reclusione, l’aveva poi ridotta, per le circostanze attenuanti generiche, ad anni due e mesi nove, l’aveva quindi aumentata, ai sensi dell’art. 81 c.p., di mesi nove, così pervenendo ad una pena complessiva di anni tre e mesi sei, ridotta per il rito ad anni due e mesi quattro di reclusione; posto che la disposizione di cui all’art. 609 quater c.p., comma 4, stabilisce che "nei casi di minor gravità la pena è diminuita fino ai due terzi", ben poteva confermarsi il trattamento sanzionatorio base individuato dalla prima sentenza d’appello (in data 18 dicembre 2008) nella misura di anni tre e mesi sette di reclusione, risultando del tutto condivisibili le ragioni esposte nella sentenza stessa: la natura "non invasiva" degli atti giustificava la concessione dell’attenuante "de qua";

nell’ambito della discrezionalità disciplinata dall’art. 133 c.p., erano stati valorizzati, per individuare la pena della ipotesi attenuata, altri elementi di considerevole rilevanza: innanzitutto, l’età della ragazza all’atto in cui le attenzioni dello zio avevano avuto inizio (11 anni), ed ancora, la natura del rapporto affettivo- educativo esistente tra l’imputato e la vittima (zio, cui la minore era affidata) e l’incidenza delle condotte sulla psiche in formazione; si trattava di elementi che, per la loro pregnanza, non potevano giustificare l’applicazione della riduzione massima consentita (2/3) sulla pena minima della fattispecie base (5 anni);

C) l’età della minore assumeva una valenza particolare anche perchè, proprio su questa, e sulla relazione familiare e di affidamento, l’abusante aveva fatto conto per poter attuare le proprie condotte, protratte poi negli anni a seguire, secondo una dinamica nota che rende queste condotte, invasive della propria sfera sessuale, quasi "ineluttabili" per il minore che le patisce; del resto, la minore "invasività" ha anch’essa varie gradazioni e non poteva essere sottaciuto che l’episodio più grave, sotto questo profilo, appariva quello consumatosi quando la M. aveva (OMISSIS), allorquando lo zio le si era avvicinato, l’aveva baciata sui genitali togliendole poi i pantaloni e compiendo ulteriori atti sulle parti intime: condotta che, certamente, giustificava la inflazione della pena nella misura di anni tre e mesi sette, come individuata dalla Corte d’Appello con la prima sentenza; D) altrettanto condivisibile appariva la motivazione della riduzione non nel massimo per le circostanze attenuanti generiche: gli atti non erano stati compiuti isolatamente ma in maniera reiterata negli anni e, in siffatti reati, l’incensuratezza – che aveva portato il primo giudice a concedere le attenuanti in parola – ha scarsa incidenza; E) quanto agli effetti della pronuncia della Cassazione sul calcolo ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p., secondo la ricostruzione dei fatti, solo pochi, minori episodi si collocavano dopo il compimento.da parte della vittima, dei sedici anni, collocandosi, la maggior parte degli atti sessuali, tra gli 11 e 14 anni della M., ed altri, di minor rilevanza, nell’epoca in cui la minore aveva 14/15 anni: ciò posto, e tenuto conto che l’aumento complessivo era stato conteggiato in mesi nove, la collocazione dei fatti più numerosi e più gravi nel periodo di età compreso tra gli 11 e 14 anni consentiva un calcolo dell’aumento ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p., sulla pena di anni due e mesi 9, di mesi 7 e giorni 15; con conseguente pena pari ad anni tre, mesi 4 e giorni 15 di reclusione da ridursi di un terzo, per il rito, così pervenendosi alla pena finale di anni due e mesi tre di reclusione.

2. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione l’ A. deducendo motivi che possono così sintetizzarsi: a) omessa declaratoria di prescrizione nel giudizio di rinvio, non potendo essere negata l’applicabilità dell’art. 129 c.p.p. pur quando l’annullamento non riguardi l’accertamento del reato e la responsabilità dell’imputato (al riguardo il ricorrente richiama dottrina e giurisprudenza, e sostiene che l’interpretazione seguita dalla Corte d’Appello – secondo cui l’annullamento con rinvio disposto dalla Cassazione ai soli fini della pena comporterebbe la definitività del’affermazione di colpevolezza, con impossibilità di rilevare in sede di giudizio di rinvio le cause di non punibilità frattanto sopravvenute – si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali); b) vizio di motivazione in ordine all’entità – asseritamente modesta – della diminuzione per l’attenuante dell’ipotesi di minore gravità, sul rilievo che la Corte di merito avrebbe errato nel valorizzare circostanze ontologicamente connesse al reato; c) ancora vizio di motivazione quanto all’aumento della pena per la continuazione.

Motivi della decisione

3. Il ricorso deve essere rigettato per l’infondatezza delle censure dedotte.

4. a. Quanto al primo motivo, rileva il Collegio che nella concreta fattispecie, in conseguenza della sentenza di annullamento parziale della Cassazione del 5 novembre 2009, si è formato il giudicato sulla colpevolezza dell’imputato per cui correttamente la Corte di merito non ha pronunciato declaratoria della prescrizione, in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo delineatosi in materia nella giurisprudenza di legittimità: "qualora venga rimessa dalla Corte di cassazione al giudice di rinvio esclusivamente la questione relativa alla determinazione della pena, il giudicato (progressivo) formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, con la definitività della decisione su tali parti, impedisce l’applicazione di cause estintive sopravvenute all’annullamento parziale" (Sez. Unite, n. 4904/97, Attinà, RV. 207649). Tale principio è stato poi ulteriormente ribadito da questa Corte, ed ancora a Sezioni Unite, con la sentenza n. 1/2000, Tuzzolino: nell’occasione è stata sottolineata, come "obiter dictum", la differenza tra le conseguenze dell’annullamento parziale ex art. 624 c.p.p., ipotesi che si è verificata nel caso in esame, e quelle che sono invece riconducibili semplicemente alla preclusione correlata all’effetto devolutivo del gravame ed al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni, ed è stato ribadito che in caso di annullamento parziale ex art. 624 c.p.p., il giudicato formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato rende definitive tali parti della sentenza, con la conseguenza che il giudice di rinvio, investito della decisione sulla determinazione della pena, non può applicare le cause estintive del reato sopravvenute alla pronuncia di annullamento). Trattasi di orientamento assolutamente consolidato e del tutto condivisibile che anche in questa circostanza, dunque, e pur a fronte delle argomentazioni svolte dal ricorrente, deve essere ribadito. D’altra parte – e qui si risponde alle considerazioni svolte dal ricorrente laddove sono stati prospettati eventuali profili di incostituzionalità – mette conto sottolineare che la stessa Corte costituzionale ha espressamente affermato (ordinanza n. 367/96) la configurabilità del "giudicato parziale". 4. b. Prive di fondamento sono anche le doglianze del ricorrente in ordine al trattamento sanzionatorio. Giova innanzi tutto ricordare quelli che sono i poteri del giudice nel giudizio rescissorio, in conseguenza di una sentenza di annullamento con rinvio. E’ stato affermato da questa Corte che nell’ipotesi di annullamento con rinvio per vizio motivazionale il giudice di rinvio è libero di determinare il proprio apprezzamento di merito mediante autonoma valutazione dei dati probatori e della situazione di fatto concernenti i punti oggetto dell’annullamento, pur essendo tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento (così, "ex plurimis", Sez. 3, 22 marzo 2000, Boccardo, RV 216343). Orbene, nella concreta fattispecie la Corte distrettuale, nel diminuire ulteriormente (determinandola complessivamente in anni due e mesi tre di reclusione) la pena inflitta con la sentenza di secondo grado annullata dalla Cassazione (anni due e mesi quattro di reclusione), ha dimostrato di aver adeguatamente proceduto ad una globale valutazione di tutte le componenti, oggettive e soggettive, del fatto – la cui gravità appare peraltro assolutamente fuori discussione, avuto riguardo alla natura dei reati, alla minore età della parte lesa ed al rapporto di parentela che legava quest’ultima all’imputato – nel rispetto dei criteri indicati nell’art. 133 c.p..

4. e. Per quel che riguarda l’entità della diminuzione applicata dai giudici del merito per l’attenuante di cui all’art. 609 quater c.p., comma 4, il percorso argomentativo seguito dalla Corte distrettuale con l’impugnata decisione risulta del tutto immune da censura in quanto privo di qualsiasi profilo di illogicità ed assolutamente in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, essendo stato ripetutamente, e condivisibilmente, affermato – in tema di presupposti per la configurabilità dell’attenuante in parola (ma si tratta di principio ovviamente applicabile anche per determinare l’entità della diminuzione per l’attenuante stessa, se riconosciuta) – quanto segue:

"in tema di reati sessuali commessi in danno di persona minore di età la circostanza attenuante prevista dall’art. 609 quater c.p., comma 4, riproduttiva di quella prevista dal precedente art. 609 bis, comma 3, si fonda sulla minore gravità del fatto, comportante una più lieve compromissione della libertà sessuale della vittima e dello sviluppo del minore, ed è oggetto di una valutazione che deve tenere conto di tutte le componenti del reato, oggettive e soggettive, nonchè degli elementi indicati nell’art. 133 c.p." (in termini, Sez. 3, 3.10.2006, Magni, RV 235031); ed ancora: in assenza di criteri normativamente predeterminati sulla base dei quali riconoscere l’attenuante della "minore gravità" prevista con riguardo al reato di atti sessuali con soggetto minorenne, debbono applicarsi le regole generali, per cui l’attenuante potrà essere concessa in ragione della natura intrinseca dell’atto sessuale compiuto, della maggiore o minore lesione fisica e/o psichica infetta alla vittima, delle circostanze nelle quali il fatto è maturato (Sez. 3, 27 aprile 2000, RV 200177); "nell’ambito degli atti sessuali, punibili ai sensi dell’art. 609 bis c.p. e art. 609 quater c.p., sono previsti casi di "minore gravità" in relazione ai quali è configurato un trattamento sanzionatorio attenuato, la cui individuazione, non essendo i relativi criteri normativamente disciplinati, viene rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito che, ove adeguatamente motivato (vale a dire senza vizi logici resi palesi dal testo della motivazione stessa), si sottrae ad ogni censura nella sede di legittimità" (in termini, Sez. 3, 30 marzo 2000, Delle Donne).

4. d. Quanto infine all’aumento per la continuazione, ed avuto riguardo alle doglianze come formulate con il ricorso, è sufficiente osservare che: a) l’unico limite all’entità della pena a titolo di continuazione è quello posto dall’art. 81 c.p., comma 1, secondo cui l’aumento non può essere superiore al triplo della pena fissata per il reato base: e nel caso in esame l’aumento è rimasto ben al di sotto di detto limite; b) non sono previsti criteri per la quantificazione di detto aumento, trattandosi di statuizione che concerne apprezzamenti di merito e rientra nei poteri discrezionali del giudice: di tal che, la Corte territoriale, nella concreta fattispecie, avrebbe ben potuto limitarsi ad affermare la congruità dell’aumento quale determinato per la continuazione, senza alcun particolare onere motivazionale trattandosi di un aumento significativamente contenuto, rispetto al massimo aumento possibile, e tenendo conto della pluralità dei reati e della gravità dei fatti.

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione, in favore della parte civile, delle spese per il presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00 oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione, in favore della parte civile, delle spese di questo giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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